Albert Camus e il suo romanzo Le premier homme
Francesco Cecchini
Il 4 gennaio 1960, mentre Albert Camus ritorna a Parigi con l’ editore Michel Gallimard, la macchina sbanda e si schianta contro un albero. Albert Camus rimane ucciso, aveva 46 anni. Nella sua borsa viene trovato un manoscritto, che verrà pubblicato solo nel 1994 dalla figlia Catherine Camus. Catherine Camus ha spiegato il ritardo nel pubblicarlo: ” Avevo paura per Albert Camus, che non sarebbe stato qui per difendersi”. Albert Camus era sotto attacco da parte di intellettuali francesi, come Jean-Paul Sartre. Comunque dopo il successo subito dopo la pubblicazione Catherine perde ogni timore e scrive: ” Non mi aspettavo la felicità di ritrovare Camus. Ho voluto proporre il testo tale e quale, senza interpretazioni…lo scrittore si presenta senza maschere, senza difesa…Forse è proprio ciò che ha tocccato. Camus lascia parlare pienamente la sua sensibilità. Camus che sempre ricercato l’estetica classica- per dire di meno per dire di più- si lascia andare qui a un lirismo che a volte fa pensare a Proust o a Claude Simon. Camus è diventato un classico”. Inoltre Catherine spiega anche il titolo del romanzo: ” Sono coloro che vivono in terra, senza apparentemente lasciare tracce, ma sono coloro che costruiscono nel quale viviamo”.
Nel romanzo Jacques Cormery è l’alter ego di Albert Camus. Cormery è il cognome della nonna paterna. Il romanzo il Primo uomo è una ricerca del proprio tempo passato che attira ancora l’ attenzione e l’ interesse dei lettori, tanto che l’editore Bompiani lo ha ripubblicato lo scorso gennaio, in occasione del sessantesimo anniversario dalla morte.
IL PRIMO UOMO DI ALBERT CAMUS
In un articolo pubblicato sull’Express il 21 ottobre 1955 Albert Camus scrisse: ” Sono nati laggiù, moriranno laggiù e vorrei solamente che non sia nel terrore o nella minaccia, nè massacrati in fondo alle loro miniere. Devono dunque questi francesi laboriosi, isolati nei loro villaggi subiscano il massacro per espiare le colpe della Francia colonizzatrice?”
Questo sentimento si ritrova nel Il Primo uomo, che va sottolineato non è né un romanzo sociologico, né politico, ma un racconto di Albert Camus della propria infanzia e giovinezza. Autobiografia, quindi.
Albert Camus nato in Algeria da padre di origine alsaziana e madre di origine spagnola si sente algerino, l’ Algeria è la sua patria. Il Primo uomo racconta Algeri, con i suoi odori, i suoi colori, i suoi suoni. Racconta il suo mare, il mediterraneo, e il suo sole. ” In Algeria il sole e il mare non costano niente”. scrive in un’altro lavoro. Ma Algeri è una città divisa, come tutta l’ Algeria,
Jaques Albert vive in quartiere popolare povero, Belcourt, in un piccolo appartamento miserabile di tre stanze, dove abitano cinque persone. Il quartiere è un microcosmo della vita del popolo algerino dove francesi, europei ed arabi convivono e la famiglia Conm Camus è rappresentativa di collettività più grande popolare ed operaia
Fino a quando non va al liceo, Jacques Albert non lascia quasi mai il quartiere di Belcourt.
Il Grand Lycée d’ Algeri (Lycée Bugeaud dopo il centenario della colonizzazione dell’Algeria) si trova Babel-Oued all’opposto di Belcourt. I tragitti in tram oltra all’opportunità di ammirare la bellezza della baia fanno conoscere a Jaques Albert la composizione della popolazione algerina. ” A ogni fermata, il tram si svuotava del suo carico di operai arabi e francesi, facendo posto a una clientela sempre meglio vestita,man mano che s’avvicinava al centro…”
Il Liceo si trova nella Algeri Bianca, Alger La Blanche, della borghesia che ha colonizzato il paese è ora lo domina. Sono i quartieri eleganti, “quartiers en haut”, che si distinguono da quelli poveri ” le bas quartiers”. Questi sono vecchi, polverosi e senza alberi e non frequentati dai ricchi di Alger la Blanche. Nel romanzo si parla di un
viale alberato con magnifici platani che costituisce un confine tra le due città, quella dei ricchi e quella dei poveri, nella città d’ Algeri. Albert Camus racconta la povertà, innanzitutto quella della sua famiglia e dei francesi che vivono in quartieri come Belcourt, ma anche degli arabi che di certo non vivono nell’ Algeri Bianca.
