La violenza è un’arma spettacolare impiegata dalla classe dominante per screditare movimenti dal basso e giustificarne la repressione. E’ spettacolare nel senso di essere un grande e potente strumento politico per governare le masse e mantenerle al loro posto. Al fine di far questo, tuttavia, l’arma della violenza è spettacolare in un secondo senso: crea una messa in scena attentamente orchestrata per cerca di rendere invisibile la violenza della classe dominante, trasformando contemporaneamente atti di resistenza in colossale spettacoli di violenza criminale.

E’ in questo modo che è presentato dai media di massa Act 18 dei Gilet Gialli: nel preciso momento in cui il governo stava concludendo la sua consultazione democratica del popolo mediante il ‘Grand Débat’  di Macron, i Gilet Gialli hanno scatenato una quantità disordinata di violenza che oggi va repressa nei termini più forti possibili. Il presidente del Comitato degli Champs-Elisées, Jean-Noel Reinhardt, ha dichiarato in un’intervista, in cui era circondato dai microfoni di molti dei principali giornali, che il movimento non è più dei Gilet Gialli, bensì piuttosto dei Gilet Neri che semplicemente “manifestano odio e volontà di distruggere”. Proclamando che non può essere permesso che questa situazione prosegua a causa del suo impatto sull’attività commerciale e turistica, nonché in quanto diffamazione del simbolo globale degli Champs-Elysées, la sua dichiarazione si fonde in modo trasparente con la dichiarazione del primo ministro, Edouard Philippe: nuove misure saranno messe in atto per vietare le proteste in certi luoghi e per consentire giri di vite ancor più aggressivi della polizia.

In questo momento di spettacolarizzazione dei danni causati a proprietà private assicurate dell’industria commerciale e del lusso, che è presentata come la quintessenza della “violenza”, è notevole che il segretario generale del sindacato della polizia Unsa, Philippe Capon, abbia spiegato pubblicamente che la polizia ha ricevuto sabato l’ordine di non intervenire, perché c’era stata una scelta esplicita di “lasciare un certo numero di cose distrutte”. La tempistica non avrebbe potuto essere migliore, perché il governo ha le mani legate. Dopo alcune insignificanti concessioni a dicembre, e alla teatralità verbale del ‘Grand Débat’, i Gilet Gialli non sono tornati a casa e sono sopravvissuti sia all’inverno sia alle forme estreme di violenza statale repressiva scatenate contro di loro.

L’attuale spettacolo di violenza serve perciò a due scopi. Innanzitutto e soprattutto esso maschera la violenza strutturale del capitalismo e dell’oligarchia plutocratica, che sono le origini principali delle attuali rivolte. Le condizioni di vita delle masse sono sempre più inaccettabili e il sistema tradizionale della politica partitica e dei sindacati è disfunzionale. Uno dei cartelli delle proteste che va al cuore della questione afferma semplicemente: “La violenza è la povertà [La violence c’est la pauvreté]”. Anziché prendere sul serio natura quotidiana e ubiqua di questa violenza, che è la violenza della disuguaglianza capitalista, la “violenza” spettacolare è costruita precisamente al fine di distrarre dalla distruzione quotidiana della vita sotto il dominio capitalista. E’ intesa come interruzione temporanea e allarmante dello status quo, che va sradicata. E’ la “violenza” di incendiare una banca, anziché quella di fondarne una, o più generalmente la violenza del sistema bancario nel suo ruolo quotidiano di garante dell’egemonia della classe dominante globale.

In secondo luogo lo spettacolo della violenza orchestrato dallo stato e dai media di massa opera al fine di appiccicare la lettera scarlatta di V per Violenza al movimento dei Gilet Gialli per contemporaneamente criminalizzarlo e giustificarne la repressione brutale. Ci sono stati numerosi casi in cui la polizia è stata ripresa in video mentre danneggiava proprietà per incolparne i manifestanti, e molti agenti sono stati fotografati e riprese con martelli, presumibilmente a tale scopo. Almeno un membro della polizia antisommossa  ha parlato contro la violenza impiegata contro manifestanti nonviolenti, incoraggiata dal ministro dell’interno, e contro il tentativo di fomentare violenza nelle proteste.

