1 settembre 2016, il Senato brasiliano ha destituito Dilma Rousseff dalla presidenza del paese in un “processo politico” in cui è stata condannata per presunta manipolazione del bilancio pubblico.

Tra il 2 novembre 2017 ed il 6 marzo 2018, l’ex presidentessa argentina Cristina Fernandez de Kirchner ha ricevuto tre procedimenti penali, due per presunti reati di corruzione e uno per aver, ipoteticamente, interferito nelle indagini dell’attentato dell’AMIA, avvenuto a Buenos Aires nel 1994.

Il 24 gennaio 2018 la Corte Suprema del Brasile ratifica la sentenza contro quello che è stato il presidente del paese, e attuale candidato meglio piazzato nei sondaggi per le prossime elezioni presidenziali, Lula da Silva, condannato a 12 anni di carcere per corruzione. Finisce in prigione nell’aprile 2018 e risulta inabilitato per la rielezione presidenziale.

Il 9 aprile 2018 la Procura della Repubblica di Colombia esegue un mandato di arresto, al fine d’estradizione, degli USA contro un deputato eletto del partito eletto FARC e responsabile per l’attuazione dell’Accordo di Pace, Jesus Santrich, per un presunto reato di cospirazione per esportare cocaina negli USA. Da allora permane in carcere, appartato dall’attuazione dell’accordo di pace e senza aver preso possesso del suo seggio nella Camera Legislativa, nonostante non ci siano accuse contro di lui in Colombia.

Il 3 luglio 2018, un tribunale ecuadoriano emette un ordina d’arresto, ed un mandato di cattura internazionale, contro l’ex presidente Rafael Correa. In precedenza, il 14 dicembre 2017, il vicepresidente Jorge Glas, accusato di corruzione, era condannato a sei anni di carcere. E il 17 giugno 2018 era catturato a Madrid, su richiesta dell’Ecuador, Pablo Romero, che faceva parte della squadra governativa di Rafael Correa.

“La legittimità concessa al processo di giudirizializzazione della politica emana dal consenso sulla “corruzione “come problema fondamentale dell’America Latina”. Questa premessa, carica di ragione formale, è stata espressa dalle istituzioni finanziarie internazionali e dalle agenzie governative USA promotrici dell’Aggiustamento Strutturale dello Stato nel decennio ’90. Si sta usando per attaccare governi, forze politiche e dirigenti di sinistra dell’America Latina che si oppongono agli aggiustamenti neoliberali dettati dal FMI, affermando che il “populismo di sinistra” presentano un problema di corruzione strutturale, omettendo che la corruzione è intrinseca al neoliberismo ed alle politiche di regolazione ed austerità.

Contro tutti coloro che hanno implementato, con successo, alternative alle politiche neoliberali si è usato il ‘lawfare’, la “guerra giuridica asimmetrica”, che ha sostituito la dottrina della Sicurezza Nazionale -guerra contro insorti- che veniva insegnata dalle Scuole delle Americhe. Ora sono giudiziarie le scuole da cui il Nord espande la sua strategia per mettere fine ai governi di sinistra inabilitando, politicamente, i dirigenti che cercano di riscattare la sovranità nazionale dei loro popoli.

Guerra giuridica o ‘lawfare’ è una parola inglese che corrisponde ad una contrazione grammaticale delle parole “legge” (Law) e “guerra” (warfare), che descrive una forma di guerra asimmetrica. Una “guerra giuridica”, che si dispiega attraverso l’uso illegittimo del diritto nazionale o internazionale con l’intento di danneggiare l’avversario, ottenendo così la vittoria in un campo di battaglia delle relazioni politiche pubbliche, paralizzando politicamente e finanziariamente gli oppositori, o immobilizzandoli giudizialmente in modo tale che non possano perseguire i propri obiettivi né presentare le proprie candidature alle cariche pubbliche. Così descrive il “lawfare” il “Rapporto dell’Incontro degli esperti a Cleveland sull’11 settembre e le sue conseguenze”, dell’anno 2010.

