Un’analisi che approfondisce origini, contesto e prospettive dei moti scoppiati questo dicembrecontro il regime ultra-trentennale di Omar Al-Bashir in Sudan. Tratto da theblackbolshevik.wordpress.com

La rivoluzione sudanese ed i potenziali pericoli che la attendono

26 dicembre 2018 / di Mohammed Elnaiem

Da una settimana il popolo sudanese si è sollevato a partire dall’incipit di un’ondata rivoluzionaria nella storica città di Atbara, nota per un’eredità di forte attività sindacale, resistenza militante anticoloniale e lotta rivoluzionaria. Anzi, il popolo sudanese si è sollevato in almeno 5 città contro le misure di austerità ed i tagli ai sussidi del pane – che hanno lasciato le persone alla fame, i forni vuoti ed i popoli sudanesi impossibilitati a garantirsi i pasti successivi.

La situazione è disperata, la rete di sistemi preventivi di allerta carestia (Famine Early Warning Systems Network) ha pronosticato una crisi nazionale – laddove nel 2019 i prezzi del cibo, che sono già del 150-200% sopra la media, aumenteranno al 200-250%. Si prevede che una carestia avverrà attraverso il paese, colpendo il Nord Darfur, il Jebel Marra, il Mar Rosso, e zone del Kordofan Occidentale, Kordofan Settentrionale, Kordofan Meridionale, ed il Nilo Blu prima di estendersi nella capitale.

Ma per molti la crisi è già arrivata.

In un paese in cui il 75% del budget annuale è concentrato sulla difesa – nel tentativo di mantenere un regime illegittimo – è proprio il tema della sicurezza la ragione del malessere del regime. La decisione del Sud, in cui è ubicato il petrolio, di secedere ha comportato che il governo di Bashir si rivolgesse altrove per prevenire la propria fine. La secessione è avvenuta a causa dell’intransigenza della classe dirigente e del suo insuccesso nell’intavolare tentativi di pace prima che l’elite sud sudanese – che a propria volta non ha interessi condivisi con la larga maggioranza del popolo sud sudanese – decidesse, per proteggersi da un sistema genocida, di forgiare uno stato indipendente (la cui indipendenza sfortunatamente ha comportato nient’altro che la nazionalizzazione della propria oppressione, e mezzo milione di persone sono già perite in un’inutile guerra civile).

E pare che il regime non impari mai. I continui assalti del governo al Darfur ed alle montagne Nuba – senza alcun tentativo di comporre una pace –  hanno portato il paese alla crisi attuale. Il malgoverno, provocato solamente da un paese che spende più soldi nel difendere il proprio apparato di sicurezza che nel nutrire la popolazione, ha portato alla disperazione che molti sudanesi affrontano oggi.  Quando i sudanesi vanno ai bancomat questi sono vuoti. Quando vanno in banca è concesso loro di prelevare solo un dollaro circa al giorno. Il prezzo del pane è aumentato da un pound sudanese a tre, dopo che il governo ha rimosso i sussidi sul pane nel tentativo di salvarsi attraverso l’austerità.

Oggi i sudanesi reclamano la caduta del regime.

L’FMI ha stimato che il tasso di disoccupazione del Sudan è del 20%, il 5°peggiore del mondo che segue Grecia e Macedonia (i cui governi sembrano essere più intenti alle proprie rivendicazioni dell’eredità greca classica che a risolvere le proprie crisi). Ma ovviamente l’FMI, come ci dice la Grecia stessa, non è un organo innocente di raccolta dati statistici. Certamente anch’esso figura tra i principali colpevoli delle più recenti decisioni del governo sudanese.

La situazione è disperata ed è in atto sulla scia di una visita dell’FMI a luglio. Nel solo 2018, quando l’FMI ha posto le proprie raccomandazioni (apparentemente radicate in qualche teologia neoliberale) sono caduti dei primi ministri. È stato il caso della Giordania più addietro nell’anno ed è il caso di Haiti – la quale è anch’essa, mentre scrivo, impegnata nella propria lotta contro il malgoverno e la cleptocrazia. Da Haiti al Sudan, la gente ora si solleva ed affronta le pallottole appaiate ai rispettivi regimi, siano queste sparate dalla polizia, dall’esercito o da milizie paramilitari lealiste. Dietro tutto vi sono due colpevoli: i rispettivi governi e la più grande istituzione stabilizzante del mondo: il Fondo Monetario Internazionale. È stato sotto richiesta dell’FMI che il Sudan ha avviato le sue più recenti misure di austerità.
Si stima che in Sudan oltre 30 persone disarmate siano già state bersagliate ed uccise. Martedi scorso l’Associazione Professionale Sudanese ha organizzato proteste davanti al palazzo, dove è stata accolta con munizioni vere. Nel frattempo, il re del Sudan (Omar Al-Bashir) ha fatto rinchiudere 14 leader della Forza di Consenso Nazionale – una coalizione di opposizione – in carcere, sostenendo che lavorasse a fianco di Israele (direttamente dal manuale di dittatura di Assad) per destabilizzare il paese.

