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di Marv Waterstone e Ian Shaw – 21 maggio 2020

Tra la miriade di contraddizioni rivelate dalla pandemia di COVID-19 una delle più suggestive è la differenza tra lavoratori “essenziali” e “non essenziali” e il lavoro che svolgono. Anche se paiono esserci differenze significative riguardo a chi rientra in ciascun gruppo, quella che è interessante è l’apparente facilità con la quale la maggior parte delle persone dà per scontate tale categorie. Che cosa rende possibile – almeno nelle circostanze effettivamente esigenti della pandemia – a milioni (o miliardi, su scala globale) di lavoratori essere informati che di quello che fanno un giorno sì e l’altro anche si può improvvisamente fare a meno? Che cosa ci dice ciò a proposito di come tali milioni di persone trascorrono effettivamente il loro tempo?

Nel suo libro del 2018 Bullshit Jobs: A Theory [Lavori di merda: una teoria], l’antropologo statunitense David Graeber afferma che oltre metà di tutti i lavori è privo di significato, inutile e psicologicamente dannoso. Anche se potremmo dissentire sulla percentuale precisa, è difficile contestare il punto principale. La maggior parte di noi svolge un lavoro che ci fa sentire totalmente vuoti, un fenomeno che la pandemia sta illustrando prepotentemente. Ciò che pure è reso di una chiarezza cristallina dalla pandemia è che la perdita di questi lavori persino “di merda” si accompagna a un costo pesante per singoli, famiglie, comunità ed economie più generali. 

In tutto il mondo la maggior parte delle persone ha poca altra scelta per sopravvivere che offrirsi a noleggio come schiavi del salario a quelli disposti a sborsare denaro per la loro forza lavoro. Una volta noleggiati, tali lavoratori non hanno virtualmente alcuna voce in capitolo riguardo al genere di lavoro che svolgeranno durante il tempo contrattato del noleggio. Tali decisioni – riguardo a che cosa produrre, come produrlo e che cosa fare dei prodotti – sono tutte prese dal noleggiatore, dal capitalista. E, naturalmente, la sola cosa che muove queste decisioni è la massimizzazione del profitto, il “valore” per gli azionisti e la vanagloria personale. Non conta, se non incidentalmente, che i prodotti (beni e servizi) abbiano valore, fintanto che possono alla fine essere venduti. Ugualmente, e come anche la pandemia ha evidenziato, in conta molto quali condizioni i lavoratori subiscano nell’attuare i compiti essenziali di massimizzare il profitto, il valore per gli azionisti e l’arricchimento capitalista.

Una logica estensione di questa linea di pensiero consiste nell’esaminare il ruolo dei nostri cosiddetti leader attuali sia nel governo sia nell’economia prima, durante e “dopo” la pandemia. Considerate l’avidità, l’inettitudine, l’insensibilità e crudeltà gratuita diffusamente abbaglianti che hanno caratterizzato la più tipica mancanza di preparazione e la successiva reazione alla pandemia, è un momento opportuno per riflettere su quanto essenziali siano realmente questi “leader”.

Negli argomenti a favore di “aprire l’economia” possono essere interpretati se non come un male sentimenti come “LIBERIAMO IL MINNESOTA!” del presidente Trump, la sua insistenza che “dobbiamo essere guerrieri” o la battuta del presidente brasiliano Jair Bolsonaro che “tutti devono morire prima o poi”? Quanto è ridicolo continuare a permettere che persone come queste controllino come la maggior parte di noi “spende” (e il termine è usato deliberatamente) la propria vita?

Possiamo qui anche formulare, solo per un momento, delle supposizioni riguardo al genere di decisioni di massimizzazione del profitto che hanno aumentato la probabilità di una simile pandemia. Nel perseguimento di risorse e manodopera più a buon prezzo, il capitalismo neoliberista e basato sui combustibili fossili ha accelerato la catastrofe climatica che, tra altri effetti, ha favorito contatti più frequenti e più stretti tra specie portatrici di virus ed esseri umani, il che a sua volta ha aumentato le possibilità di contagi zoonotici. Inoltre, questa fase del capitalismo ha sviluppato estese catene globalizzate di materie prime e di commerci internazionali che virtualmente garantiscono una trasmissione rapida e diffusa.