Il “lawfare” si mostra ora a tutta intensità. La sua pianificazione è iniziata anni fa, mentre la sinistra in America Latina poneva in moto sistemi democratici più partecipativi ed egualitari che erano supportati dalle maggioranze. Mentre ciò accadeva, le forze neoliberali, guidate dall’ “establishment” USA, progettavano la nuova strategia di lotta e discredito di quei movimenti politici che mietevano successi per la sinistra.

Ritorniamo al 16 ottobre 1998. L’ex dittatore cileno Augusto Pinochet era arrestato a Londra, accusato di crimini contro l’umanità da un ordine emesso dal giudice Garzón su richiesta di gruppi di difensori delle vittime. La fine della “guerra fredda” provocò il disorientamento strategico del suo vincitore, gli USA. Era essenziale definire un nuovo nemico che permettesse di mantenere il conglomerato militar-industriale base del sistema capitalista che piegò i paesi socialisti. Quel periodo di disorientamento permise l’esercizio di azioni penali da parte di paesi terzi -la “giurisdizione universale” contemplata nelle legislazioni nazionali da anni, ma impossibile da applicare durante la ‘guerra fredda’-, si sarebbe convertita in un potente strumento contro i regimi autoritari responsabili di crimini contro l’umanità, condotte illecite eseguite per reprimere le aspirazioni al cambiamento dei popoli.

Furono anni di espansione della “giurisdizione universale”. All’arresto di Pinochet fece seguito l’avvio di procedimenti giudiziari, guidati da gruppi di vittime, contro militari e politici argentini, uruguaiani, colombiani, congolesi, USA, israeliani … responsabile di massicce violazioni dei diritti umani.

La risposta delle democrazie occidentali non fu di espandere la giurisdizione universale, ma combattere l’opportunità aperta di far rispettare il diritto internazionale e porre fine all’impunità per i crimini internazionali. Le controriforme legali della “giurisdizione universale” in Belgio, nel 2003, ed in Spagna, negli anni 2009 (PSOE) e nel 2014 (PP), sono esempi di questa regressione, così giustificata:
“(…) La giurisdizione universale può usarsi per motivi politici o per scopi vessatori, e può influenzare negativamente l’ordine mondiale causando inutili frizioni tra gli stati, potenziali abusi delle procedure legali e privazione dei diritti umani individuali” (IBC Revue internationale de droit Penal, 2008/1, Vol. 79).

Coloro che mantengono l’attuale ordine mondiale hanno appreso le lezioni sulle potenzialità della “giurisdizione universale” -facile accessibilità, basso costo ed alta efficienza- per usarla a favore dei loro interessi. Cominciò il disegno di nuove strategie che gli avrebbero permesso di mantenere il loro potere e la capacità di intervenire quando fosse necessario. A causa degli effetti politici controproducenti che ebbe la dottrina della Sicurezza Nazionale -torture, sparizioni forzate, dittature, proteste sociali … – dalla fine della Guerra Fredda gli USA non usano come prima opzione l’attuazione di regimi autoritari, se gli è possibile mantenere il controllo su qualsiasi paese attraverso un’apparenza più democratica.

L’intervento giuridico diventa un’ efficace opzione sempre che ci sia un piano per ottenere l’obiettivo desiderato. Il piano richiede una tattica -intervento giuridico-politico per cooptare il potere giudiziario e gli operatori giuridici-, alcune risorse -scuole e programmi di formazione per giudici e giuristi- e alcuni obiettivi: rovesciare i governi che cercano di riscattare la sovranità nazionale dei loro popoli. La strategia è screditare le forze politiche che li dirigono ed inabilitare elettoralmente e distruggere politicamente i leader che li guidano.

