Chi ha scritto My favorite things? John Coltrane, dirà qualcuno di voi, ricordando di aver ascoltato questo bellissimo pezzo suonato dal sassofono del geniale jazzista americano. Tranquilli, non siete gli unici ad aver fatto questo errore.

Molti pensano, sbagliando, che My favorite things sia una mia composizione; vorrei tanto averla scritta io, ma è di Rodgers e Hammerstein.

E’ il 1960: nonostante il successo di Kind of blue, John decide di lasciare il gruppo di Miles Davis e fonda il proprio quartetto con McCoy Tyner al pianoforte, Steve Davis al contrabbasso ed Elvin Jones alla batteria. Ha voglia di esplorare le possibilità espressive del sax soprano e di esercitare il suo stile musicale su alcuni brani “classici”, ormai diventati standard jazz. Ne sceglie due di Gershwin, But not for me e Summertime – su cui aveva già lavorato a lungo Davis con la sua tromba – uno di Cole Porter, Ev’ry time we say goodbye, e poi una canzone che l’anno precedente Rodgers e Hammerstein hanno scritto per il loro nuovo musical, The sound of music. Non è certo la canzone più famosa di quello spettacolo, ma a Coltrane piace molto ed è sicuro di riuscire a ricavarne quello che sta cercando. Ha ragione: My favorite things, quella traccia di quasi quattordici minuti in cui lui e Tyner intrecciano i loro assoli su una melodia apparentemente semplice, diventerà uno dei suoi brani più famosi. Lo interpreterà molte altre volte e ogni volta sarà sempre differente da quella prima storica registrazione. In un concerto a Tokyo del 1966 quel brano dura quasi un’ora.
Strano destino quello di questa canzone. Forse la conoscete anche come una canzone di natale, perché tanti artisti l’hanno inserita nei loro album natalizi, da Tony Bennett a Barbra Streisand. Anche se le prime a farne un classico delle feste sono state le Supremes nel 1965. Certo ci sono le campane e le slitte, la neve e le manopole di lana, i pacchetti, ma non è Natale, semplicemente siamo a Salisburgo; e infatti tra le cose preferite di questa giovane ragazza austriaca c’è la schnitzel. O magari avete sentito questa canzone nella versione dei Chicago oppure cantata da Björk nel finale di Dancer in the dark.
Poi naturalmente potete averla ascoltata nel film Tutti insieme appassionatamente, come è stato tradotto in Italia, in maniera davvero bizzarra, il titolo del film che nel 1965 è stato tratto dal musical. La musica è sempre quella di Richard Rodgers, ma le parole sono di Antonio Amurri, uno dei padri del varietà radiofonico e televisivo del nostro paese, insieme a Maurizio Jurgens e Dino Verde, con cui ha spesso lavorato. Amurri – che è anche un prolifico paroliere – abbandona il testo di Oscar Hammerstein II e lo riscrive completamente. Spariscono così le oche selvatiche che volano con la luna sulle ali, come gli inverni argentati che si sciolgono nella primavera. Nella versione italiana del film è Tina Centi a dare voce a Maria, cantando con grazia Le cose che piacciono a me. In quegli anni doppia anche le canzoni di My fair Lady e Mary Poppins: Tina Centi è una delle grandi voci “dimenticate” del cinema italiano, eppure è grazie a lei se ricordiamo alcune splendide canzoni della nostra infanzia. Per noi Julie Andrews avrà sempre la voce di Tina Centi.
Naturalmente potete aver sentito questa canzone nella versione più “classica”, ossia quella interpretata da Julie Andrews per il film. In pochi mesi, tra il 1964 e il ’65, con Mary Poppins e The sound of music, l’attrice diventa una delle più grandi star di Hollywood, un’icona della cultura del Novecento.
Ma arriviamo finalmente alla canzone per come è stata scritta – probabilmente la versione che davvero pochi di voi conoscono – ossia quella per il musical che ha debuttato il 16 novembre 1959 al Lunt-Fontanne theatre a Broadway, appena sessant’anni fa. E scopriamo, inaspettatamente, che si tratta di un duetto.
