di Ben Dangl – 21 settembre 2018

Recensione di: The Zapatistas’ Dignified Rage: Final Public Speeches of Subcommander Marcos. del Subcomandante Marcos. Introduzione di Nick Henck. Traduzione [in inglese] di Henry Gales. (AK Press, 2018).

Oltre le vie e i mercati cittadini di San Cristobal de las Casas, strade ripide si inoltrano nelle montagne nebbiose del Chiapas, passati gli avamposti militari dello stato messicano e verso le comunità autonome degli zapatisti, un movimento apparso sul palcoscenico mondiale il 1° gennaio 1994. Quel giorno hanno proclamato la loro opposizione a secoli di sfruttamento e di violenze e denunciato l’ingresso del Messico nell’Accordo di Libero Scambio Nordamericano (NAFTA).

Come spiegò allora il subcomandante Marcos: “Il NAFTA è una condanna a morte del popolo indigeno”.

Quattordici anni dopo, in uno degli ultimi discorsi pubblici egli disse: “Chiediamo a quelli che guardano in su” a quelli a potere per avere risposte “di mettere da parte almeno per un momento le letture del The Economist, del The New Yorker, di People e dei discorsi di apertura di Al Gore, di far riposare per qualche minuto i fantasmi del Gulag e del Muro di Berlino; di spegnere per un momento le candele accese per l’ex candidato del ‘male minore’… “Quelle parole sono un invito adatto a fare un passo fuori dal capitalismo e dalla solita politica per entrare in The Zapatistas’ Dignified Rage: Final Public Speeches of Subcommander Marcos, una nuova raccolta di pensieri del ribelle con la pipa sulla teoria sociale, la politica messicana, la storia zapatista e l’organizzazione anticapitalista dal basso. Naturalmente, sparpagliati in tutto il libro ci sono battute di Marcos, aneddoti di vita a La Realidad e storie per bambini con significati rivoluzionari celati, quali La pedagogia del machete e altre parabole anti-patriarcali.

Il grosso dei discorsi di Marcos raccolti qui proviene da riunioni e conferenze internazionali del 2007 e 2009 a San Cristobal de las Casas, Chiapas, presso il Centro Indigeno per l’Addestramento Integrale – Università della Terra, un centro di istruzione di base con legami di lungo corso con gli zapatisti. Il Centro promuove sostenibilità ecologica, autosufficienza e emancipazione comunitaria.

Marcos ha tenuto i suoi discorsi in queste riunioni accanto ad altri intellettuali di spicco quali l’analista di sistemi mondiali Immanuel Wallerstein, il sociologo messicano Carlos Antonio Aguirre Rojas, il critico d’arte britannico John Berger, la giornalista canadese Naomi Klein, gli eminenti pensatori messicani di sinistra Gustavo Esteva e Pablo Gonzalez Casanova, e molti altri da tutto il mondo. L’introduzione al libro contestualizza utilmente i discorsi di Marcos accanto a quelli degli altri oratori e introduce anche gli zapatisti e la loro lotta, dalla rivolta iniziale del 1994, lungo l’”Altra Campagna” e fino al discorso di addio di Marcos nel 2014, quando ha abbandonato il ruolo di subcomandante zapatista.

Una ricca vena di pensiero e di analisi che percorre le pagine di questo libro tratta delle idee di Marcos sul rapporto tra teoria e realtà e di come si applica alla lotta zapatista.

In una conferenza a San Cristobal, Marcos inizia uno dei suoi discorsi sulla teoria facendo riferimento alla musica che aveva ascoltato la sera prima, una musica che aveva “un ritmo ‘corrida-cumbia- ranchera-norteña’”.

“Se quella non è una sfida alla teoria, allora non so che cosa sia”, dice Marcos. “E non chiedetemi come la suonano o la danzano, perché non sono nemmeno capace di bussare bene a una porta”.

