A dieci anni dall’inizio dell’ultima crisi del capitalismo, le banche continuano a rischiare

In attesa di nuovi fallimenti del capitalismo finanziario

ZURIGO. Marx ce lo ha insegnato: “il debito pubblico, ossia l’alienazione dello Stato dispotico, imprime il suo marchio all’era capitalistica e l’unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che passi effettivamente in possesso collettivo dei popoli moderni è il loro debito pubblico. Di qui, con piena coerenza, viene la dottrina moderna che un popolo diventa tanto più ricco quanto più a fondo s’indebita. Il credito pubblico diventa il credo del capitale”.

Sono trascorsi dieci anni dal fallimento di Lehman Brothers. Ci dice l’economista Marc Chesney che le grandi banche hanno ancora debiti “sproporzionati”, prodotti derivati “colossali”, stipendiano i loro manager con somme “scandalosamente alte” ed “economicamente ingiustificabili”. Marc Chesney è professore di finanza quantitativa all’Università di Zurigo, componente del Forum di Kontrapunkt per la politica economica e sociale, autore di “The Permanent Crisis”, la cui seconda edizione è stata pubblicata nel 2018.

Il 15 settembre 2008 Lehman Brothers Holdings Inc. è entrata nella protezione prevista dal Capitolo 11 del Codice Fallimentare Federale degli Stati Uniti. Un fatto che ha segnato l’avvio di un lungo e complicato processo, pieno di cause legali e procedimenti per un ammontare colossale, circa 1.200 miliardi di dollari. Quando Lehman Brothers scomparve qualcuno vi intravedette un disastro accidentale e imprevedibile. Alcuni dati, però, consentono, sebbene complicati, di comprendere i fattori che stanno alla base dello schianto, evidenziandone le falsità che cercavano di mascherare la situazione catastrofica in cui Lehman Brothers era da tempo, ben prima della sua scomparsa.

L’ultimo rapporto annuale di Lehman Brothers, quello del 2007, era significativo. Modello di auto-soddisfazione: “performance da record”, “risultati fantastici”, “talentuosi sforzi di gestione”, “eccellenza dell’istituzione. “La struttura è orgogliosa di essere stata classificata al primo posto in termini di ‘trading algoritmico’ e di essere stata premiata 42 volte in vari settori bancari e finanziari”. Nell’impeto dell’autogloriarsi la banca dichiara di abbracciare i valori di sostenibilità e responsabilità, sia sociale sia ambientale. Riletto oggi questo rapporto annuale 2007 appare un evidente monumento di propaganda capitalistica, densa di menzogne.

Le maggiori agenzie di rating – Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch Ratings – non disdegnarono di premiare Lehman Brothers nel 2007, anche pochi giorni prima del suo fallimento. Mr. Richard Fuld, che era amministratore delegato di Lehman Brothers, ricevette quasi mezzo miliardo di dollari tra il 2000 e il 2007, nonostante la sua evidente responsabilità per la strategia fallimentare. Il mondo capitalistico, delle banche e della finanza allegramente liberiste, ha lasciato un marcato segno.

E oggi si può evidenziare la volontaria cecità dimostrata da molti analisti liberisti al momento dell’approfondita lettura del rapporto Lehman Brothers 2007. Nessuno di loro sospettò evidenti conflitti di interesse tra le agenzie di rating e i loro clienti, le grandi banche del capitale più sfrontato. Eppure qualcuno, nel novero degli economisti marxisti, criticò un bilancio scorretto, pieno di accordi discutibili, come derivati complessi e sproporzionatamente grandi: 35.000 miliardi di dollari, il valore nominale 50 volte il bilancio della banca e 1.500 volte il suo capitale. Insomma, allora come oggi, tra gli analisti finanziari liberisti che non si degnano di sollevare il velo delle bugie e gli economisti marxisti la lotta continua.

E oggi, sono state comprese le lezioni del crollo di Lehman Brothers? Forse le grandi banche tentano, in proporzione al loro bilancio, di nascondere meno dati compromettenti, ma resta troppo debole la loro azione anche se trovano la complicità di lusinghiere relazioni annuali, dichiarazioni rassicuranti e buoni voti dalle agenzie di rating. I debiti delle grandi banche sono ancora sproporzionati, le posizioni nei derivati permangono al limite dello scoppio di nuove bolle e fallimenti, le retribuzioni dei manager sono scandalosamente alte ed economicamente ingiustificabili. C’è una lotta continua che dovrebbe potenziarsi nel mondo accademico, mentre c’è una festa continua per l’oligarchia finanziaria.

Qualche esempio: il valore nominale dei derivati di Goldman Sachs era nel 2017 di 48.900 miliardi di dollari e rappresentava circa 53 volte il totale del suo bilancio, 568 volte l’ammontare del suo capitale azionario e 2,5 volte il PIL degli Stati Uniti. Nel 2017, il totale di bilancio di UBS e Credit Suisse corrispondeva rispettivamente al 119% e al 137% del PIL svizzero. Il valore nominale dei derivati scambiati da Credit Suisse era di 28.800 miliardi di franchi svizzeri, 36 volte il totale dello stato patrimoniale e 687 volte l’ammontare del capitale proprio, ossia 41,9 miliardi di franchi svizzeri. Questo titolo è anche 43 volte più grande del PIL svizzero e rappresenta il 37,3% del PIL mondiale. Il volume di scambi di derivati di UBS nel 2017 è stato di 18.500 miliardi di franchi svizzeri, ovvero 20 volte il suo totale di bilancio, 361 volte il suo patrimonio netto, che ammontava a 51,2 miliardi di franchi, circa 28 volte il PIL svizzero e il 24% del PIL mondiale.

La situazione è pessima e il peggio sta arrivando. Tra il 2008 e il 2018 gli analisti riscontrano che anche la finanza ombra, il cosiddetto “settore bancario ombra”, è cresciuta esageratamente. La società di gestione patrimoniale multinazionale BlackRock, considerata troppo grande per fallire, oggi ha più di 6 trilioni di dollari di attività. Ci troviamo di fronte a un settore particolarmente opaco, con un potere tanto inquietante quanto pericoloso.

Dalla bancarotta di Lehman Brothers e di varie banche abbiamo potuto rafforzare la convinzione che la lotta al capitalismo è un dovere: ci troviamo a combattere un sistema finanziario in cui debiti, scommesse e cinismo hanno superato il risparmio, l’investimento e la fiducia. Un processo che accompagna la società in una crisi permanente, mentre grandi e piccole banche continuano a godere di vantaggi e garanzie addirittura in contrasto con i principi fondanti del liberalismo, dietro cui trovano sempre l’opportunità di nascondersi anche grazie agli appoggi della politica neo-liberista e neo-capitalista. Dagli economisti marxisti arriva l’allarme: questa situazione crea un rischio sistemico che colpisce l’intera economia, chiudere gli occhi e negare l’ovvio può solo portare a futuri disastri.

22/09/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

https://www.lacittafutura.it/economia-e-lavoro/in-attesa-di-nuovi-fallimenti-del-capitalismo-finanziario

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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