Le monache di Nonnberg non sanno proprio cosa fare con quella giovane postulante che ama tanto cantare e che si perde di continuo tra i monti intorno all’abbazia: forse non è pronta per la vita monastica, bisogna che stia per qualche tempo fuori da lì, nel mondo. La madre badessa dice a Maria che ormai la decisione è presa: sarà la nuova governante dei sette figli del capitano von Trapp, che è rimasto vedovo. A questo punto Maria naturalmente canta e – dopo tutto è un musical – insieme a lei canta anche la madre badessa; e cantano, una dopo l’altra, The favorite things. Nel film – come ricorderete – la canzone arriva un po’ più avanti nella storia: Maria è già al lavoro, si è già conquistata l’affetto dei figli del capitano, quando una notte scoppia un violento temporale e la giovane canta questa canzone per tranquillizzarli. Ormai gran parte delle produzioni teatrali accettano questa versione e The favorite things viene cantata dalla sola Maria a questo punto della storia.
A Broadway le due interpreti del brano sono Mary Martin e Patricia Neway – rispettivamente nei ruoli di Maria e della madre badessa. Martin è una delle grandi regine di Broadway: dopo una lunghissima gavetta e tantissimi provini – da cui il soprannome Audition Mary – viene finalmente notata da Hammerstein. E’ l’inizio di una brillante carriera, in pochi anni è la protagonista di tre grandi musical: South PacificPeter Pan e appunto The sound of music, per ciascuno dei quali vince il Tony. Mary Martin rimarrà sempre una grande interprete teatrale, Hollywood non la riconoscerà mai come una possibile star. Per questo rischiamo di dimenticarla, nonostante i suoi grandi successi e la sua splendida voce.
Come non conosciamo il nome di Patricia Neway, una delle maggiori soprano statunitense, che nella sua carriera ha alternato continuamente – e con successo – i ruoli nel musical con quelli nell’opera, in un periodo particolarmente felice per il teatro negli Stati Uniti. Nel 1946 debutta come Fiordiligi in Così fan tutte di Mozart e due anni dopo è nel coro femminile della prima di The rape of Lucretia di Benjamin Britten. Nel 1950 è la protagonista femminile dell’opera di Gian Carlo Menotti Il console, poi la Madre nei Sei personaggi in cerca di un autore di Hugo Weisgall – dalla commedia di Pirandello – e ancora Santuzza nella Cavalleria rusticana di Mascagni, Marie nel Wozzeck di Alban Berg, Erodiade nella Salomé di Richard Strauss. A Parigi è la protagonista della Tosca di Puccini, ma in America continua a interpretare le opere di autori suoi contemporanei come Samuel Barber, Lee Hoiby, Carlisle Floyd. E nel 1960 per il suo ruolo in The sound of music ottiene meritatamente il Tony. E’ di sei anni più giovane di Mary Martin, ma la sua interpretazione e la sua voce si impongono. Naturalmente per il film è troppo giovane: la madre badessa sarà Peggy Wood, un’attrice di grande tradizione.
Patricia Neway nel corso di tutta la sua carriera, accetta molti ruoli in opere “moderne”, dando quindi un grande contributo al rinnovamento di questo genere nel teatro statunitense – perché, a differenza di quello che credono molte cariatidi qui in Italia, ci sono anche opere “moderne” – e in tutti i suoi ruoli riesce sempre a tenere insieme una grande capacità interpretativa alle indubbie doti canore. In rete potete trovare alcune sue interpretazioni – specialmente televisive – che meritano di essere viste.
Rileggendo quello che ho scritto fino adesso, mi sembra proprio di aver raccontato diverse cose che piacciono a me: le variazioni modali di John Coltrane, la bella televisione di Amurri e Verde, l’incantevole eleganza di Julie Andrews, le canzoni di Mary Poppins cantate da Tina Centi e Oreste Lionello, la possibilità di raccontare in tanti modi le commedie di Luigi Pirandello, le belle opere liriche, di tutte le epoche, la voce appassionata di Patricia Neway, e naturalmente la luna sulle ali della oche selvatiche.

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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