di Sonia Coluccelli*

Sono una maestra e una mamma. Dirmelo oggi mi aiuta a scrivere queste righe con una soggettiva semplice, che va all’essenziale. Per settimane durante la fase più critica della vicenda di Lodi ho atteso una notizia anche raccontata tra le righe delle cronache più evidenti. La notizia che almeno una maestra in quelle classi si rifiutasse di andare in mensa senza tutti i suoi alunni, nessuno escluso. Una maestra che dicesse di no ad una legge ingiusta. La stessa attesa dei giorni dell’ultima estate, quando a luglio un provvedimento a Monfalcone, con l’accordo tra sindaco e dirigenti scolastici, ha limitato l’accesso alunni non italiani alle classi di scuola dell’infanzia, nel silenzio che speravo vacanziero delle maestre ma che è invece continuato anche dopo la riapertura delle scuole. Bambini per cui si chiudono le porte delle scuole sulla base della nazionalità della famiglia di nascita, piccoli residenti senza il diritto di apprendere e di farlo in aule abitate anche dai compagni con cui condividono lo spazio del parchetto sotto casa.

Questo silenzio dall’interno della scuola mi ha lasciato e mi lascia disarmata. Non riesco a immaginarle quelle colleghe (e colleghi) a cui una legge costruita per discriminare su base etnica toglie loro i bambini che hanno in affidamento perché possano diventare cittadini di una comunità, competenti e solidali e che riescono a lasciarli andare altrove solo a causa di un accidente come il passaporto in possesso dei loro genitori.

Saltiamo i muri, diamoci coraggio

Ho rivisto decine di volte l’intervista a Liliana Segre che racconta il grande senso di tradimento e abbandono vissuto quando la sua maestra, senza un gesto o una parola di vicinanza, l’ha liquidata con un “non le ho fatte io le leggi razziali”. Il peso dell’indifferenza, ottant’anni dopo. Aspetto un segno di obiezione, di ribellione dalle maestre di oggi e mi lascia senza fiato dire a me stessa che non è cambiato nulla e a nulla è servito che così tante persone siano passate in mezzo a quell’inferno, che altre siano morte per liberarle e per fermare quella follia e soprattutto che noi ora siamo ancora qui, più o meno da capo.

Non l’ho fatto io quel provvedimento, ci vediamo dopo la mensa.

Mi sono chiesta per settimane intere a cosa serva la scuola se non sa essere un presidio di democrazia, di diritti e di giustizia. Anche andando contro leggi ingiuste. A cosa serve se non alza la voce a difesa di tutti i bambini che le vengono affidati e, di più, a difesa di un’idea di comunità di uomini e donne con pari diritti, se non riesce ad essere un luogo di memoria e di cultura perché l’inferno non ritorni?

Il pranzo consumato in luoghi separati, il numero chiuso per accedere alla scuola, l’asilo nido inaccessibile non sono solo offese a un principio minimo di comune umanità, sfregio alla dignità di bambini e famiglie regolarmente residenti in Italia e partecipi dei processi produttivi, economici e sociali del loro territorio. Sono di più e di peggio: un attacco frontale a un’idea di futuro plurale, un messaggio di separazione che forma le menti dei bambini italiani per nascita (nemmeno un genitore lodigiano che abbia pensato di dissociarsi e mandare il proprio figlio a scuola con un panino da consumare insieme ai compagni che non possono accedere alla mensa? Non posso – non voglio – credere che nessuno di quei bambini italiani non abbia proposto ai suoi genitori un gesto di amicizia e vicinanza con il compagno di banco) e che rimanda con l’ossessività della discriminazione quotidiana il principio di estraneità a chi manca del documento giusto per accedere a diritti di base. Davvero è possibile pensare che ci attenda un futuro di pacifica convivenza, di comune cittadinanza e responsabilità partendo dal principio dell’esclusione a tre anni? Può essere questo che la scuola ratifica dentro gli spazi di sua competenza?

Allora “fermiamoci”, a Lodi. Portiamo parole ed esperienze che ci rimettono in mano una bussola di senso. Pensiamo a Korczak che La mattina del 5 agosto 1942 fu deportato nel campo di sterminio di Treblinka insieme a tutti i bambini ospiti dell’orfanotrofio ebraico del ghetto di Varsavia. I bambini, ci dicono le cronache, uscirono dalla loro casa vestiti con gli abiti migliori, ordinati, mano nella mano. Il corteo era chiuso dallo stesso Korczak che badava a mantenere i bambini sulla carreggiata. Riconosciuto dagli ufficiali nemici venne trattenuto perché una tale personalità non avrebbe dovuto seguire il destino degli altri, ma egli si rifiutò di abbandonare i suoi bambini. Sembra sia morto di dolore durante il trasporto.

Si può sempre scegliere. Si deve.

Ribellarsi aprendo le scuole

Raccontiamoci allora come seguire le pratiche e l’invito di Mario Lodi per tenere viva l’idea di una scuola che solo alla Costituzione deve obbedienza. A Lodi il 3 novembre lo abbiamo fatto durante l’iniziativa La democrazia a scuola, con Luciana Bertinato e Carlo Ridolfi della Rete di Cooperazione educativa (nata intorno all’amicizia e al pensiero di Mario Lodi) e con Carolina Vergerio che ha raccontato come la sua scuola ospiti un Giardino dei Giusti, memoria della possibile disobbedienza a leggi ingiuste.

Spendo molto di me nella diffusione di uno sguardo sui bambini che prende spunto da Maria Montessori, il suo è per me un percorso potente di libertà e liberazione delle briglie che spesso la scuola, istituzione che fatica a rinunciare all’esercizio del potere e del controllo, lega intorno a bambini e ragazzi. Mi convince la sua idea di come un bambino apprenda e di come comprenda il mondo sviluppando tutte le sue risorse, con l’obiettivo alto di diventare padrone di se stesso, competenza preziosissima. Sono orgogliosa che un ente montessoriano abbia scelto di offrire la giornata del 3 novembre, senza lettere smerigliate o torri rosa, per dire che alla base del fare scuola, anche e soprattutto montessoriana, c’è un pensiero urgente che arriva da una donna morta sessantasei anni fa e che ci dice a cosa, da uomini e donne di educazione, non possiamo sottrarci.

Gli uomini non possono più rimanere ignari di se stessi e del mondo in cui vivono: e il vero flagello che oggi li minaccia è proprio questa ignoranza. Occorre organizzare la pace, preparandola scientificamente attraverso l’educazione (Maria Montessori)

Alla scuola è richiesta intenzionalità educativa non solo per dare senso pedagogico al processo di insegnamento e apprendimento, coerenza con un’idea di come un bambino funzioni nell’imparare e nel crescere, ma è soprattutto richiesta un’azione militante, un orizzonte di senso che non dobbiamo temere di definire politico.

Organizzare la pace preparandola scientificamente con l’educazione: ripetiamolo nei collegi docenti, nelle assemblee con i genitori, nelle riunioni di programmazione. Raccogliamo storie e percorsi possibili, scambiamo pratiche e sguardi. Ma soprattutto nell’ordinario e nello straordinario, nella scuola senza tensioni conclamate o nelle aule di Lodi, pratichiamolo.

 

*Insegnante di scuola primaria, coordinatrice Rete scuole Montessori dell’alto Piemonte e Responsabile formazione della Fondazione Montessori Italia è autrice di Un’altra scuola è possibile? (Ed. LeoneVerde), Il metodo Montessori oggi e Montessori incontra…. (Ed. Erickson)

https://comune-info.net/2018/11/in-attesa-di-quella-notizia-da-lodi/

 

 

 

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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