A proposito della detenzione del capo del PT brasiliano Lula, una riflessione sulla restrizione della sovranità popolare e sulla degenerazione delle democrazie capitaliste, a cura di due compagni sudamericani della FT, presente in Brasile con il MRT.

È conosciuta la nostra critica a sinistra a quelli che sono stati i governi del Partito dei Lavoratori (Partido dos Trabalhadores, PT) in Brasile. Abbiamo denunciato non solo il suo programma di conciliazione delle classi (che non ha modificato il nucleo dell’architettura neoliberale costruita da Fernando Henrique Cardoso [presidente del Brasile dal 1995 al 2003, ndt]) e il suo sistema di alleanze (con partiti fortemente reazionari e corrotti) che portò fino al punto che fu la stessa Dilma Rousseff  a dare inizio ad una politica di risanamento che ha condotto alla perdita della base sociale e ha aperto sfacciatamente la strada alla destra portando al golpe istituzionale, al quale siamo con forza contrari. In seguito al golpe il  PT ha frenato la lotta nelle strade per sconfiggere il governo golpista di Temer, puntando sulle negoziazioni per tornare al governo per via elettorale nel 2019. La risposta della destra e del “partito giustizialista” fu l’incarcerazione di Lula e l’intenzione manifesta di impedire la sua candidatura alle presidenziali. Senza dare, per tanto, un appoggio politico a Lula e al PT, ripudiamo l’intento di proscrivere la sua candidatura alle presidenziali e che siano giudici non eletti dal popolo a determinarlo violando il diritto della popolazione a votare per chi credono.

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Vari paesi dell’America Latina stanno vivendo tentativi di limitare fortemente il diritto alla sovranità popolare mediante il ricorso alla proibizione o all’intento di proibire alcune candidature. Il caso più emblematico è quello di Lula in Brasile, proclamato candidato presidenziale per il PT e che secondo gli ultimi sondaggi di IBOPE risulta primo nelle intenzioni di voto con un 37%  in favore (mentre tutto il resto dei candidati sommati raggiunge un 39%). Ad oggi la cosa più probabile è che la giustizia elettorale brasiliana estrometta la sua ricorrendo alla legge “Fedina pulita” che lo stesso PT e anche lo stesso Lula hanno votato nel 2010. Secondo questa legge chi abbia una condanna in seconda istanza, come nel caso dell’ex presidente brasiliano, non può essere candidato alle elezioni. Facciamo notare che in questo caso siamo davanti ad un processo giudiziario completamente irregolare che si inserisce nel golpeistituzionale che ha deposto Dilma Rousseff dalla presidenza, e non motivato da un atto di corruzione ma dall’aver presumibilmente modificato la destinazione di voci del bilancio, una pratica abituale del potere esecutivo in Brasile.

L’accusa nei confronti di Lula è quella di aver ricevuto sotto forma di  “donazione” un appartamento a Guarujá, accusa che non ha potuto essere comprovata, ma a causa della quale è stato condannato e incarcerato. Per questo, al leader del PT, a campagna elettorale già iniziata, non si permette di essere presente nei dibattiti televisivi ne di incontrare i suoi sostenitori. Ricordiamo che la prigionia di Lula è eseguita in base a una decisione niente affatto unanime del Tribunale Supremo, con un solo voto di differenza, e sotto le minacce dei capi militari di invadere le strade se l’ex dirigente metalmeccanico fosse stato liberato.  Lo scorso venerdì una commissione tecnica di 17 giuristi dell’ONU ha proposto che Lula abbia il diritto di assistere ai dibattiti in videoconferenza e di poter andare tra i suoi sostenitori. Nonostante la legge brasiliana preveda chiaramente il carattere vincolante per la giustizia locale di una risoluzione di questo tipo,  si sono rifiutati di rendere effettiva questa risoluzione democratica elementare.

