La notizia è una di quelle che dà vigore agli “spiriti belli” della variegata fauna del progressismo italiota: il governo fasciogrillino propone di assegnare le terre incolte del Mezzogiorno alle famiglie con almeno tre figli. Facile ovviamente fare dell’ironia sulla “battaglia del grano 2.0” della formidabile coppia comica che abbiamo la sfortuna di avere a palazzo Chigi.
Al di là di questo e credo anche della proposta che forse – o forse no – ci sarà nella prossima manovra finanziaria, provate a guardare i dati. In rete potete trovare quelli dell’ultimo censimento generale dell’agricoltura, fatto dall’Istat nel 2010. In Italia le terre incolte – ossia che potrebbero essere coltivate e non lo sono – sono poco più di 42mila chilometri quadrati. Per avere un ordine di grandezza, insieme Sicilia e Sardegna hanno una superficie di circa 49mila chilometri quadrati. In pratica il 24% del terreno coltivabile in Italia non viene coltivato.
Ci sono molte ragioni di ordine economico, sociale – e anche culturale – che spiegano questo dato, forse anche lo giustificano. Io sono il figlio di una generazione che ha considerato un elemento di progresso smettere di fare i contadini per diventare operai e che ha lottato affinché noi, venuti dopo di loro, diventassimo impiegati, ossia ci allontanassimo sempre più dalla terra, dalla fatica di coltivare la terra. Eppure oggi questi numeri stanno drammaticamente di fronte a noi e ci interrogano, perché anche noi che abitiamo in città, noi che non sapremmo tenere neppure un piccolo orto, paghiamo le conseguenze di tutte queste terre non coltivate. Il dissesto idrogeologico del nostro paese è anche causato dall’abbandono di tante terre, il nostro paese è così fragile proprio perché non viene curato e coltivato.
Mio padre che era nato contadino ha fatto di tutto perché io studiassi. Immagino che non abbia mai riflettuto sull’apparente paradosso etimologico che c’è nella storia della mia famiglia, come di moltissime altre. Cultus è il participio passato del verbo colere, da cui è venuto l’aggettivo italiano colto, che, quando è riferito a un pezzo di terra significa coltivato, mentre se riferito a una persona significa che ha studiato. Ci hanno fatto studiare proprio perché non coltivassimo più la terra. E adesso abbiamo scoperto che abbiamo studiato fin troppo, se in tanti abbiamo smesso di fare gli agricoltori. O forse non abbiamo studiato le cose giuste. O peggio non abbiamo capito quello che abbiamo studiato.

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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