Va detto che Algeri in quegli anni è una città doppia ma non nettamente divisa, come per esempio l’ Asmara coloniale con i bianchi da una parte e i neri dall’altra; Algeri è un mosaico complesso di quartieri europei e musulmani collegati fra loro. In alcuni casi si mescolano. La Casbah, la parte alta della vecchia città araba, è un labirinto di stradine, in mezzo ai quartieri europei costruiti nel XIX e XX secolo, la Marina, Bab el Oued, Bab-Azoum, Mustapha, El Biar, che a loro volta erano circondati ad quartieri musulmani vicini al porto o sulle colline: Belcourt, Clos Salambier, Climat de France. Qui vivevano anche europei poveri, i petites blanches. La popolazione musulmana a causa della maggior fecondità e dell’immigrazione interna dalle campagne aumentava più rapidamente dei bianchi e si ammassava in alloggi stretti e insalubri, nelle baraccopoli e nei casermoni di edilizia popolare.
Accenna a ribellioni contro il colonialismo francese che causa questa situazione, per esempio
l’attentato a Belcourt. Un arabo francesizzato, Saddok, dice: ” I francesi hanno ragione, ma la loro ragione ci opprime. Ed è per questo che ho scelto la follia araba, la follia degli oppressi.” (nota in Appunti ed abbozzi, pag. 293 ).
Il tema è però affrontato in un incontro con Veillard.
Ritornando al suo villaggio natale per avere notizie sul padre, Jaques incontra Veillard che gli racconta dei primi coloni venuti dalla Francia per installarsi in Algeria e del loro incontro con i popoli indigeni dell’Algeria e della loro miseria. La maggior parte di questi coloni morirono per malattie. Da questi coloni discende Veillard. La madre di Jaques Albert discende da spagnoli di Mahon, che erano fuggiti dalla Spagna per non morire di fame. Il padre era di origine alsaziana, i cui antenati avevano rifiutato il dominio tedesco nel 1871. Jaques Albert con Veillard parla dei rapporti tra coloni francesi gli indigeni algerini. Significativo questo colloquio tra i due.
” E lei?”
“Oh, io rimango fino alla fine. Qualsiasi cosa succeda. Ho mandato la famiglia ad Algeri, ma creperò qui. Questo a Parigi non lo capiscono. A parte noi sa chi lo capiscono?”
” Gli arabi?”
” Appunto. Siamo fatti per intenderci. Stupidi e rozzi come noi, ma con lo stesso sangue da uomini. Continueremo ancora un pò ad amazzarci, a tagliarci i coglioni, a torturaci. Poi ricomiceremo a vivere tra uomini. E’ il paese che lo vuole.”
Veillard crede che la guerra civile sarà corta, risolverà i problemi dell’ Algeria e francesi ed arabi vivranno in pace.
Anche Alberta Camus desiderava un sistema politico-sociale che permettesse ai pieds-noirs
francesi di Algeria, per lo più piccoli bianchi poveri, di restare in Algeria.
La storia smentirà sia Veillard che Albert Camus.
Il 5 luglio 1962, un paio di anni dopo la morte di Albert Camus, il popolo algerino conquistò l’indipendenza, che fu proclamata, e la stragrande maggioranza dei pieds-noirs, se già non lo aveva fatto, abbandonò il paese.
IL PRIMO UOMO DI GIANNI AMELIO
Immagini del film di Gianni Amelio in senso antiorario: Jacques Cormery, Hamoud Abdhramane, lo zio di Jacques e Aziz.
È su il Primo uomo, romanzo incompiuto di Albert Camus, che Gianni Amelio costruisce il film omonimo, contando anche sulla collaborazione della figlia dello scrittore, Catherine Camus. Vi sono però delle differenze con il romanzo, che riguardano il ruolo di Albert Camus Jacques Cormery nella situazione di allora in Algeria. Queste differenze, che Amelio riconosce, però non tradiscono o alterano per niente l’autobiografia di Albert Camus, ne mettono in evidenza alcuni punti.
Il link con il film di Gianni Amelio in francese è il seguente:
All’inizio del film Jacques Cormery, dopo aver visitato la tomba del padre a…rientra in patria per un intervento a sostegno della causa a favore dell’unità e della pace tra gli algerini. E’ sua intenzione lanciare ad Algeri il suo «Appello per una tregua civile in Algeria. Jacques Cormery trova una Algeri dove i conflitti franco-arabi sono ancora nel pieno svolgimento; da una parte gli arabi rivendicano il diritto d’indipendenza dalla Francia, con il FLN (Fronte di Liberazione Nazionale) che sta prendendo forza, dall’altra gli algerini di origine francese non vogliono abbandonare la terra in cui sono nati. Le autorità gli negano le sale da lui richieste e fu così che, grazie alla sua amicizia con lo sceicco El Hokbi, il 22 gennaio 1956 riuscì a organizzare un incontro pubblico al Circolo del Progresso, luogo simbolo del movimento islamista degli Ulema, nella parte bassa della Casbah. All’esterno, migliaia di militanti della destra francese occupavano la piazza scandendo slogan a favore della repressione e contro ogni intesa al grido «A morte Camus!». La proposta che aveva lanciato appariva loro come un vero e proprio sacrilegio. Ma anche gli algerini che erano per un’ Algeria indipendente dal colonialismo francese consideravano l ‘appello di Albert Camus, Jacques Cornmery un tradimento.
Un’altro punto è il suo ex compagno di scuola l’arabo Hamoud Abdhramane. Hamoud non c’è nel libro, ma nel film rappresenta una realtà. A scuola impognono insegnano ad Hamoud e agli altri giovani arabi che la frequentano una storia che non è la propria, non è del loro paese che parlano.