Il riferimento a questa musica, spiega, è collegato alla teoria zapatista perché “la serietà con la quale gli zapatisti affrontano i problemi teorici è nota a tutti, dunque dirò soltanto che dovrete trovare un modo per collegare la teoria all’amore, alla musica e alla danza”.

Egli parla della distanza nel mondo accademico tra teoria e realtà e del “triste spettacolo di autoproclamati sociologi che si trascinano con notevole gioia in un vuoto concettuale”.

Per illustrare il suo punto, Marcos descrive la pubblicità che vende prodotti che promettono di aiutare a perdere peso. Ad esempio pubblicità di un “biscotto che vi darà una figura spettacolare, il tutto senza fare altro esercizio che portare il prodotto alla bocca e masticarlo”.

“Nello stesso stile”, egli continua, “negli ultimi anni ha trovato seguito nei circoli intellettuali progressisti messicani un’idea: l’idea che le relazioni sociali possano essere trasformate senza una lotta e senza toccare i privilegi di cui godono i potenti. Tutto quello che serve è compilare una scheda elettorale e, voilà, il paese si trasforma…”

Successive discussioni della teoria zapatista sono fondate su questioni specifiche a proposito della corrotta classe politica messicana, della solidarietà zapatista nei confronti dei paesi rurali abbandonati durante le grandi inondazioni in Chiapas e della lunga memoria delle comunità indigene.

Marcos discute i motivi dietro la rivolta del 1994 e come nel 1993 un allevatore grande latifondista di nome Constantino Kanter coniò la frase: “In Chiapas un pollo vale più della vita di un indigeno”.

La frase rappresenta il sistema contro cui si sono ribellati gli zapatisti e la loro Legge di Riforma Agraria Rivoluzionaria di quell’anno è pubblicata per intero nel libro. Inizia con: “I contadini poveri in Messico continuano a chiedere che la terra sia di chi la lavora”.

Quando i ribelli conquistarono il controllo delle terre in Chiapas nel 1994, prosegue Marcos, la legge fu messa in atto, gli allevatori furono cacciati dalle loro proprietà e la terra fu divisa tra gli indigeni. “La prima cosa che fecero fu abbattere gli steccati che proteggevano le case di proprietari”.

Un giorno, prima dell’alba, i ribelli, “questi uomini, donne, bambini e anziani si sono smascherati il volto e hanno cantato e danzato, sempre con ritmi che non hanno categorie note. Dicono che non erano meno poveri di prima e che avevano di fronte problemi di ogni sorta – la morte essendo uno di quei problemi – e così non conosciamo il motivo, la causa o la ragione della loro gioia. Secondo le informazioni più recenti hanno continuato a danzare, cantare e ridere per quattordici calendari”.

E’ questa fusione di teoria e realtà – in azione e organizzazione rivoluzionaria – che è al centro delle indagini filosofiche, delle battute e delle storie di Marcos presentate qui. Come approfondisce verso la fine di un altro discorso:

“So che i sentimenti non sono adatti alla teoria, almeno al tipo di teoria che oggi si trascina in giro: che è difficilissimo sentire con la testa e pensare con il cuore. […] Poiché per noi zapatisti il problema teorico è un problema pratico. Non si tratta di promuovere il pragmatismo o di tornare alle origini dell’empirismo, ma di indicare chiaramente che le teorie non solo non devono essere isolate dalla realtà ma anche che devono cercare al proprio interno le mazze che a volte sono necessarie quando si finisce in un vicolo cieco concettuale. Teorie a tutto tondo, complete, rifinite, coerenti sono buone per superare un esame o per vincere premi, ma tendono a finire a pezzi alle prime folate di realtà”.

Nell’introduzione a questo libro Nick Henk scrive che i discorsi di Marcos offrono “vivide istantanee” dell’impatto del capitalismo globale. “In modo cruciale si tratta di un quadro prodotto da quelli che si trovano al margine estremo dello sfruttamento capitalista”, spiega. La storia profonda e l’esperienza vissuta della lotta zapatista percorrono interamente i discorsi di Marcos, rendendo le sue critiche del capitalismo e le sue analisi di come superarlo, tanto più forti e illuminanti.

