Di Conn Hallinan

 

Il problema è: l’amministrazione Trump ha già preso la decisione di andare in guerra con l’Iran, simile alla determinazione dell’amministrazione Bush di invadere l’Iraq subito dopo gli attacchi del 2001a New York e Washington?

Le previsioni sono cose rischiose e poche istituzioni umane sono più incerte della guerra. Vari sviluppi si sono uniti per indicare che la base logica dell’usare le sanzioni per costringere a una rinegoziazione del Piano d’Azione Congiunto Globale

(Joint Comprehensive Plan Of Action – JCPOA), è una copertura per un futuro attacco militare da parte di  Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita, mirato a un cambiamento di regime a Teheran.

Mentre  l’amministrazione Trump non ha  idea della politica estera, le persone attorno alla Casa Bianca  – in particolare il Consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton – sanno che raramente le sanzioni producono dei risultati, e quelle unilaterali quasi sempre falliscono.

Le sanzioni mirate a Cuba, alla Corea del Nord, all’Iraq e alla Libia, non hanno rimosso nessuno di quei regimi e, nel caso della Corea del Nord, hanno spronato Pyongyang a produrre armi nucleari. Saddam Hussein dell’Iraq e Muammar Gheddafi della Libia alla fine sono stati spodestati, ma dal fuoco americano, non dalle sanzioni.

L’unico caso in cui le sanzioni hanno prodotto dei risultati, sono state quelle applicate

all’Iran dal 2010 al 2015. Questo embargo, però è stato unilaterale e comprendeva la Cina, l’India e  uno dei maggiori clienti dell’Iran, l’Unione Europea. Quando gli Stati Uniti  hanno applicato le sanzioni in  maniera unilaterale a Cuba, all’Iran e alla Libia nel 1996, la mossa è stata un fallimento vistoso.

Questa volta la Casa Bianca non ha fatto nessuno sforzo di coinvolgere altri paesi.  Il piano di Trump è di usare il potere dell’economia americana per mettere in linea le nazioni usando le maniere forti. Appoggiare le nostre sanzioni, minaccia l’amministrazione o perdere l’accesso al mercato statunitense. E dato che il mondo usa il dollaro come valuta internazionale di fatto, le istituzioni finanziarie potrebbero trovarsi escluse dalla fruizione della Società per le telecomunicazioni finanziarie interbancarie mondiali (SWIFT Society for Worldwide Interbank Telecommunications) ), cioè la rete a controllo americano che permette alle banche e ai centri della finanza di trasferire il denaro da un paese all’altro.

Queste minacce non hanno esattamente gettato nel panico il resto del mondo. La Cina e l’India che tra di loro comprano più di 1 milione dei 2,1 milioni di barili di produzione giornaliera  dell’Iran, dicono che ignoreranno le sanzioni. Secondo Federica Mogherini, ministro degli affari esteri dell’UE: “L’UE è determinata ad agire in accordo con i suoi interessi per la sicurezza e a proteggere i suoi investimenti economici.”

Aggiungendo tutti i paesi che acconsentiranno alle sanzioni, compresi la Corea del Sud e il Giappone, taglieranno le esportazioni di petrolio di Teheran del 10% e fino al 15%, niente a che vedere con il 50% extra  che l’Iran ha perduto nel precedente periodo di sanzioni.

In breve, le sanzioni non funzioneranno, ma si voleva davvero che funzionassero?

E’ possibile che la Casa Bianca in qualche modo pensi che funzioneranno – l’illusione è una caratteristica dello Studio Ovale in questi giorni – ma altri sviluppi

Indicano che l’amministrazione sta già mettendo in atto un piano che porterà dalle sanzioni economiche a incursioni di bombardamenti.

Innanzitutto, c’è uno stretto coordinamento tra la Casa Bianca e Tel Aviv. Il discorso del 30 aprile del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, poco prima che Trump si ritirasse dall’accordo con l’Iran, è stato fatto su misura per fornire a Washington una causa per “mollare” l’accordo. Praticamente, tutto quello che Netanyahu ha “rivelato” circa il programma nucleare iraniano era una notizia vecchia, già nota ai servizi di intelligence di Stati Uniti,  Israele ed Europa.

Quattro giorni prima del discorso di Netanyahu, il Ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, e, secondo Al Monitor, ha avuto il “semaforo verde” per qualsiasi azione militare che Tel Aviv potrebbe intraprendere contro l’Iran.

Lo stesso giorno in cui Lieberman si incontrava con il Pentagono, il Segretario di Stato americano Mike Pompeo diceva all’Arabia Saudita di porre fine alla sua campagna contro il Qatar, perché gli Americani volevano che il Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) si unisse attorno a una campagna contro l’Iran.

Ognuna di queste mosse sembrava calcolata per gettare le basi di uno scontro duiretto con l’Iran che comportava una certa mescolanza di Stati Uniti, Israele,                     e dei due membri più aggressivi del GCC, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (UAE). Questi ultimi stanno facendo guerra agli Houthi in Yemen, che sono appoggiati dagli Iraniani.

