di Marco Sferini

Non ce la possiamo cavare né decontestualizzando quanto accade in Italia rispetto al resto del mondo e, tanto meno, proiettandoci solamente in una visione globale e minimizzando l’avanzata delle destre nello Stivale. L’interconnessione esiste proprio perché è evidente la vera e propria reazione (in tutti i sensi che il termine può avere sul piano sociale e politico) delle forze di destra e dei governi di destra estrema (come quello di Donald Trump) nei confronti di chi prova oggi ad allargare le maglie dei diritti dei proletari moderni, ad esempio degli indios colombiani.

Un vero e proprio colpo di Stato militare, supportato come sempre dai padroni del “giardino di casa” che stravolge un mandato parlamentare legittimo, che viene supportato dalle forze di polizia e dall’esercito. Adesso gli appartenenti ai “comitati civici“, praticamente le forze della peggiore destra filo-americana, sostengono una guerra civile che serpeggia per le vie delle principali città della Bolivia dove l’esercito ha praticamente preso il potere (per dichiarazione del generale Kaliman) mentre Evo Morales ha accettato di rifugiarsi provvisoriamente in Messico.

I governi socialisti (comunque li si voglia chiamare, progressisti, di sinistra, eccetera, eccetera…) non piacciono proprio (ed è giusto che sia così) agli imperialisti americani e ai loro servitori. Il governo di Evo Morales, per dare qualche cifra, in poco più di due lustri, aveva sconfitto l’analfabetismo portandolo dal 15 al 2%; aveva abbattuto notevolmente i milioni di disoccupati facendo regredire i senza lavoro dal 9 al 4% della popolazione attiva.

Quello che è stato dipinto come un tiranno, come un presidente usurpatore del libero voto, e lo si è visto chiaramente quando ha deciso di dimettersi e accettare nuove elezioni dopo le tante violenze di piazza messe in campo dalle destre boliviane, ha portato l’indice di povertà estrema dal 40% dei primi anni della sua presidenza all’attuale 15%. Nessun politico italiano può vantare nel suo curriculum, fatte le debite differenze economico-sociali tra America Latina ed Europa, tra Bolivia e Italia, una regressione così imponente di un fenomeno capitalistico che affligge milioni e milioni di moderni proletari.

Eppure Evo Morales è il demonio e i golpisti militari che hanno preso il potere sono i salvatori della patria. Del resto, il socialismo, come fase di transizione in cui si acquisisce il potere politico per gestire anche fasi economiche (dove quindi la sovrastruttura viene adoperata dal movimento anticapitalista per far avanzare riforme sociali e proseguire nella strada del superamento del sistema del profitto e delle merci) è visto dai grandi oligarchi e dai poteri forti come il peggiore degli spauracchi perché significa manifestazione plastica, tangibile di ciò che può succedere: il superamento della proprietà privata dei mezzi di produzione e la collettivizzazione delle terre. La fine del privato e l’avvento del pubblico in ogni settore.

Il MAS (il Movimento al Socialismo di Morales) non aspirava al momento alla rivoluzione comunista: nel suo programma politico ha la “lotta al capitalismo e all’imperialismo” ma in una cornice di recupero dell’economia boliviana in un contesto di sostenibilità, di ricrescita popolare intesa anche come recupero culturale della popolazione e inserimento della nazione in un ambito moderno. Verrebbe quasi da dire che il programma di Morales è un programma “riformista“, nel senso buono e generoso del termine, quindi un programma volto a fare piccoli ma importantissimi passi da una situazione disastrosa della vita tanto degli indios quanto degli inurbati ad un livello di sopportabilità della povertà trasformata in difficoltà “standard”, un po’ all’europea, ma non più devastante rispetto a quindici anni fa.

Quanto sta avvenendo in Bolivia ricorda vagamente ciò che accadde in Cile nel 1973 (o ciò che tutt’ora accade con Piñera nel modernissimo attuale Cile pseudo-democratico) o, ancora più recentemente, ciò che accadde a Lula in Brasile con la costruzione di false accuse che gli sono costate un anno e mezzo di carcere. Basterebbe solo interpretare, anche non politicamente, ma psicologicamente, la reazione di Jair Bolsonaro al momento della liberazione di Lula, per rendersi conto di quanta paura abbiano i grandi borghesi, i padroni e i grandi possidenti terrieri davanti all’avanzata di forze di sinistra nell’America Latina.

Del resto, l’onda globale di una destra reazionaria che prevale sulle forze progressiste va dall’Europa all’America e passa, in differenti modi e in espressioni politiche molto diverse da quelle cui siamo abituati, anche in Asia e in Africa.

L’esempio di queste ore è quello spagnolo dove Vox, la parte più reazionaria e neofalangista della politica iberica, ha triplicato i suoi consensi a scapito del Partito popolare e di Ciudadanos, pescando indubbiamente voti anche in quel mezzo milione di elettori che hanno abbandonato Unidas Podemos.

Dall’Italia sovranista a quella che rimpiange Francisco Franco in Spagna, passando per l’America di Trump, l’Ungheria di Orbàn e la Bolivia dei militari e comitati civici golpisti, la stagione nera del mondo sembra una lunga notte che deve ancora entrare nel pieno della sua oscurità nei confronti delle tante conquiste sociali e civili frutto di un secolo e mezzo di contrapposizioni di classe, contro suprematismi bianchi, svastiche travestite da incappucciati e crociati moderni, razzisti e xenofobi di ogni tipo, finti amanti della libertà sostenitori delle peggiori dittature che hanno fatto strage proprio dei comunisti, degli anarchici e di tutte e tutti coloro hanno difeso una nuova idea di umanità: libera da ogni schema statalista, da ogni militarismo e da, soprattutto, da ogni bisogno materiale.

L’onda nera avanza e va fermata. Su come fermarla il dibattito è appena iniziato. Di certo non si possono sacrificare le differenze nel nome del “fronte comune“: non si può fermare il fascismo con il liberismo. Ma si può ragionare su come costringere il liberismo a fermare il neoautoritarismo che vorrebbe prevalere in gran parte del mondo. Ammesso che le forze liberiste, sempre pronte a dirsi “democratiche” e civili, vogliano davvero mettere un argine alla regressione neonazista che, sotto molti differenti forme, albeggia nel mondo…

MARCO SFERINI

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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