Ad esempio, in una presentazione di “Alcune tesi sulle lotte antisistema”, Marcos espone come “il capitalismo espropria, sfrutta, reprime e discrimina. Nella fase della globalizzazione neoliberista, il capitalismo conduce una guerra contro l’intera umanità”. Per aumentare i profitti, i capitalisti devono aprire nuovi mercati e produrre nuovi beni, spiega, il che conduce alla “conquista e riconquista di territori e spazi sociali che in precedenza non erano di alcun interesse per il capitale”.

Foreste, risorse naturali, acqua, saperi ancestrali… queste sono tutte merci, prosegue. “Coloro che vivono in spazi e territori dotati di queste e altre merci sono, piaccia o non piaccia loro, nemici del capitale”.

L’espropriazione di terre e territori indigeni e la violenza contro chiunque sia d’intralcio fanno parte della guerra del capitalismo. Ad esempio, l’anno scorso sono stati uccisi 207 difensori della terra e dell’ambiente in 22 paesi di tutto il mondo. La maggior parte di loro era collegata a conflitti riguardanti l’agroindustria e le attività minerarie. Il Chiapas è stato per secoli in prima linea in tali conflitti per le risorse e per la terra.

Per Marcos e per gli zapatisti la speranza di superare il capitalismo sta nei movimenti popolari.

“Le grandi trasformazioni non iniziano dall’alto né con azioni monumentali ed epiche”, spiega Marcos, “bensì con movimenti di piccole dimensioni che paiono irrilevanti ai politici e agli analisti in alto. La storia non è trasformata da piazze gremite o da folle arrabbiate ma, come indica [il sociologo] Carlos Aguirre Rojas, dalla coscienza organizzata di gruppi e collettivi che si conoscono e si riconoscono gli uni gli altri, in basso e a sinistra, e costruiscono un’altra politica”.

Ricche lezioni di storia, teoria politica e analisi della globalizzazione e della società messicana riempiono queste pagine. Accanto a esse ci sono punte di umorismo, racconti per bambini e momenti di intuizione poetica che indicano perché Marcos, e gli zapatisti in generale, hanno dischiuso tanto a lungo l’immaginazione politica mondiale. Ad esempio il subcomandante ci racconta:

“A volte nelle ore antelucane in cui mi trovano a vagare in giro senza possibilità di riposo, sono capace di arrampicarmi su un fil di fumo e da una grande altezza guardare già a noi. Credetemi che quel che si vede è così magnifico che fa male guardarlo. Non sto dicendo che è perfetto, che è finito né che non ha vuoti, irregolarità, ferite da rimarginare, ingiustizie da rimediare, spazi da liberare. Eppur si muove [In italiano nel testo, seguito da traduzione]. Come se tutto ciò che di sbagliato siamo e portiamo fosse mischiato con tutto il bene che possiamo essere e il mondo intero ridisegnasse la sua geografia e il suo tempo fosse ricostruito con un altro calendario. Beh, come se un altro mondo fosse possibile”.

Benjamin Dangl ha un dottorato della McGill University in storia latinoamericana e ha lavorato come giornalista in tutta l’America Latina per oltre un decennio, scrivendo per canali come The Guardian, Al Jazeera, The Nation e Vice. E’ autore dei libri The Price of Fire: Resource Wars and Social Movements in Bolivia, Dancing with Dynamite: Social Movements and States in Latin America, e dell’imminente The Five Hundred Year Rebellion: Indigenous Movements and the Decolonization of History in Boliviatutti presso AK Press. Dangl cura TowardFreedom.orguna prospettiva progressista degli eventi mondiali e insegna giornalismo presso in Champlain College, in Vermont. Indirizzo email BenDangl@gmail.com. Twitter @BenDangl.

 

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/the-zapatistas-dignified-rage/

Originale: Toward Freedom

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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