Il fatto che le proteste siano iniziate nelle zone periferiche del paese prima di prendere piede nella capitale merita l’analisi – per la sua frattura periferia-capitale e la persistente ma sfortunata realtà dello sviluppo diseguale, che da sempre ha afflitto la storia del Sudan dalla sua nascita come repubblica nel 1956. E’ effettivamente anche li che nasce la contraddizione principale.
Nelle zone periferiche del paese, in particolare nelle montagne Nuba (sotto il movimento SPLM-N), ed in Darfur (sotto il Movimento per la Giustizia e l’Eguaglianza), si sono protratte lotte armate contro il governo sudanese per quasi due decenni. Sebbene ciascuna di esse abbia propri interessi, tutte condividono la posizione che il governo si concentri solo sul nord che si identifica predominantemente come arabo a spese del resto del paese (ovviamente concentrandosi solo sul riempire le tasche dei lealisti del regime). Questi gruppi armati si sono organizzati sotto il Fronte Rivoluzionario Sudanese. Temo che, se non prevenuti dall’avvicinarsi a Khartoum in un momento di destabilizzazione – e se non effettivamente invitati dall’opposizione – potrebbero raggiungere la capitale e regalare al presidente quel discorso da guerra al terrore che potrebbe trincerarlo al potere. È necessario per loro stringere un patto immediato con l’opposizione. E l’opposizione deve sbarazzarsi dello sciovinismo e di un islamismo divisivo, che come minimo lascia l’SPLM-N indisponibile al negoziato. L’opposizione deve allontanarsi da un approccio nord-centrico alla crisi sudanese e adottare la promessa di un processo di pace comprensivo. Se l’opposizione ed il fronte rivoluzionario non dovessero stringere un patto potrebbe accadere il peggio.

Finora non si sono materializzati impegni seri su quel fronte. Teoricamente un tale scenario potrebbe darsi se Yassir Saeed Arman — segretario generale dell’SPLM-N — intavolasse una discussione con i suoi ex-compagni del Partito Comunista. Come uomo di origini settentrionali, con decenni di esperienza di lotta rivoluzionaria, e da persona lungimirante con stretti legami con la lotta sud sudanese – potrebbe intavolare un dialogo con l’opposizione formale e prevenire la deformazione o l’escalation di quella che finora è stata una rivolta pacifica contro un regime repressivo ed assassino.

La situazione in Sudan è ad una svolta cruciale e le dinamiche interne del paese devono essere considerate nella prospettiva della geopolitica globale. Finora vi rimangono una sollevazione civile ed elementi armati nelle zone periferiche del paese che potrebbero prematuramente avanzare verso la capitale. Dovrebbero essere portati al tavolo negoziale e promettere di non inasprire il conflitto. L’alternativa potrebbe essere catastrofica.
Sebbene di origini sudanesi, non sono un esperto, e senza dubbio la mia stessa famiglia e la mia famiglia estesa si sono dedicate alla lotta molto più di me (a causa delle circostanze in cui sono cresciuto). Perciò metto in conto in anticipo qualsiasi errore nella mia analisi.

Nondimeno, queste sono le mie posizioni ad ora.

1) Abbiamo osservato, nelle prime fasi della rivoluzione siriana, che la situazione si è deteriorata molto velocemente in assenza di una forte coesione tra le ali civili e militari. Di certo le ali militari della lotta si sono trovate nella necessità di allearsi con potenze straniere imperialiste e in assenza di una ideologia unificante – che ha lasciato spazio aperto per radicarsi  a vari islamismi – il paese è diventato un campo di battaglia di guerra per procura. Nel frattempo le ali civili della lotta sono state ultimamente cooptate da vari gruppi armati, ciascuno sotto il patrocinio di interessi confliggenti (Arabia Saudita, Turchia, Golfo, ecc.)

