Riceviamo e pubblichiamo 

testi di Chiara Pasetti e Franco Astengo

Temps des cerises è una canzone scritta da Jean Baptiste Clément nel 1866 e musicata da Antoine Renard nel 1868. Originariamente concepita come invocazione alla primavera e all’amore, venne in seguito strettamente associata alla Comune di Parigi, un vasto movimento insurrezionale del popolo parigino che diresse la città dal 18 marzo al 28 maggio 1871. L’autore era un «comunardo» che prese parte alla rivolta particolarmente sanguinosa svoltasi nel mese di maggio («il tempo delle ciliegie») del 1871, durante la quale furono uccisi e sommariamente processati circa ventimila combattenti per ordine dell’esercito comandato da Mac-Mahon. Molti di loro in quell’occasione vennero condannati al carcere e deportati, e migliaia di parigini fuggirono all’estero. Tra questi anche la celebre rivoluzionaria Louise Michel, insegnante e anarchica che fu particolarmente attiva nella Comune; nel 1873 venne inviata in esilio in Nuova Caledonia e rientrò a Parigi soltanto nel 1880. Successivamente, dopo altri arresti, si trasferì a Londra, dove insegnò in una scuola femminile; al suo rientro a Parigi, nel 1995, venne accolta dai suoi compagni con una grande manifestazione alla stazione Saint-Lazare (nel 1888, alla domanda «Qual è la tua eroina preferita realmente vissuta?», Camille Claudel aveva risposto proprio «Louise Michel»; cfr. Camille Claudel, Correspondance, édition Anne Rivière et Bruno Gaudichon, troisième édition revue et augmentée, Gallimard, Paris 2014, p. 63). La canzone Le Temps des cerises, dalla Comune in poi, diventerà un simbolo degli appartenenti alla sinistra francese, che ancora oggi la scelgono per accompagnare le loro riunioni o manifestazioni.

da:Mademoiselle Camille Claudel e Moi, di Chiara Pasetti, edizioni Aragno 2016.

LA BANDIERA ROSSA

Tra il marzo e il maggio del 1871 il vecchio mondo si contorse in convulsioni di rabbia alla vista della Bandiera Rossa, simbolo della Repubblica del Lavoro, sventolante sull’Hotel de Ville.

Che cos’era la Comune, scrive Marx in “Guerra Civile in Francia” (Editori Riuniti, edizione curata da Palmiro Togliatti, I ristampa 1977): “Questa sfinge che tanto tormenta lo spirito dei borghesi?”

“I proletari di Parigi” scriveva il Comitato centrale nel suo Manifesto “in mezzo alla disfatta e ai tradimenti delle classi dominanti hanno compreso che è suonata l’ora in cui essi debbono salvare la situazione prendendo nelle loro mani la direzione dei pubblici affari. Essi hanno compreso che è loro imperioso dovere e loro diritto assoluto di rendersi padroni dei loro propri destini, impossessandosi del potere governativo”.

Ma la classe operaia non poteva (e non può) mettere semplicemente sulla macchina dello Stato bella e pronta, e metterla in movimento per i propri fini.

La classe operaia non attendeva, allora, miracoli dalla Comune.

Essa non aveva utopie belle e pronte da introdurre “par decrete du peuple”.

Sapeva che per realizzare la sua propria emancipazione, e con essa quella forma più alta cui la società doveva tendere irresistibilmente per i suoi stessi fattori economici, avrebbe dovuto passare per lunghe lotte, per una serie di processi storici che avrebbero trasformato le circostanze e le persone.

La classe operaia non aveva da realizzare ideali, ma da liberare gli elementi della nuova società dei quali appariva gravida la vecchia e cadente società borghese.

Pienamente cosciente della sua missione storica e con l’eroica decisione di agire in tal senso, la classe operaia poteva permettersi di sorridere delle grossolane invettive dei signori della penna e dell’inchiostro, servitori dei signori senza qualificativi, e della pedantesca protezione dei benevoli dottrinari borghesi che diffondevano i loro insipidi luoghi comuni e le loro ricette settarie.

Tra il 21 e il 28 maggio la “congiura dei negrieri”, la controrivoluzione strapotente per mezzi impose alla fine la più nera repressione, ma il seme era stato gettato: il potere operaio si presentava così, nell’esperienza della Comune, non tanto come l’edificazione di un nuovo Stato, nel senso proprio del termine, ma già come l’edificazione di una nuova società che prepara la società pienamente emancipata, comunista.

Ogni qual volta il nostro pensiero si rivolge al Muro dei Federati, là al Pere Lachaise, dove riposano gli sterminati di quella meravigliosa avventura, non possiamo non dirci, nonostante le delusioni, i fallimenti, il trasformarsi della società a tutti i livelli,che il nostro obiettivo non può che essere quello per il quale caddero e per il quale vale ancora la pena di lottare.

Di AFV

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