El Malecón de LAvana
Francesco Cecchini
A Nivaldo
Habana a tus pies
No sabría como amarte de otra forma
Habana a tus pies
Pasa el tiempo y tu recuerdo no se borra
Habana, tu piel
Oh, Habana, tu piel
Canzone di Fito Paez
Uscendo dall’aereoporto il cielo è limpido, c’è una leggera brezza e nessuna minaccia di pioggia. Ho incontrato varie volte Cuba, prima di atterrare all’Avana. In politica, in alcuni libri, al cinema e in Viet Nam. Devo ad alcuni vietnamiti che hanno vissuto e studiato a Cuba racconti sull’isola e l’avermi spiegato, in cubano, la loro cultura e il loro paese, un enigma per me prima di conoscerli.
Il primo giorno, appena lo incontro, Nivaldo mi regala un libro di Leonardo Padura Fuentes, con dedica firmata un cubano de fin de siglo, ed è proprio una settimana di fine secolo, all’inizio del 1999, che visito l’Avana. Il libro è intitolato El viaje mas largo e nel primo capitolo racconta i cinesi che dalla Cina sono arrivati a Cuba. Nivaldo mi dice: ” Ti ho regalato questo libro che racconta anche dei cinesi all’Avana perché Gabriele mi detto che hai vissuto degli anni in Cina.” Il libro il cui titolo riprende un proverbio cinese, il viaggio più lungo inizia con un primo passo, raccoglie alcuni articoli di Leonardo Padura Fuentes pubblicati da Juventud Rebelde. Il mio viaggio all’Avana è invece corto, pochi giorni. ” Non ho vissuto in Cina, ma in Viet Nam. In un certo senso una piccola Cina.Ho amici vietnamiti che hanno studiato qui.” Gli spiego. Nivaldo mi accompagna nella chinatown cubana, un piccolo quartiere dell’Avana che si prepara al capodanno. E’ la terza chinatown che visito, dopo quella di Lima e Cho Lon a Sai Gon. Mancano poche settimane al loro capodanno e il quartiere si sta decorando per quando il drago danzerà per le strade al suono di gong.Tutti gli abitanti hanno nomi cubani, Francisco, Mario e cognomi cinesi, Chang e altro. Non c’è però la vitalità di Cho Lon o di altre chinatown, in giro vi sono volti vecchi. Dopo la rivoluzione il quartiere ha iniziato a spopolarsi, una volta i cinesi erano circa 10.000, molti erano fuggiti dalla Cina per sfuggire al socialismo e ora il socialismo era arrivato nell’isola. All’Avana, a Cuba, non c’è solo la Cina, ma anche la Nigeria, il Benin, il Togo, la Sierra Leone, l’Africa occidentale quindi. La santeria religione di origine africana occidentale, con le sue divinità nere, è diffusa in tutta Cuba e anche all’Avana. Per capire gli yoruba cubani Nivaldo mi consiglia di leggere i lavori di Lydia Cabrera, Cuentos negros de Cuba, El Monte e altri. Li posso trovare alla Biblioteca nacional de Cuba José Martí, ma non ho nessuna intenzioni di rinchiudermi in una biblioteca, qualsiasi sia il motivo. Non ho il tempo.
Nivaldo mi racconta che quando Fidel entrò all’Avana era un ragazzino, poco più di un bambino e si ricorda che molti barbudos erano semplici contadini mai stati in città e la guardavano stupiti per la sua bellezza e per i molti abitanti. Anche la gente umile dell’ Avana guardava all’esercito ribelle con stupore e speranza in un futuro migliore. Arricchisco il mio spagnolo con vocaboli cubani. Bola, bufala controrivoluzionaria, da non farci caso. Barbaro, divertente.
Cevere, persona o situazione simpatica (stesso significato anche in colombiano).
Guayabera, camicia non infilata nei pantaloni. Jinetero/a persona che avvicina turisti per cambiar denaro o far sesso. Pepillo/a ragazzo/a alla moda.
Radio Bemba, notizia trasmessa a voce. Turbonadas, forte pioggia. Esiste perfino un vocabolario cubano-spagnolo. Parlo con Nivaldo della mia passione per la fotografa rivoluzionaria Tina Modotti, so anche del suo amore cubano, Antonio Mella, assassinato tra le sue braccia a Città del Messico. Nivaldo mi dice che le sue ceneri dapprima conservate dai compagni del Partito Comunista messicano, sono ora all’Avana e si trovano in un monumento che si innalza di fronte all’Università. Mi ci porterà. I sette giorni passano veloci. CammIno per l’Habana Vieja. Fotografo Plaza Vieja con al centro una fontana in marmo italiano bianco. Attorno vi sono stradine dove ragazzi giocano a baseball, lo sport nazionale. Hanno dei guantoni, ma come mazze usano le braccia. Fotografo anche il Malecon al tramonto. Onde del mar Caribe, si infrangono contro un muro di pietre centenarie.
Al Floridita bevo quello che Ernest Henigway beveva, daiquiri e rum. Un cameriere mi spiega la differenza tra rum giamaicano e rum cubano. Il rum cubano, Carta blanca e Carta de oro, è raffinato,di qualità, leggero, secco, di colore chiaro , molto usato nei cocktail. Quello Giamaicano dal lungo invecchiamento,almeno cinque anni, è scuro, dal gusto pieno e pungente, e va gustato liscio. Nivaldo mi racconta anche qualcosa della famiglia, i Bacardi, che hanno fatto conoscere a tutto il mondo il rum cubano. I Bacardi hanno abbandonato Cuba, ma sono rimasti coloro che lo facevano, il rum, e forse è migliore ora.
In una libreria compro i primi romanzi di Leonardo Padura Fuentes e in una bancarella di l’ Habana Vieja Il Diario del Che in Bolivia con prefazione di Fidel Castro, e Contrapunteo cubano del tabaco y el azúcar di Fernando Ortiz Fernández, per l’antropologo Ortiz il tabacco e lo zucchero sono protagonisti di Cuba.
L’ultimo giorno del mio soggiorno Nivaldo invita me ed Elena a pranzo a casa sua e ci presenta la moglie,Celia. Vive un pò lontano dal centro e da La Habana Vieja, in quartiere operaio popolare progettato, molto tempo fa, da un architetto italiano. Il pranzo è Arroz con todo, riso saltato in padella con molte verdure. Celia:” Uno dei piatti popolari di Cuba è l’ajaco creolo tradizionale, ma non abbiamo nessun tipo di carne.” Durante il pranzo Nivaldo ci racconta della sua vita, felice, di maestro elementare e mostra una foto dei suoi alunni, bambine e bambini con camice bianche e fazzoletti rossi al collo.
“In aula ho appesa alla parte una foto di Ernesto Ché Guevara,quella di
Roberto Korda, e a volte faccio cantare a las niñas y a los niños
aquí se queda la clara
la entrañable transparencia
de tu querida presencia
comandante Ché Guevara
Dopo il caffè ci ringrazia per i quaderni, le matite e i colori che abbiamo comprato per la sua scuola.
Il tassista che viene a riprenderci scambia quattro parole con Nivaldo. Arrivati all’ Hotel Nacional non vuole essere pagato. Devo insistere. Ci abbraccia e dice: ” Vos sois familia.”