E’ quasi impossibile immaginare quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra di questo genere. Sulla carta, sembra un gioco da ragazzi per l’asse anti-Teheran. L’Iran ha una forza aerea antiquata, una manciata di motoscafi e carri armati che risalgono agli anni ’60. I bilanci militari di Stati Uniti, Israele e GCC sono più di 58 volte maggiori di quelli dell’Iran. Però, come Klaus von Clausewitz ha fatto notare una volta, l’unica cosa che si può determinare in una guerra, è chi spara il primo colpo.

La potenza militare potrebbe non trasformarsi in una vittoria automatica. Dopo quasi 17 anni di guerra, gli Stati Uniti sono ancora impantanati in Afghanistan, e hanno fondamentalmente lasciato l’ Iraq con la coda tra le gambe. In effetti, l’ultima volta che l’esercito americano ha vinto una guerra, è stato a Grenada. In quanto al GCC, malgrado più di due anni di guerra senza sosta in Yemen, i monarchi non sono per nulla più vicini a una vittori, di quanto lo erano quando la guerra è iniziata. Ed Hezbollah ha obbligato Israele a una situazione di stallo nel 2006.

Mentre l’Iran non ha molto in materia di forza militare, ha 80 milioni di persone con una forte vena di nazionalismo che si unirebbero certamente contro qualsiasi aggressore. Sarebbe impossibile “vincere” una guerra contro l’Iran senza ricorrere a un’invasione di terra.

Nessuno degli antagonisti dell’Iran, però ha la capacità di attuarla. I Sauditi hanno una scarsa storia militare  e le truppe  degli EAU sono in stallo nella loro campagna per prendere la  capitale dello Yemen, Sana’a  alla milizia Houthi, messa insieme alla buona.  Gli Israeliani non hanno le truppe e, in ogni caso, non le metterebbero mai in pericolo così lontano da casa, e  gli Americani  non stanno per mandare i Marines.

L’ipotesi più probabile è che sarebbe una guerra con aerei e con missili che distruggerà le forze armate dell’Iran e le sue infrastrutture civili. C’è poco che Teheran può fare per fermare questo assalto. Qualunque aereo sarebbe finito,  le sue armi antiaeree sono obsolete e la sua marina non durerebbe a lungo.

Schiacciare le forze armate di Teheran non vuol dire, però, vincere una guerra, e l’Iran ha altri modi di reagire. Gli Iraniani, per esempio, hanno dimostrato una notevole abilità in una guerra asimmetrica in Iraq, Siria e Yemen, e hanno dei missili.

IL vero danno, tuttavia, saranno le conseguenze negative della guerra. Il prezzo del petrolio è già in aumento, e le ostilità in un paese con i più grossi depositi di petrolio del mondo, è probabile che lo faranno arrivare alle stelle.

Mentre questo sarebbe una cosa buona per il GCC, gli alti prezzi del petrolio ammaccheranno le economie di UE, Cina, India e perfino degli Stati Uniti.

Quello che certamente farà una guerra sarà di riavviare l’iniziativa dell’Iran di costruire un’arma nucleare. Se questo accadrà, l’Arabia Saudita seguirà l’esempio e il mondo a che fare con  varie potenze nucleari in una delle regioni più instabili del mondo.

Questo non vuol dire che la guerra sia inevitabile.

I falchi dell’amministrazione Trump hanno infranto lo JCPOA perché speravano che anche l’Iran si sarebbe ritirato, dando all’asse anti-iraniana la scusa per dare inizio a una guerra. Gli iraniani sono divisi su questo argomento: alcuni chiedono che Teheran riprenda il suo programma di arricchimento dell’uranio, mentre altri difendono l’accordo. L’Europa può svolgere un ruolo fondamentale in questo appoggiando l’accordo congiunto e opponendosi alle sanzioni americane, anche se questo significa subire un brutto colpo finanziario.  Alcune ditte europee, tuttavia, hanno già annunciato che stanno ritirando i loro investimenti.

Anche il Congresso degli Stati Uniti può contribuire a fermare la guerra, anche se questo richiederà che i suoi membri – per lo più Democratici – mettano da parte i loro pregiudizi anti-iraniani e facciano causa comune con gli iraniani dello “stare ai patti”.     Un sondaggio della CNN ha trovato che il 63% degli americani si opponeva al ritiro dall’accordo.

Significherà che il Congresso – di nuovo, principalmente i Democratici – dovrà affrontare il ruolo che Israele sta svolgendo. Non sarà facile, ma forse non così difficile come era stato in passato. La brutalità di Israele contro i palestinesi il mese scorso non gli ha fatto ottenere degli amici, tranne che alla Casa Bianca e nel “giro” degli Evangelici, e Netanyahu ha chiarito che preferisce i Repubblicani ai Democratici.

Infine, il Congresso dovrebbe tagliare il canale delle armi al GCC e smettere di aiutare i Sauditi nella loro guerra allo Yemen.

Se ci sarà una guerra, gli americani si troveranno in mezzo a un conflitto impossibile da vincere che destabilizzerà il Medio Oriente e l’economia mondiale, e riverserà ancora più risorse di questo paese ancora in un altro nuovo  pantano.

Nella foto: Donald Trump mostra il memorandum sull’Iran subito dopo la sua firma

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/iran-sanctions-a-prelude-to-war

Originale : Dispatches From The Edge

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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