Chi va “arrestato”, cioè contenuto culturalmente e politicamente, è in queste ore il ministro degli Interni, il Capitano che ha voluto, a bella posta, spettacolarizzare l’arresto giudiziario della Capitana della Sea Watch 3. Un gesto che diventa la metafora, dal greco meta-foreo, portare oltre, della situazione verso la quale il pensiero sovranista e xenofobo vorrebbe far transitare ciò che resta della democrazia repubblicana, del rispetto di norme da tempo codificate nel Diritto Internazionale dei Diritti Umani. Il profetico Guy Debord, già nei lontani anni ’50 del secolo scorso, ammoniva che: «Tutta la vita delle società in cui regnano le moderne condizioni di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione. Le immagini che si sono distaccate da ciascun aspetto della vita si fondono in un corso comune, dove l’unità della vita non può più essere ristabilita». Ed ecco il punto, il vero arcano della vicenda Sea Watch e della sua coerente e coraggiosa Capitana: tornare col suo gesto a far palpitare l’umanità offuscata dalla immagini che ripetono, oramai stancamente, il dramma dei migranti. Ancora una volta è necessario un sacrificio, qualcuno che si immoli, che si faccia bruciare, questa volta non sulle fiamme di un altare, ma dai flash dei fotografi, per riportarci verso quel cuore sempre palpitante della nostra comune umanità. Ed è esattamente questo che la galassia sovranista, xenofoba, razzista, aborre sopra ogni cosa. Che esista ancora, in questi tempi di rinascente barbarie, di turpiloquio politico, di decadimento culturale, qualcuno che si faccia katékon, baluardo, attore del gesto giusto, testimone irriducibile e scandaloso di leggi ancestrali, quelle che abbracciano il corpo dolente dell’umanità intera, è ciò che fa scatenare le reazioni rabbiose di chi va arrestato. Perché? Perché non è possibile cancellare con una dichiarazione Facebook tutta la strada da cui questi migranti provengono, le condizioni di guerra, sofferenze, torture, vessazioni, cui sono stati sottoposti e che li ha spinti, loro malgrado, a venire qui. E ancora, dato che come diceva un baluardo della Prima Repubblica a pensar male si commette peccato ma ci si piglia, quanto è conveniente per le destre questa volontà di ignorare le cause delle migrazioni per poi lucrare sugli effetti? Le ondate di odio che si sono riversate nei confronti della Capitana Carola non sono forse uno schermo coprente per quelle di caldo che, però, nessuno sembra veramente interessato a contenere? E migliaia di esseri umani che ogni giorno tentano di sopravvivere emigrando, non sono forse la copertura ai milioni che ancora vivono sotto la soglia di povertà a causa di una sistema mondiale iniquo? Dati i risultati elettorali che vengono dalla non gestione dei grandi problemi che affliggono l’umanità, e che prima o poi riguardano tutti, e non ci sono muri che tengano, bisogna inferire che, ancora una volta, chi va arrestata non è la Capitana, ma la visione di un mondo in cui le diseguaglianze vengono alimentate o lasciate deliberatamente incancrenire affinché il loro spettacolo produca reazioni ancora più negative verso la loro soluzione. Sarebbe molto meno facile, in sostanza, la vita di questo Governo, se si dovessero di converso affrontare veramente le cause che producono le migrazioni, a cominciare dal pantano libico o dai fondi per le azioni di cooperazione. Non è certo un caso che quando si è prospettato un accordo che cominciava ad affrontare questi problemi in maniera globale attraverso il Global Compact, il nostro Paese non ha firmato, certo in buona compagnia a cominciare dallo splendido Trump con i suoi annegati nel Rio Grande. E allora, forse, la carica eversiva reale, archetipica, del gesto della Capitana, ma anche di tutti quelli che lo sostengono contro la marea di denigrazioni che si sono alzare in queste ore, è proprio quella di riaffermare uno sguardo che va oltre lo spettacolo uniformizzante e stereotipato sui pericoli delle migrazioni offerto dalle destre, per illuminare un orizzonte molto più vasto, contro cui il pensiero del ministro Salvini si arresta.

http://www.lasinistraquotidiana.it/da-arrestare-e-il-ministro-salvini/

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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