Il destino di questo testo di quaranta pagine è quello di essere evocato più che letto.
Al di là della bizzarra forma d questo testo con tanto di firme autenticate da un pubblico ufficiale, al di là di quello che c’è scritto e di quello che non c’è scritto, il contratto è un’operazione politica efficace e meno naif di quello che molti soloni ci vogliono spiegare in queste ore. Per molti cittadini, anche non elettori di quei due partiti, è un fatto positivo che queste due forze politiche abbiano scritto – nero su bianco, come si diceva una volta – quello che vogliono fare nei prossimi cinque anni, per molte persone, al di là di quello che c’è scritto – che tanto non leggeranno mai – questo testo è un elemento di serietà e di concretezza. Il contratto è forma più che sostanza, è il contenitore più del contenuto, e quindi mi pare che il governo nascente abbia già segnato il primo punto a proprio favore.
Poi ovviamente il testo è generico e fumoso, quasi quanto le slides renziane o i preamboli democristiani: un lungo impegno di buoni propositi, di quelli che che vanno a bene tutti, perché tutti vogliono una scuola migliore, una sanità che funzioni, tutti dicono che il lavoro è un valore, che la cultura è una risorsa fondamentale, tutti chiedono di combattere la corruzione e i privilegi, e via così, da una banalità all’altra. Nel contratto ci sono cose che abbiamo già letto tante volte, anche scritte meglio. C’è anche l’abolizione del Cnel, uno dei cavalli di battaglia della riforma renziana. Questo sarà il governo del cambiamento, che è sostanzialmente quello che ci hanno detto tutti i governi che si sono succeduti in questi venticinque anni: tutti erano il governo del cambiamento.
Poi ci sono i dettagli, dove – come noto – sta il diavolo. Il contratto prevede che le persone con alto reddito e le società paghino meno tasse e questo fa capire che si tratta chiaramente di una scelta di classe: questo governo vuole ridistribuire la ricchezza, togliendo ai poveri per dare ai ricchi. Il punto alla fine è tutto qui: scegliere da che parte schierarsi nella guerra di classe. E Salvini e Di Maio hanno scelto.

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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