A dispetto di questa situazione un editorialista del giornale Folha di S. Paolo il sociologo e dottore in Geografia Demétrio Magnoli, segnala in un recente articolo, “Sotto la tutela dei giudici”, che il caso Lula dimostra che la legge “Fedina pulita” deve essere derogata giacché pone i giudici e le loro decisioni al di sopra della sovranità popolare. Ricorda che nel caso dell’Irlanda del Nord, Boby Sands fu eletto deputato nel 1981 pur essendo in prigione, anche se non gli fu possibile ricoprire l’incarico causa la morte, un mese dopo la sua elezione, in seguito allo sciopero della fame che stava portando avanti perché gli venisse riconosciuto lo stato di prigioniero politico. Dopo questo fatto la legge britannica vietò a chi avesse ottenuto una condanna a più di un anno di prigione la possibilità di essere candidato. Non possiamo che essere d’accordo con Magnoli quando rispetto a ciò evidenzia che, votata “nel bel mezzo della tragedia del conflitto irlandese, la legge rappresentò un passo indietro della democrazia britannica: un intrusione del potere giudiziario nella sfera della rappresentanza popolare”. Magnoli fa anche giustamente notare che la legge “Fedina pulita” “trasferisce il potere del popolo ai giudici” e che la sua base filosofica “è il concetto che l’elettorato necessita della tutela di un oligarchia di saggi”. In relazione a tutto questo ci si chiede ironicamente se il Congresso eletto in Brasile nel 2014, con la legge “Fedina pulita” in vigore, probabilmente il più corrotto, elitista e retrogrado del dopo-dittatura, sia migliore di quello eletto nel 2010. Questo ragionamento ha il merito di evidenziare la contraddizione tra l’esercizio della sovranità popolare e le legislazioni che limitano questo diritto, prevedendo che siano i giudici coloro i quali decidono chi può essere candidato e chi no, e difendendo, allo stesso tempo, l’autonomia che dovrebbe avere la decisione popolare. Sotto questo aspetto questo ragionamento si colloca su posizioni infinitamente più democratiche di quelle che vengono sostenute da sinistra, è il caso del PSTU e della CST in Brasile e di Izquierda Socialista in Argentina, che sostengono le parole d’ordine “carcere a Lula e a tutti i corrotti” e rifiutano la difesa del diritto elementare a poter essere candidato, legittimando il “bonapartismo giudiziario” golpista e antidemocratico di Sergio Moro e del “partito giudiziario” del pese vicino. La maggioranza del PSOL (Partito Socialismo e Libertà), da parte sua, difende il diritto di Luka alla candidatura solo parzialmente, come ha mostrato l’assenza sistematica in tutta la campagna e la mancanza di rilevanza di questo tema nei dibattiti per le presidenziali e negli interventi del loro candidato Guillherme Boulos.

Tuttavia, la difesa che fa Magnoli del principio di sovranità popolare è del tutto incoerente, dal momento che sostiene che il PT non ha ora il diritto di protestare avendo votato la legge che viene utilizzata oggi contro Lula, nonostante il processo che  ha portato alla sua incarcerazione e che molto probabilmente gli impedirà di candidarsi è stato interamene irregolare. E per di più lascia inadempiuti le delibere della Commissione dell’ONU (che ribadiamo essere vincolanti secondo la legislazione brasiliana) per cui devono essere rispettati i diritti di Lula come candidato presidenziale.

Come socialisti rivoluzionari, crediamo di dover difendere incondizionatamente la priorità del diritto di  sovranità popolare (così come la deroga a tutte le leggi che ne impongono un restringimento) sostenendo quindi il diritto di Lula ad essere candidato.

Nella democrazia borghese il principio della “divisione dei poteri” ha il ruolo, prima di tutto, di limitare gli avanzamenti della sovranità popolare, con la pretesa di favorire l’equilibrio (“check and balance” lo chiamarono i “padri fondatori” della democrazia statunitense)  tra loro. Così chi esercita più direttamente il mandato popolare, i deputati, restano relegati all’attività legislativa, e dato che non sono revocabili e, grazie a redditi simili a quelli dei dirigenti d’impresa e a diversi privilegi, diventano parte di una vera e “casta” di politici professionisti. Nei sistemi istituzionali come quello statunitense, argentino o brasiliano, il potere esecutivo possiede poteri da monarca e i ministri, che sono coloro i quali prendono decisioni di governo giorno per giorno, non sono eletti attraverso suffragio popolare ma designati dal presidente della Nazione. Il potere giudiziario d’altro canto è concepito come un potere “contro maggioritario”, plasmato su una casata vitalizia e privilegiata, con tribunali superiori (come la Corte Suprema argentina) designati a partire da negoziazioni tra le forze politiche predominanti e senza intervento del voto popolare nella designazione dell’insieme di giudici e procuratori. Se originariamente questo equilibrio di poteri si fondò sull’opposizione alla tirannia ,in senso opposto all’assolutismo monarchico, di certo il ruolo storico è stato quello di limitare al  minimo l’incidenza della sovranità popolare nelle democrazie borghesi basata sulla difesa della legalità e della proprietà capitalista, qualcosa che possiede solo un’infima minoranza della società, che deve le sue garanzie e la sua ricchezza all’appropriazione del lavoro non pagato della classe operaia, il plusvalore. Allo stesso modo il sistema legale si basa su costituzioni risalenti a due o trecento anni (vari decenni nel migliore dei casi) in molti dei loro nuclei fondamentali, che vengono celebrati come sacralizzazione del “potere costituito” e che limitano il “potere costituente” del popolo lavoratore. Per il pensiero conservatore, i testi costituzionali sono intesi come una sorta di verità eterna che devono reggere la vita delle società anche quando le circostanze storiche (e le relazioni di potere alle quali rispondono) sono cambiate sostanzialmente da quando furono scritte.