I circoli dell’élite francese non hanno avuto un successo completo in questo aspetto della loro campagna di propaganda perché anche istituzioni liberali come le Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa e il Parlamento Europeo e Amnesty International non si sono fatte ingannare dal loro tentativo di rendere invisibile, o al minimo giustificata, la violenza dello stato. Il Commissario del Consiglio d’Europa per i Diritti Umani, Dunja Mijatović, ha preparato un memorandum il 26 febbraio che sintetizza parte della violenza, criticando anche contemporaneamente la mancanza di precisione e rigore delle statistiche tenute dallo stato e dai media: “Secondo dati del ministero dell’interno sono stati sparati o lanciati 12.122 flash ball, 1.428 candelotti lacrimogeni e 4,942 granate sting tra l’inizio del movimento dei Gilet Gialli e il 4 febbraio 2019”. In base a calcoli di un giornalista indipendente citati nel rapporto ci sono state “38 feriti agli arti superiori, tra cui 5 mani amputate, 52 feriti agli arti inferiori, 3 feriti ai genitali e 189 feriti alla testa, tra cui 20 persone che hanno perso un occhio”. Medici e giornalisti sono stati attaccati regolarmente e ci sono stati numerosi assalti brutali e un numero record di dimostranti incarcerati.

Ciò nonostante, considerevoli settori dello stato, dei media di massa e della guru-crazia si sono spinti molto in là per celare questo impiego sistematico della violenza dello stato contro dimostranti nonviolenti, medici, giornalisti e passanti. Emmanuel Macron ha distillato l’essenza stessa dell’ideologia liberale riguardo allo stato proclamando recisamente che non possiamo parlare di “repressione” o di “violenza poliziesca” oggi in Francia perché “queste parole sono inaccettabili in uno stato di diritto (dans un état de droit)”. In senso stretto, dunque, non può esistere qualcosa come la “violenza dello stato” perché lo stato si oppone alla violenza e quest’ultima può provenire solo da forze barbare e anarchiche fuori da esso.

Qui assistiamo al doppio movimento della violenza spettacolare in piena forza. Da un lato lo stato si sforza di mascherare il suo spettacolare sfruttamento mediante il dominio capitalista e la sua ugualmente spettacolare repressione di ogni resistenza a esso. D’altro canto cerca di incitare o creare “violenza” spettacolare nelle proteste al fine di contemporaneamente screditarle e usare tale spettacolo come copertura della sua accresciuta repressione e sfruttamento. Questi sono i due aspetti principali della violenza spettacolare che si manifesta oggi in Francia.

E’ imperativo identificare questa tattica per quello che è, e individuare nuove strategia per combatterne gli effetti estremamente perniciosi. Altrimenti rischiamo di soccombere all’inversione ideologica diagnosticata in modo così preveggente da Malcom X in un discorso del 13 dicembre 1964 in cui spiegò che la stampa è così potente nel suo “ruolo di creazione di immagini” che “può far apparire un criminale come se fosse la vittima e far apparire la vittima come se fosse essa il criminale”.

Questo articolo è stato elaborato collettivamente nel Radical Education Department.

Gabriel Rockhill è un filosofo e critico culturale franco-statunitense. E’ professore associato di filosofia presso la Villanova University e direttore fondatore dell’Atelier de Théorie Critique alla Sorbona. I suoi libri comprendono  Counter-History of the Present: Untimely Interrogations into Globalization, Technology, Democracy (2017), Interventions in Contemporary Thought: History, Politics, Aesthetics (2016), Radical History & the Politics of Art (2014) e Logique de l’histoire (2010). Oltre al suo lavoro accademico è stato attivamente impegnato in attività extra-accademiche nei campi dell’arte e dell’attivismo, nonché a contribuire regolarmente al dibattito intellettuale pubblico. Seguitelo su Twitter: @GabrielRockhill.

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/spectacular-violence-as-a-weapon-of-war-against-the-yellow-vests/

Originale: Counterpunch

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2019 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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