Per chi è nato negli anni ‘80 in Veneto, la montagna bellunese vuol dire anzitutto il primo contatto con la natura. Forse chi è cresciuto a Milano, o Roma o in un’altra grande città, può avere difficoltà a capire questo aspetto.

Nella capitale, ad esempio, nonostante i palazzinari e le speculazioni, sono rimasti angoli quasi incontaminati nella Caffarella, a Villa Ada o nel Parco del Pineto. Lì si può intuire cosa sia la natura. Se poi esci dal raccordo, un rapporto pieno con le bellezze naturali puoi viverlo in Tuscia, in Sabina o nelle montagne dopo Tivoli: in fondo è solo mezz’ora di macchina o poco più.

In Veneto, soprattutto nella pianura, è diverso. Tutto questo non esiste più. La natura è stata asfaltata, repressa, soffocata da alcune monoculture (mais e soia) ma specialmente da foreste interminabili di capannoni di industrie “a dimensione familiare” e di piccoli paesotti, uno a fianco all’altro, uno dopo l’altro, senza tregua e senza riposo. L’urbanizzazione “paesana” è dominante in tutta la regione, sempre tenuta assieme da migliaia di strade, raccordi, passanti e rotonde.

In questo “piccolo mondo antico” che ha per divinità massime il lavoro, il “fare schei” e poi la parrocchia dove la famiglia va in chiesa di domenica, non c’è spazio per la natura, così come non c’è spazio per la rottura della norma: non sono pochi gli studiosi che hanno fatto notare quanto l’urbanizzazione “lavoristica” abbia poi chiuso in gabbie e regole sociali la vita delle persone.

In quel mondo, la montagna bellunese è la fuga, la possibilità di rapporto con il silenzio di un bosco senza turisti, con la maestosità di una cima dolomitica. È la bellezza di un sentiero, della fauna e della flora.

Il territorio di Belluno è l’unico del Veneto dove l’urbanizzazione diventa rarefatta. Nonostante le aspirazioni autonomiste e le richieste di qualche sindaco, quella provincia non ha mai avuto i finanziamenti delle limitrofe Trento e Bolzano. Per questa ragione, per fortuna, l’espansione economica più impattante (il turismo invernale) è rimasta in qualche modo “contenuta” rispetto ad altre zone alpine, che sono state invece interamente sottomesse agli interessi di albergatori e società di impianti sciistici.

Con l’eccezione di Cortina, dove comunque lo sviluppo turistico è importante ma non devastante, visto che si rivolge a un’élite specifica e ristretta, il resto della montagna bellunese offre ancora angoli tranquilli. Soprattutto, permette ancora quel rapporto con la natura che nel resto della regione si è perso negli anni ‘60 e ‘70, decenni che hanno contraddistinto l’ascesa economica del “modello nordest”.

Lascia attoniti vedere le foto di questi giorni che arrivano dalla provincia di Belluno. Quando, oltre a osservare le foto apocalittiche, leggi le informazioni, rimani ancora più sconvolto. Si parla di centinaia di migliaia di alberi sradicati. Secondo la Coldiretti, sono 14 milioni. Foreste intere spazzate via da vento, frane e acqua. Qualcosa che va oltre l’immaginazione più angosciante. Zaia promette soldi e finanziamenti, ma la montagna è ferita nel profondo, sarà molto difficile che si riprenda.

Ancora una volta si parla di “maltempo” o “calamità naturale” anziché di prodotto consequenziale dei cambiamenti climatici in corso. Ancora una volta la notizia è in primo piano, ma al secondo giorno passerà inesorabilmente nelle pagine interne o nella cronaca regionale.

Ancora una volta non bastano fatti così drammatici a farci pensare che dobbiamo cambiare radicalmente la nostra modalità di produzione e di consumo, che dobbiamo fermare l’economia capitalistica perché, se non lo facciamo, renderemo questo pianeta inospitale, perché il riscaldamento globale sta procedendo a passi incessanti e non ci rimane molto tempo per provare a cambiare rotta.

Mi domando allora quando lo capiremo e quando verrà fatto qualcosa. Spero non sia già troppo tardi quando accadrà. Intanto, oggi, abbiamo perso un pezzo grande delle foreste dolomitiche della provincia di Belluno.

Dinamopress.it 

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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