Questa posizione è in contrapposizione ai princìpi più avanzati e democratici che hanno sostenuto i rappresentanti più rivoluzionari della borghesia. I giacobini, per esempio, postularono durante la rivoluzione francese il diritto di tutte le generazioni a fare una propria costituzione.

 

La Comune di Parigi e la rivoluzione russa

Non solo nella teoria ma anche nella pratica rivoluzionaria, il movimento operaio è andato oltre questioni messe in campo da Marx e dai “marxisti classici”. La Comune di Parigi del 1871, prima, e i consigli operai (soviet) in seguito alla vittoria della rivoluzione d’ottobre del 1917, poi, si basarono su un principio diverso da quello della divisione dei poteri che coniugava, negli organismi di potere eletti, le attività legislativa ed esecutiva e di fronte ai quali i tribunali popolari dovevano. Non è tutto. Misero in atto un principio per cui la rappresentanza politica non fosse realizzata da una burocrazia privilegiata e rimpiazzarono il potere armato posto a difesa di una minoranza privilegiata  con l’organizzazione armata del popolo lavoratore.

Sull’esperienza della Comune di Parigi, Lenin scrive in “Stato e Rivoluzione” che in luogo di “istituzioni speciali di una minoranza privilegiata (la burocrazia privilegiata, i capi dell’esercito permanente), le stesse occupazioni possono essere svolte direttamente dalla maggioranza, e quanto più ampiamente intervenga il  popolo nell’esecuzione delle funzione proprie del potere dello Stato tanto meno c’è la necessità dell’esistenza di questo potere”. Tra le misure decretate dalla Comune risalta, come già fece Marx, l’abolizione di tutte le indennità di rappresentanza, di tutti i privilegi pecuniari dei funzionari, la riduzione degli stipendi di tutti i funzionari dello Stato al pari del “salario di un operaio”.  Per Lenin, qui “è dove trova espressione nel modo più evidente la svolta della democrazia borghese nella democrazia proletaria, dalla democrazia della classe degli oppressori alla democrazia della classe oppressa, dallo Stato “forza specializzata” per la repressione di una determinata classe alla repressione degli oppressori attraverso la forza congiunta della maggioranza del popolo, degli operai e dei contadini”.

Continua di seguito: “La completa eleggibilità e la revocabilità in qualsiasi momento di tutti i funzionari senza eccezione; la riduzione dello stipendio allo stesso limite del “salario corrente di un operaio”: queste misure democratiche, semplici e “evidenti per se stesse”, nel momento in cui unificando in assoluto gli interessi degli operai e della maggioranza dei contadini, servono da ponte che conduce dal capitalismo al socialismo. Questi provvedimenti hanno a che fare con la riorganizzazione dello Stato, ovvero una riorganizzazione sul piano puramente politico della società ma è evidente che acquistano il loro senso compiuto e la loro importanza in connessione all’“espropriazione degli espropriatori” realizzata o in procinto di esserlo, vale a dire, con la trasformazione della proprietà privata capitalistica sui mezzi di produzione in proprietà sociale”.