I precedenti di questa strategia giuridico-politica li troviamo nella cosiddetta “guerra contro il terrorismo” lanciata dopo l’11 settembre 2001. Gli USA hanno cercato di creare una nuova interpretazione del diritto applicabile ai conflitti armati, pretendendo far sparire, gradualmente, l’abissale differenza tra il diritto penale nazionale e diritto umanitario internazionale. Hanno cercato d’imporre nuove categorie giuridiche non previste dalle leggi interne o internazionali, come il “combattente nemico illegale” o il proprio diritto unilaterale di “monitorare ed agire” con cui giustificano l’uso di droni assassini.

Un altro passo è stata la massiccia giudiziarizzazione della politica col sostegno del consenso sulla “corruzione”, ampiamente applicata ai dirigenti della sinistra alternativa latinoamericana che hanno cercato di garantire la sovranità nazionale contro l’ingerenza.

Dall’inizio del XXI secolo, hanno iniziato ad investire risorse nei programmi di cooptazione delle istituzioni giudiziarie di molti paesi, specialmente quelli dell’America Latina. “Le “Scuole delle Americhe” per militari sono state sostituite da scuole giudiziarie e programmi di formazione giuridica, tanto negli USA -dove accorrono a ricevere dottrina giudici ed operatori giuridici-, come nei paesi del Sud America, dove, attraverso generosi finanziamenti dell’Agenzia USA per lo sviluppo, USAID, si sono create, e  controllato politicamente, le scuole di formazione giudiziaria.

In Colombia, dal momento della creazione della scuola di formazione del potere giudiziario “Rodrigo Lara Bonilla”, finanziata dall’USAID, si è passato dal sistema giuridico di natura ‘continentale’ -imperio della legge scritta- previsto dalla Costituzione Politica ad un sistema di precedenti giudiziari -“commun law” USA- carente di supporto costituzionale. Ora sono i giudici della Corte Costituzionale che redigono le leggi attraverso il processo di revisione costituzionale. Nel caso sentenziare che una legge non è conforme alla Costituzione, procedono a darle una nuova redazione che agisce come una seconda e definitiva camera legislativa.

In America Latina assistiamo alla progressiva sostituzione dei sistemi penali inquisitivi o misti,  col sistema penale accusatorio ad immagine e somiglianza degli USA, causando uno smisurato potenziamento delle procure nazionali, che in pratica operano sulle istruzioni, informazioni e “indictments” (accuse) indirizzati dal sistema giudiziario USA.
Il piano progettato per l’espansione della “lawfare” ha iniziato a raggiungere i suoi obiettivi. Dilma Rousseff, Fernando Lugo, Cristina Kirchner, Lula, Jesus Santrich, Rafael Correa … tutti loro sono stati oggetto di questa strategia politico-giuridica che li immobilizza politicamente in questa nuova guerra giuridica. L’obiettivo è screditare loro e le loro forze politiche equiparandoli a criminali comuni e inabilitandoli elettoralmente.

Il potere giudiziario che ha permesso che l’America Latina fosse uno dei continenti con più corruzione istituzionale -in molti casi beneficiato da essa- che non fu mai capace di combatterla, ora si è convertito in un’arma di intervento diretto negli affari politici interni, al servizio degli interessi delle oligarchie e delle forze conservatrici straniere e locali.

La guerra giuridica implica una grande retrocessione nei processi di rafforzamento istituzionale dei paesi dell’America Latina. Il Potere Giudiziario dovrebbe rimanere fuori dal confronto politico per evitare di ripetere fallimenti istituzionali di altri tempi che hanno causato grave crisi di legittimità e la disaffezione popolare. Questa ingerenza negli affari politici implica l’annullamento dell’indipendenza della magistratura per sua cosciente politicizzazione, e provoca, inevitabilmente, la scomparsa della divisione dei poteri alla base dello stato di diritto. Il ‘lawfare’ si è convertito in uno dei maggiori pericoli per la democrazia in tutto il mondo e specialmente in America Latina.

di Enrique Santiago Romera

da Cubadebate

traduzione di Francesco Monterisi

http://it.cubadebate.cu/notizie/2018/08/24/america-latina-la-guerra-giuridica-contro-la-democrazia/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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