Daniele Ricciarelli ovviamente sapeva benissimo su cosa stava lavorando, era consapevole che stava tradendo il suo maestro, intervenendo su una delle sue opere più grandi. Immagino che ne soffrisse, ma probabilmente pensava che era meglio che fosse un allievo, anzi che fosse proprio lui che era uno dei prediletti, piuttosto che un qualche altro pittore, a coprire le pudenda dei santi che Michelangelo aveva dipinto nel Giudizio universale, lasciandole alla vista del papa, dei cardinali, dei clerici e dei visitatori della Cappella sistina. Poi, siccome la memoria a volte è ingiusta e crudele, noi ricordiamo Ricciarelli per il soprannome di Braghettone e proprio per questo suo intervento censorio e non per le opere di ottima fattura, che pure troviamo nei musei di tutto il mondo. Forse i cardinali che imposero al Braghettone di “rivestire” le figure di Michelangelo non soffrirono per quell’azione, ma certamente sapevano quello che facevano e anzi proprio con il fatto che imposero quell’intervento su quell’affresco così celebre, di quell’autore così famoso, in un luogo simbolo della cristianità, ossia l’aula dove si eleggeva il papa, fecero capire che con quella censura non si poteva scherzare. La chiesa di Roma non voleva che fossero mostrati corpi nudi; potevi anche essere Michelangelo, ma non potevi dipingere un cazzo.
Gli etimologisti ci spiegano che questa parola è una forma contratta di capezzo – da cui anche capezzolo, un’altra parte del corpo, delle donne in questo caso, che i cardinali ordinarono di coprire – a sua volta derivata dal latino capitium, perché – come spiega con la solita acutezza il Pianigiani – “quasi dica piccolo capo nel senso di manico, a cui rassomiglia l’arnese di cui trattasi.”
Prima di continuare, permettetemi una piccola curiosità etimologica. Una delle tante altre parole con cui si indica “l’arnese di cui trattasi” deriva dal verbo latino pendere ed equivale quindi a coda. Non sappiamo quindi se questa cosa qui, a cui noi maschi teniamo particolarmente, sia un capo o una coda. Ma passiamo oltre, che è meglio.
Sta per cominciare a Milano una mostra dedicata a Caravaggio e quelli che curano la comunicazione dell’evento hanno scelto tra le immagini con cui reclamizzarlo il San Giovanni battista, noto anche come Giovane con un montone. E proprio al centro del quadro c’è inequivocabilmente l’arnese di cui trattasi. Temendo, con ragione peraltro, le ire dei censori di Facebook, questi esperti hanno chiamato un moderno “braghettone”, che ha pixelato – scusate l’orrido neologismo – il particolare di cui trattasi e quindi la foto è potuta uscire nei social, senza incappare in una qualche moralistica reprimenda. Quel cazzo nascosto non offendeva più la morale, ma certo la nostra intelligenza e il buon senso.
A differenza di Daniele da Volterra dubito che l’ignoto pixelatore abbia sofferto per quel suo intervento e quel che è peggio gli esperti non si sono resi conto di quel che facevano. L’obiettivo era aggirare la censura “feisbucchiana” e magari garantire un po’ di pubblicità gratuita alla mostra, a cui anch’io evidentemente partecipo – e lo faccio con gioia: credo che una mostra, seppur mal organizzata, vada sempre promossa.
Ciascuno di noi ogni giorno è costretto a vedere cose ben più volgari e pornografiche dell’immagine di quel giovane. Per non parlare di quello che vedono i nostri figli. Su Facebook ogni giorno c’è una continua esposizione pornografica di idee e di valori. Ogni volta che ci fanno vedere in uno spot pubblicitario una donna, usando il suo corpo per venderci un’auto o un telefono, ogni volta che ci raccontano che una donna ha subito violenza perché ha indossato una gonna corta o è uscita da sola, ogni volta che una donna viene valutata solo per il suo aspetto, quella è pornografia, molto più dannosa di qualsiasi cazzo che ci possano mostrare, anche di quelli che non sono stati dipinti da Caravaggio.
Anzi, nella merda di società in cui viviamo, abbiamo un bisogno disperato di arte, di bellezza, che ci allontani dallo schifo in cui siamo immersi. Ci salveranno anche i cazzi di Michelangelo e di Caravaggio; e anche le braghe di Daniele da Volterra.

 

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Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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