L’Unione Sovietica prima della vittoria del “termidoro” stalinista, ovvero, della contro rivoluzione burocratica, si basò sull’esperienza della comune (non a caso Lenin scrive “Stato e Rivoluzione” tra febbraio ed ottobre) al fine di rafforzare questi principi ponendoli in accordo alle condizioni particolari della Russia sovietica, dove il proletariato costituiva una minoranza della società in confronto ai contadini e in cui esisteva un elevato grado di arretratezza  che rendeva molto difficoltosa la costruzione socialista. La situazione era aggravata dalla spietata guerra civile tra le forze contro rivoluzionarie interne ed esterne, problematiche che limitarono il pieno esercizio della democrazia sovietica.

Originariamente era la “Dichiarazione dei diritti del popolo, dei lavoratori e degli sfruttati”  a guida delle attività dell’insieme dei soviet, con il Congresso Panrusso dei Soviet come organo di massima sovranità, con l’inclusione dell’attribuzione di liquidare la divisione tra il “diritto positivo” (leggi normali) e “leggi fondamentali” (principi costituzionali). L’unica eccezione erano i diritti delle nazioni sotto il giogo secolare dell’oppressione della Grande Russia. Per evitare che questa continuasse, fu creato il “Soviet delle nazioni”, che aveva il diritto di veto su tutte le risoluzioni che le riguardasse. Non dimentichiamo che era una “Unione di Repubbliche Socialiste Sovietiche”. Vale a dire, che il diritto di autodeterminazione, inclusa la separazione, era senza condizioni. La Costituzione de 1924, posteriore alla guerra civile, stabiliva che gli emendamenti e i cambiamenti a i principi base della costituzione erano competenza del Congresso Straordinario dei Soviet dell’URSS. Per la repubblica dell’unione si stabilì il diritto di separazione dall’URSS, e che qualsiasi cambiamento delle frontiere potesse essere realizzato solo con il loro consenso, almeno fino al momento in cui sarebbe stata realizzata una cittadinanza unificata dell’Unione. Il testo esprime con chiarezza l’articolazione del potere sovietico, anche se molto di ciò lì previsto cominciava ad essere lettera morta a partire dal processo di burocratizzazione che si stava verificando.

Il Congresso dei Soviet dell’URSS era stabilito quale organo supremo, essendo eletto dai soviet delle città e dal congresso dei soviet del Governo. Nell’Articolo 9: “Il Congresso dei Soviet dell’URSS è composto da rappresentanti di soviet delle città e agglomerati urbani, con rapporto di un deputato su 25.000 elettori e di rappresentanti dei congressi sovietici provinciali, con rapporto di un deputato per 125.000 abitanti.

Nel periodo tra i congressi, l’organo che deteneva l’autorità principale era il Comitato Esecutivo Centrale, formato dal Soviet dell’Unione, i cui membri erano eletti mediante il congresso secondo un principio di proporzionalità rispetto alla popolazione delle repubbliche, mentre il Soviet delle Nazioni era eletto tramite i rappresentanti delle repubbliche dell’Unione, delle repubbliche e dei territori autonomi.

La prima parte del testo, la “Dichiarazione sulla formazione dell’URSS”, non proclamava l’esistenza dell’Unione ma stabiliva, piuttosto, il proposito della stessa, e quindi lo sviluppo della rivoluzione socialista internazionale. Un testo che adottava una posizione chiaramente internazionalista nonostante stesse iniziando la virata verso la difesa dell’utopia reazionaria del “socialismo in un solo paese”.

D’altra parte, la Costituzione stalinista del 1936, con trionfo del il termidoro burocratico, avrebbe modificato molti di questi principi, come analizza Trotsky ne La rivoluzione tradita.

 

Per il diritto incondizionato di Lula ad essere candidato e l’incarico di una richiesta di un Assemblea Costituente Libera e Sovrana

Tornando al presente, come è stato detto, noi siamo per il diritto incondizionato della popolazione a eleggere chiunque voglia. Vale a dire, difendiamo la priorità del principio della sovranità popolare contro tutte le restrizioni che le impone il potere costituito. Quindi di nuovo, come detto, incarcerato da un sistema di potere che si controllano l’uno con l’altro per scongiurare la sovranità popolare, e per meglio servire i monopoli e il grande capitale, il potere di decidere i rappresentanti è uno dei pochi diritti ad esprimere la volontà popolare che restano in una repubblica “democratico borghese”. È il colmo della dittatura del capitale che sia un’oligarchia di giudici espressi da un governo del remoto passato (dato che sopravvivono a diversi governi fino al pensionamento), convalidata da un Senato oligarchico, che determina a chi dare i diritti civili e politici e a chi no. Una vera tirannia liberticida.

