In Armenia sta scoppiando l’ennesima rivoluzione colorata, con gli stessi ingredienti di quelle già viste in Nordafrica, Ukraina e in tanti altri paesi ancora. L’obiettivo è sempre lo stesso, fomentare una guerra per procura tra Occidente e Russia, per il controllo del Caucaso. Questo focolaio di tensione è particolarmente preoccupante perché si trova proprio alle porte della Russia, e la crisi rischia di precipitare rapidamente. Un nuovo scenario di guerra rischia di aprirsi in un momento già delicatissimo per l’equilibrio geopolitico globale.

 

di Frank Sellers 

Decine di migliaia di manifestanti sono scesi in strada in tutte le principali città dell’Armenia quando il presidente uscente, Serzh Sargsyan, è stato eletto Primo Ministro dal Parlamento. L’evento è stato percepito come un abuso di potere, poiché Sargsyan conserverà in gran parte gli stessi poteri che aveva ricoperto durante i suoi due mandati presidenziali. Questa dinamica si svolge subito dopo la transizione armena del 9 aprile da regime presidenziale a regime parlamentare.

 

 

Diverse organizzazioni non governative (ONG) sponsorizzate dall’Occidente sono pesantemente coinvolte nel sistema educativo, nei servizi sociali e nelle associazioni caritatevoli dell’Armenia post-sovietica. Queste ONG hanno venduto al pubblico l’idea che i problemi economici dell’Armenia siano il diretto risultato di un governo corrotto, amico della Russia, e della stessa Russia.

 

 

Di conseguenza, le proteste si basano sull’idea che il governo di Sargsyan abbia solo peggiorato le cose per la popolazione. Dal momento che Sargsyan è ritenuto essere in combutta con i russi, e visto l’ulteriore sviluppo dei legami armeni con la Russia, queste proteste assumono quindi un valore potenzialmente disastroso, sia a livello nazionale, per gli armeni, sia geopoliticamente, poiché minacciano la posizione della Russia nella regione.

 

 

Tuttavia, negli ultimi anni l’Armenia ha giocato su entrambi i fronti, poiché si è anche avvicinata all’Unione europea con la ratifica di un accordo di cooperazione generale e rafforzata con il blocco europeo, ed ha approfondito i legami diplomatici ed economici con l’Occidente, mentre contemporaneamente assumeva impegni nell’ambito delle iniziative economiche russe nella regione. La Russia ha una brutta reputazione perché nel conflitto nel Nagorno Karabakh-Azerb sta facendo il doppio gioco, dato che sponsorizza entrambe le parti, e la percezione comune, derivata dalla propaganda di queste ONG, è che la Russia ricavi vantaggio dall’aggravarsi del conflitto.

 

 

La situazione, in effetti, ha il potenziale di una polveriera, con tutti gli elementi per innescare un malcontento popolare tale da consentire un tentativo di cambio di regime. E, in effetti, questo scenario ha tutte le caratteristiche di una rivoluzione colorata, ed il leader del movimento, Nikol Pashinyan, l’ha già definita una “rivoluzione di velluto”, un richiamo al cambio di regime avvenuto in Cecoslovacchia nel 1989.

 

 

Pashinyan ha invitato i manifestanti a bloccare le strade e impedire l’apertura di uffici governativi, ed è arrivato perfino ad affermare che il governo armeno “non ha più legittimità” e che tutte le agenzie governative e il personale di polizia dovrebbero rispondere alle “commissioni” nominate dalla sua rivoluzione.

 

 

Tenete presente, tuttavia, che Sargsyan non ha, finora, infranto alcuna legge, né violato la costituzione armena, quindi la denuncia di illegittimità da parte di Pashinyan può essere vista solo come un’istigazione infondata ad ulteriore violenza e un ostinato rifiuto di accettare qualsiasi compromesso o risoluzione pacifica della situazione attuale. L’indisponibilità al compromesso soddisfa uno dei fattori chiave che si riscontrano comunemente in molte rivoluzioni colorate.

 

 

Il tipico modo in cui avvengono le rivoluzioni colorate appoggiate dall’Occidente è quello in cui una protesta pacifica basata su legittime rimostranze viene dirottata per diventare il catalizzatore di una rivoluzione violenta. Se consideriamo la rivoluzione EuroMaidan avvenuta nel 2014, una protesta pacifica è diventata violenta dopo il massacro dei “cento eroi celesti” da parte di misteriosi cecchini, che ha fatto vittime sia tra la polizia che tra i manifestanti, finché il conflitto ha raggiunto un punto di non ritorno (qui un clamoroso quanto poco pubblicizzato reportage sulle verità nascoste della strage di Maidan, ndt) .

 

 

 

Ad oggi, la situazione nelle strade di Yerevan sembra andare nella stessa direzione, poiché le proteste sono già diventate semi-violente, e diversi agenti di polizia hanno riportato ferite da coltello. C’è da notare che questo tipo di comportamento è estraneo alla cultura armena. Quando avvengono queste tragedie, provocatori occidentali sono spesso presenti a fomentare il caos. Nella foto di alcuni degli assalitori, si noti che l’uomo a sinistra non è armeno.

 

 

 

 

Nel gennaio 2015, Sargsyan ha portato l’Armenia ad aderire al Partenariato per la pace, cosicché oggi coopera militarmente sia con le forze russe all’interno dell’Armenia che con la NATO, oltre a far parte dell’Unione Economica Eurasiatica guidata dalla Russia.