2) Abbiamo osservato in Yemen una posizione diversa. In cui il dopo-primavera araba che ha portato il governo di Hadi al potere ha portato anche al suo patrocinio da parte degli stati del Golfo. Data l’aperta dichiarazione di sostegno da parte dei monarchi del Qatar al governo di Bashir (e probabilmente con altri che lo sostengono in segreto), è chiaro che potrebbe darsi uno scenario simile a quello dello Yemen –  se solo l’alleanza del Golfo avesse sostenuto Saleh, al contrario di quanto accaduto. In questo caso i gruppi civili ed armati si troverebbero soverchiati – verosimilmente ad opera della stessa alleanza saudita che Bashir ha sostenuto inviando soldati sudanesi nel bagno di sangue in Yemen. Potremmo ben trovarci, senza dubbio, davanti al fatto che l’Arabia Saudita possa competere con il Qatar, e comprarsi infine il sostegno di Khartoum. Questo scenario implicherebbe che gli stati del Golfo sostengano Bashir contro la sua popolazione civile.

3) È possibile che accada l’opposto, come in Siria. Qui gli stati del Golfo spaventati dalle aperture di Bashir alla Turchia ed al Qatar potrebbero cospirare per armare ulteriormente l’opposizione e trasformare un movimento civile in uno scenario molto simile alla guerra civile siriana. La politica estera dell’Arabia Saudita potrebbe ben muoversi in questo senso.

4) Date queste tre lezioni è necessario che i gruppi armati che operano sotto il Fronte Rivoluzionario Sudanese (e che include l’Esercito/Movimento di Liberazione Sudanese, oltre che il Movimento per la Giustizia e l’Eguaglianza in Darfur e l’SPLM-N negli stati del Kordofan Meridionale e del Nilo Blu) entri in un patto immediato con l’opposizione. Tutti questi gruppi operano entro le periferie ed, entrando in un’alleanza con il nord, con una tale mossa si potrebbe unire il paese. A partire da questo patto, dovrebbero esserci provvedimenti immediati per assicurarsi che non ci si debba affidare al sostegno dei paesi del Golfo, degli Stati Uniti e della Russia. Va ribadito. L’INTERVENTO ESTERNO SARA’ LA MORTE DELLA RIVOLUZIONE. Inoltre i gruppi armati dovrebbero dichiarare una moratoria di tutte le attività armate contro le forze sudanesi fino alla stabilizzazione della situazione. Anche questo va ribadito. NON DARE AL REGIME la sua conveniente narrazione della guerra al terrore.

5) I partiti di opposizione devono fare ciò che possono per isolare quei partiti borghesi che non hanno mai avuto a cuore l’interesse del Sudan. Questi due partiti, il Partito della Umma ed il Partito Unionista, dovrebbero essere coinvolti nel processo date le loro basi di sostegno, ma non ne dovrebbero mai essere posti alla testa. Ne dovrebbero essere ai margini.

6) Ciò richiederebbe una relazione più forte tra Mutamar al Sudan ed il Partito Comunista Sudanese. Questi due partiti dovrebbero essere alla testa della ricostruzione sudanese.

7) Vi sono già frizioni dentro il Fronte Rivoluzionario Sudanese riguardo alla questione della legge coranica. Nell’opposizione, il Partito della Umma ed il Partito Unionista hanno un’attitudine ambivalente verso l’applicabilità delle leggi coraniche. Con il Partito Comunista Sudanese e Mutamar al Sudan al timone dei negoziati potrebbe essere steso un accordo per costruire un’opposizione secolare. Il paese dovrebbe essere riportato ad un’epoca pre-1983, quando le Leggi di Settembre lo hanno rovinato. O avverrà ciò o la rovina continuerà.

8) Strutture di governance parallele dovrebbero essere già in moto, in modo simile al Partito Socialdemocratico in Russia alla vigilia della presa del potere da parte dei Bolscevichi. Nel momento in cui i partiti politici sono già in grado di “simulare” il futuro in un parlamento artificiale, possono già iniziare a riempire il vuoto di potere alla caduta della dittatura. Ciò dovrebbe includere i membri del Fronte Rivoluzionario Sudanese e l’opposizione. Altrimenti una consegna ai militari simile a quanto avvenuto in Egitto garantirebbe la continuità del regime, ma sotto un generale diverso.

9) L’esercito dovrebbe già essere contato sul lato controrivoluzionario. E’ una situazione preoccupante che alcune [persone] bacino [i militari] in testa nelle celebrazioni per gli sparuti fenomeni di ammutinamento che sembrano avvenuti nel paese. [I militari] si stanno semplicemente preparando per un Sisi 2.0. Mai fidarsi dell’esercito.

https://www.infoaut.org/approfondimenti/la-rivoluzione-sudanese-ed-i-potenziali-pericoli-che-la-attendono

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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