Lenin affermava che la democrazia borghese era la migliore copertura del capitale. Nonostante ciò, nelle congiunture di crisi come quelle che stanno vivendo in Brasile ed Argentina (non solo economicamente ma anche nell’azione sfrontata dell’ambasciata americana), si apre un’opportunità di smascherare questa “copertura”. Partendo dalla difesa incondizionata di Lula ad essere candidato, noi socialisti rivoluzionari difendiamo le rovine fumanti della sovranità popolare che restano nella repubblica borghese. È noto che la nostra lotta è per un governo di lavoratori che spezzi ogni legame con il capitalismo “espropriando gli espropriatori”, unico modo reale per riuscire a far in modo che la crisi venga pagata dai capitalisti. Comprendendo bene che siamo ancora una minoranza e che la maggioranza del popolo dei lavoratori confida nel suffragio, proponiamo qualcosa che sebbene sia incorporato nelle costituzioni come quella brasiliana (o quella argentina), ovvero il diritto di convocare un’Assemblea Costituente, per dibattere e votare un PROGRAMMA D’EMERGENZA per affrontare la crisi attuale. Questo programma include il non pagare il debito pubblico e la nazionalizzazione delle banche, il commercio aperto e il ricorso a strategie economiche, per bloccare la caduta del salario e l’aumento della povertà e della disoccupazione; l’espropriazione dei principali latifondisti; l’abolizione del Senato aristocratico; terminar con la corrotta casta giudiziaria e imporre l’elezione popolare dei giudici a tutti i livelli; stabilire che tutti i funzionari politici guadagnino come un docente e che siano revocabili; il diritto all’aborto legale aborto, sicuro e gratuito e l’insieme di tutte le rivendicazioni del movimento delle donne; tra altri punti fondamentali. Se la classe lavoratrice non si organizza e lotta per imporre una Assemblea Costituente che prenda queste misure d’emergenza, continueremo a vedere nei giorni seguenti l’osceno spettacolo della corruzione degli impresari e della casta politica, insieme a prezzi proibitivi, licenziamenti quotidiani e l’impoverimento generalizzato del popolo  dei lavoratori.

Vediamo in questo programma  una forma per politicizzare e mobilitare le masse perché prendano coscienza del proprio potere di cambiare tutto. Dato per assunto che anche la più democratica delle assemblee costituenti è impotente nei confronti dei poteri “fattuali” (economico e militare). Per questa ragione, se dovesse sorgere un movimento di massa attorno a queste rivendicazioni,  bisognerà costituire consigli di lavoratori e milizie operaie per difendere le risoluzioni prese. Bisogna cioè portare fino in fondo la consegna democratica di modo che possa svolgere un ruolo di transizione verso la creazione di istituzioni sovietiche che diano il potere agli operai.

Prendendo il senso di ciò che prevedeva Trotsky nel 1934 in “Un programma d’azione per la Francia”, quanto più le masse sono coscienti del proprio “potere costituente” tanto più si apre il cammino verso la democrazia operaia basata sui soviet. Questa istituzione, il soviet, in quanto organismo di potere che segue all’abolizione della proprietà privata dei mezzi di e di scambio, è molto più democratico della più democratica delle democrazie borghesi. Queste si basano su un sistema di rappresentanza nel quale si atomizza il popolo lavoratore (il “proletariato polverizzato” lo chiamava Trotsky ne La Rivoluzione Tradita), andando a votare uno ad uno come cittadini per eleggere chi lo opprimerà durante gli anni successivi. La democrazia sovietica, al contrario, si basa sulla deliberazione collettiva e sull’elezione dei deputati revocabili (in qualsiasi momento) nei luoghi di lavoro.

È da questi fondamenti teorici e adottando questa a prospettiva che difendiamo il diritto del popolo brasiliano ad eleggere chi vuole (che in questo momento e secondo tutte le inchieste, è il riformista ed antisocialista chiamato Lula). Chiunque a sinistra neghi la difesa di questo principio, non solo non agisce come vero socialista rivoluzionario, ma tantomeno come un vero democratico.

 

Emilio Albamonte, Christian Castillo

Traduzione di Lisa Di Pietro da La Izquierda Diario

https://www.lavocedellelotte.it/it/2018/08/27/lula-e-la-possibile-proscrizione-della-sua-candidatura/

 

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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