 

Sei mesi dopo questi accordi con la Russia, il governo armeno si è trovato ad affrontare disordini popolari finalizzati a un cambio di regime, come la rivolta soprannominata “Electric Yerevan“, dove a provocare il tumulto civile era il proposto aumento dei prezzi dell’elettricità. Nikol Pashinyan ha assunto una posizione di prominenza in questo movimento, così come in quello che è attualmente in corso a Yerevan e in tutta l’Armenia.

 

 

Circa un anno dopo sono scoppiate rivolte a seguito dell’arresto di un leader dell’opposizione e le proteste sono rapidamente divenute violente, arrivando fino alla presa di ostaggi e all’uccisione di due agenti di polizia in servizio, mentre i media occidentali e l’ambasciata degli Stati Uniti in Armenia si sono schierati dalla parte dei rapitori. Nel seguente video, prodotto dai media tedeschi, possiamo vedere che alcuni di questi elementi fanno presagire una rivoluzione colorata sostenuta dall’occidente, e quali siano i fattori geopolitici coinvolti.

 

 

 

 

Molti armeni sono persuasi che cambiando il loro governo e rifiutando la Russia come partner strategico dell’Armenia, nella speranza di un’integrazione con l’occidente, l’Armenia raggiungerà maggiori opportunità economiche e un tenore di vita notevolmente più alto per i suoi cittadini. Eppure, cosa ci insegna la storia sui cambiamenti di regime appoggiati dall’Occidente e le conseguenze sulle nazioni interessate? Basta considerare la situazione economica in Ucraina prima e dopo il colpo di stato, come riportato da Vesti:

 

 

“I risultati del nuovo governo sono semplicemente disastrosi per il paese. Nell’anno precedente al colpo di stato, il PIL era stimato sui $180 miliardi, nel 2017 si prevede che sarà la metà, $90 miliardi.

 

Il salario medio nel paese si è più che dimezzato, da $408 al mese a $ 196 l’anno scorso. Il tasso di cambio dell’hryvna è calato di tre volte e mezzo, da 8 a 27 per dollaro. Poiché le principali imprese high-tech sono state distrutte, l’economia ha acquisito una struttura coloniale.

 

Sempre più materie prime vengono esportate, pari a circa l’80% delle esportazioni. La metà di queste sono nel settore agrario. Il volume totale delle esportazioni è diminuito del 57%. Gli investimenti esteri diretti sono diminuiti di almeno quattro volte, da 6 miliardi all’anno a un miliardo e mezzo. Praticamente niente. E di questo niente, tuttavia, la maggior parte degli investimenti proviene ancora dalla Russia.

 

Il debito pubblico è aumentato continuamente e ora è diventato insostenibile. Da 64 miliardi di dollari è arrivato a 80 miliardi. Molti milioni di cittadini hanno lasciato il paese alla ricerca di una vita migliore. Alcuni di loro sono andati in Occidente, alcuni in Russia. Il sistema sanitario e il sistema educativo sono distrutti.

 

Così come il sistema processuale. Il saccheggio delle società è diventato la norma. La corruzione è aumentata. Il paese è in pezzi.

 

Poroshenko e la sua squadra hanno ingannato tutti: l’Occidente, la Russia e il loro popolo, per quanto riguarda le prospettive del paese, le pratiche del nuovo governo e gli Accordi di Minsk.”

 

 

Il voltafaccia alla Russia e l’adesione all’Occidente, tuttavia, non solo non produrrà il risultato economico che molti armeni sembrano sperare, ma presenta un pericolo molto reale sotto forma di una maggiore escalation del conflitto con il vicino Azerbaijan, per la questione del Nagorno Karabakh. L’ultimo conflitto in questa regione è costato la vita a circa 6.000 armeni e circa 30.000 azeri.

 

 

Inoltre, se queste proteste continueranno a degenerare nella violenza e insisteranno a chiedere un cambio di regime, e se il governo invece di dimettersi a favore dell’opposizione scegliesse di coinvolgere l’esercito, la situazione potrebbe portare a una destabilizzazione del paese. Durante questo periodo di caos, non è impensabile che gli azeri possano cogliere l’opportunità di lanciare una nuova campagna per prendere il Nagorno Karabakh, mentre il governo e le forze armene sono occupate  altrove a preservare l’ordine .

 

 

Un nuovo conflitto tra Armenia e Azerbaijan produrrebbe risultati semplicemente imprevedibili, con implicazioni geopolitiche sul ​​coinvolgimento della Russia e della NATO, visto che l’Armenia ospita basi militari russe mentre l’Azerbaijan ospita una base NATO. Ma se gli armeni dovessero interrompere i rapporti con i russi in favore dell’Occidente, il coinvolgimento russo resterebbe in una zona di incertezza, perché il conflitto sconvolgerebbe le prospettive economiche e militari della Russia nella regione. Questa rischia dunque di essere la prossima guerra per procura tra la Russia e l’Occidente.

 

 

Queste proteste sono estremamente pericolose, non solo a livello regionale, ma anche per l’equilibrio geopolitico di potere tra est e ovest, per le conseguenze che ne potrebbero scaturire se dovessero andare avanti incontrollate. Benché le proteste contro il governo di Sargsyan non rappresentino nulla di nuovo, tenendo conto degli sviluppi degli ultimi anni, quelle in atto al momento differiscono dalle predenti perché, se le rivolte precedenti erano limitate solo a Yerevan, attualmente i disordini sono su scala nazionale, e quindi rappresentano una pericolo maggiore. Nel frattempo, gli armeni in buona fede non si rendono conto che la loro protesta viene utilizzata dalle potenze internazionali come una semplice pedina su uno scacchiere globale.