Nascerà il primo governo della XVIII legislatura? Non so, certamente non in questi giorni, immagino che rimarremo in questa situazione di stallo ancora per un bel po’.
Prima di tutto perché i protagonisti della vita politica italiana – compresi molti dei commentatori e dei giornalisti che la raccontano – continuano a pensare come se il nostro paese fosse una repubblica presidenziale – o semipresidenziale – con una legge elettorale maggioritaria e un sistema bipartitico o bipolare. Invece si tratta di una repubblica parlamentare con una legge elettorale proporzionale e un sistema multipartitico.
Non so se sono in malafede o semplicemente stupidi – preferirei la prima ipotesi, perché i cretini mi fanno sempre una gran paura – ma tutte le dichiarazioni lette in queste settimane su chi avrebbe vinto le elezioni e le richieste, alcune perfino ultimative, di sedere a Palazzo Chigi di questo o di quello non tengono conto di questo semplice ed evidente dato di fatto. E infatti, per paradosso, il solo partito che avrebbe la forza di far nascere un governo, l’unico davvero determinante e quindi, alla fine, il vero vincitore delle elezioni, rappresenta se stesso come lo sconfitto e dichiara che il suo posto è l’opposizione, peraltro senza chiarire a cosa si opporrebbe. So bene che non si può mischiare il vino buono con l’aceto, ma nell’83 il Psi aveva meno deputati – sia in termini assoluti che in percentuale – di quanti ne abbia oggi il pd, eppure il suo segretario divenne presidente del consiglio, il primo socialista a ricoprire quella carica. Certamente il partito più forte della coalizione ebbe in cambio i ministeri più importanti e soprattutto riuscì a imporre la propria agenda politica – e, visti i rapporti di forza, non sarebbe potuto avvenire altrimenti – ma quel risultato ha segnato l’apice per il Psi, pur con tutte le conseguenze negative che ciò ha provocato, che però non furono predeterminate da quella scelta, derivarono da una serie di azioni concrete, di cui purtroppo i dirigenti, a molti livelli, di quel partito, furono colpevoli protagonisti. Questo è il proporzionale in una repubblica parlamentare. Capisco che Di Maio, Salvini e renzi avevano nel 1983 rispettivamente 3, 10 e 8 anni, ma questo non impedisce loro di studiare e poi c’è qualcuno nei loro partiti che quella stagione la ricorda assai bene.
Ma francamente credo che il problema non sia solo questo. In queste quattro settimane, dal 4 marzo, da quando in questo paese non c’è un governo – ovviamente uno formalmente è in carica per “il disbrigo degli affari correnti”, come recita il curiale linguaggio del Colle – cosa è cambiato? Cosa è cambiato nelle vite di ciascuno di noi? Non parlo ovviamente di cose belle o brutte che vi possono essere successe in questi trenta giorni, perché naturalmente qualcuno è nato, qualcuno è morto, non dico questi avvenimenti che fortunatamente vanno avanti da soli. E’ cambiato qualcosa per il fatto che il governo è dimissionario? No, alcuni di voi hanno continuato ad andare a scuola, qualcuno è dovuto ricorrere alle cure di un ospedale, i dipendenti pubblici hanno continuato a ricevere lo stipendio, i nostri ministri vanno ai vertici europei, abbiamo espulso un paio di presunte spie russe, abbiamo fatto un po’ di ammuina con i francesi per la vicenda di Bardonecchia, qualcuno sta scrivendo il prossimo bilancio. Nulla di serio. Eppure il governo è dimissionario, sfiduciato politicamente visto che il partito che l’ha fatto nascere ha perso così tanti voti. Ma c’è una qualche differenza con quello che succedeva a gennaio? O a novembre? O ancora prima? Non sarà che alla fine un governo, un qualsiasi governo, non conta nulla – o conta molto poco – e tutto questo affannarsi che impegna tutti loro – e anche noi, che commentiamo e ci appassioniamo – sia sostanzialmente inutile?
Ovviamente non credo che viviamo in un regime di anarchia – anche se mi convinco che sarebbe forse auspicabile – penso semplicemente che viviamo in un tempo infelice, in cui la politica ha sempre meno peso. Eppure ce lo ricordiamo ancora il tempo in cui c’era la politica, alcuni di noi con una qualche nostalgia. Semplicemente i luoghi dove vengono prese le decisioni non sono i governi nazionali né tanto meno i parlamenti. Non c’è l’anarchia, perché noi siamo sottoposti a un governo, anzi lo siamo in maniera molto rigida, abbiamo sempre meno libertà, ma questo governo non è stato scelto da noi e soprattutto non abbiamo alcun strumento democratico per sfiduciarlo. Certo possiamo scegliere ogni quattro anni – o giù lì – il capocondominio, quello a cui sono delegate alcune scelte di poco conto, ma le decisioni vere, quelle che hanno un impatto nelle nostre vite, vengono prese altrove. Le decisioni di smantellare progressivamente la scuola e la sanità pubblica, di privatizzare i più importanti beni comuni, di rendere il lavoro più precario, più insicuro – sotto tutti i punti di vista – e soprattutto meno pagato, hanno cambiato la vita di tutti noi, e continueranno a cambiarla. Non c’è un governo che abbia esplicitamente presentato questo programma, semplicemente chi poteva ha cominciato a farlo, prima provando a convincerci che queste scelte erano fatte per far crescere il paese, per investire sul futuro, e poi, quando siamo diventati più deboli e più sottomessi, hanno continuato a farlo senza spiegazioni e senza tanti infingimenti. Ovviamente guadagnandoci, loro.
Per questo potere così dispotico, così violento, che ci sia questo governo dimissionario è un vantaggio, perché paradossalmente un governo che non risponde al parlamento è ancora più forte. Il governo Gentiloni non può essere sfiduciato, non può essere mandato a casa e quindi gli si può far fare di tutto. E soprattutto andare avanti senza governo convincerà sempre di più i cittadini che la politica non è necessaria, anzi che è dannosa. E poi se i politici sono questi, che non sanno fare una o con il bicchiere. In fondo senza un governo si sta anche meglio: perché dovremmo affannarci ad averne uno? Tanto ci pensano loro a noi; e poi un governo ruba, mentre loro sono “virtuosi”.
Questa posizione di attesa potrebbe andare avanti ancora parecchie settimane, perché chi comanda davvero non ha interesse che questa crisi venga risolta. E magari, tra un po’, quando sarà proprio inevitabile trovare un governo, vedrete che salterà fuori l’ipotesi di un “governo di tutti”, che alla fine è come dire un governo di nessuno, perché un esecutivo del genere sarà composto dai soliti tecnici, quelli buoni per tutte le stagioni, quelli in servizio permanete effettivo del finanzcapitalismo. Lo abbiamo già visto e lo rivedremo, purtroppo.
Consultatevi pure, tanto sappiamo che non contate un cazzo.
E non disturbatevi a consultarci: abbiamo cose più serie da fare.

 

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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