Gianni Amelio ha reso Hamoud l’antagonista di Jacques: Hamoud che rifiuta di parlare francese, Hamoud che rifiuta di ascoltare la storia della Francia, Hamoud che gira le spalle alla lavagna in classe, Hamoud che rifiuta il pane che lui offre Jacques, Hamoud che dice al maestro che chiede “Chi ha iniziato la lotta? “Sono io! “.
Hamoud, è l’Algeria che sta iniziando a ribellarsi. E quando Hamoud ha un figlio, questo figlio sarà, da un lato, un eroe della rivoluzione e, dall’altro, un terrorista. Aziz, che abbiamo incontrato in prigione, è una specie dell’ultimo anello della catena, quello che porta bombe e che sarà ghigliottinato. Anche Aziz non c’è nel romanzo.
Hamoud chiede aiuto a Jacques come padre. Jacques non riesce a evitare ghigliottinamento e quando parla alla radio il giorno dopo l’esecuzione di Aziz ed anche dopo un attacco del FLN, condanna la violenza, ma usa parole umane per Aziz.
Gianni Amelio, per questo figlio ribelle, per questo giovane algerino che lotta per l’ indipendenza e viene giustiziato dalla giustizia francese offre una scena di dolore e di meditazione segnata da una bellezza sbalorditiva di compassione.
CONCLUSIONE.
L’ utopia di Albert Camus di un’Algeria libera dal colonialismo, dove potessero convivere francesi ed arabi, è stata sconfitta dalla storia. Il popolo algerino si è liberato dal colonialismo, ma i francesi, meno pochi, hanno dovuto andarsene.
Sono le sei e mezza del tardo pomeriggio, quasi sera, di domenica 30 settembre 1956, quando una deflagrazione squassa il Milk Bar, mandandolo in frantumi. Il locale è affollato, i morti sono tre e i feriti una dozzina. La bomba che causa l’esplosione è deposta poco prima da Zohra Drif, una giovanissima militante, ha 22 anni, del Fronte di Liberazione Nazionale.
In un’intervista rilasciata nel marzo 2012 al giornalista Malik Ait Audia, del settimanale francese «Marianne», la combattente, moudjahidine, Zohra Drif spiega la sua azione di guerriglia urbana.
Perché l’ attentato?
“Erano mesi che gli estremisti dell’Algeria francese mettevano bombe nei quartieri francesi. Queste bombe, che hanno fatto centinaia di morti, erano messe con la complicità della polizia per terrorizzare il popolo algerino che sosteneva l’FLN. Questa campagna di bombe è culminata con l’attentato della Rue de Thèbes, in piena Casbah. Questa bomba messa all’una del mattino durante il coprifuoco, fece una carneficina, molte case sono crollate su coloro che le abitavano, si sono contati diverse decine di cadaveri. Fu evidente che la polizia coloniale non fece nulla. Fuori Algeri, l’esercito francese distruggeva i villaggi, se la prendeva con la popolazione civile che bombardava a tappeto, deportava centinaia di migliaia di persone in campi appositi. L’esercito conduceva una guerra totale contro il popolo algerino. L’obiettivo chiaro era di terrorizzare il popolo algerino per fargli perdere ogni fiducia nella capacità dell’FLN di lottare e di proteggerlo”.
Albert Camus così spiega la sua posizione di fronte alla lotta per la liberazione dell’Algeria: “Ho sempre condannato il terrore. Devo anche condannare un terrorismo che si esercita ciecamente nelle vie d’Algeri, che per esempio può colpire mia madre e la mia famiglia. Credo nella giustizia, ma difenderei mia madre prima della giustizia.” Frase del discorso pronunciato quando ricevette ilPremio Nobel per la letteratura nel 1957.
Va ricordato che Albert Camus, nonostante le critiche di Jean-Paul Sartre, di Simone de Beauvoir e di altri intellettuali francesi per la sua posizione durante la guerra di liberazione algerina, fu un anticolonialista e un antifascista. Per esempio lavorò nella redazione di “Alger républicain” e nei suoi articoli denuncia lo sfruttamento dei nord-africani e lo stato miserabile nel quale vengono tenuti dal governo coloniale francese.La sua inchiesta Miseria della Cabilia, pubblicata nel giugno del 1939, è rimasta famosa. In Francia durante l’occupazione nazista collabora alla direzione del giornale clandestino Combat. Il 24 agsto 1944 quando Parigi viene liberata scrive “Parigi spara tutte le sue pallottole nella notte d’agosto”. Il 16 maggio 1945 scoppia una rivolta in Algeria. Camus si reca sul posto e conduce un’inchiesta per Combat, nella quale denuncia la situazione.
L’ Algeria di oggi non è più quella di Albert Camus. Possiamo, però, immaginare che se fosse vivo e in forze sarebbe con la moudjahidine Djamila Bouhired, eroina della Battaglia d’Algeri militante del movimento hirak che lotta per un cambio di sistema e per una democrazia reale.