Per contro, ci chiediamo come potrebbero essere queste soluzioni se i lavoratori controllassero in effetti questi processi. In che cosa consisterebbe il lavoro se le decisioni riguardo a che cosa produrre, come produrlo e che cosa fare dei beni e servizi fossero basate su criteri che fossero stabiliti comunitariamente e democraticamente? Se tali decisioni fossero basate su ciò che le persone vogliono e di cui hanno bisogno, anziché sulla massimizzazione del profitto (le cui possibilità sono state rivelate, almeno inconsapevolmente, dalle esigenze dalla pandemia) questi processi sarebbero enormemente diversi. In tali circostanze tutto il lavoro e tutti i lavoratori, per definizione, sarebbero essenziali. Anziché mettere unicamente a disposizione mezzi di sussistenza, il lavoro (contrariamente alla tradizionale manodopera salariata) offrirebbe dignità e realizzazione. Il lavoro cesserebbe di essere un mezzo per i fini di qualcun altro. Il lavoro non sarebbe più un mucchio di “merda”.

Se le cose stessero così, quali sarebbero stati i preparativi e la reazione alla pandemia? Quali decisioni sarebbero prese se chi ha maggiori probabilità di subire le conseguenze fosse al potere? Quali generi di lavori sarebbero considerati vitali, necessari e urgenti in queste circostanze inusuali? E per i lavori che soddisfacessero questo criteri, i lavoratori dovrebbero subire le strazianti scelte di vita o sussistenza imposte da luoghi di lavoro a rischio? I lavoratori chiederebbero a datori di lavoro incuranti mezzi protettivi necessari, appropriato distanziamento sociale, permessi familiari e per malattia remunerati’, assistenza sanitaria, indennità di rischio (per non citare un minimo salariale in circostanze “normali”) e indennità di disoccupazione?

Come sarebbero i pacchetti di salvataggio? Quanto “essenziali” sono gigantesche istituzioni finanziarie, centri di stoccaggio o le industrie delle crociere, quelle alberghiere, delle linee aeree e dei combustibili fossili e, per estensione, gli amministratori delegati che le gestiscono? Perché, per scegliere soltanto un esempio vergognoso, quando la fortuna personale di Jeff Bezos è aumentata di più di 24 miliardi di dollari dall’inizio della pandemia, i lavoratori dei suoi magazzini (Amazon) e dei suoi supermercati alimentari (Whole Foods) devono inscenare scioperi selvaggi solo per sopravvivere? Quanta parte dei salvataggi statunitensi sarebbe andata a questi non essenziali piuttosto che a quelli che sono (o potrebbero essere) realmente essenziali per una società operante umanamente?

Piuttosto che un ritorno a circostanze disfunzionali “normali”, questo è un momento in cui le categorie fondamentali del lavoro e dei lavoratori “essenziali” e “non essenziali” dovrebbero essere interamente ripensate e rielaborate. Quando le soluzioni esistenti hanno prodotto condizioni così fosche per così tanti, è decisamente ora che la maggioranza neghi sistematicamente e strategicamente il proprio lavoro, i propri consumi e il proprio consenso a questa macchina genocida. E’ urgente andare oltre questa barbarie a un insieme di soluzioni che diano priorità alla nostra umanità, al nostro pianeta e al nostro futuro.

Marv Waterstone è coautore del recente libro ‘Wageless Life: A Manifesto for a Future beyond Capitalism’, pubblicato dalla University of Minnesota Press nel 2019. Waterstone è professore emerito presso l’Università dell’Arizona ed è coautore con Noam Chomsky di ‘Consequences of Capitalism: Manufacturing Discontent and Resistance’ (Haymarket Books, di prossima uscita).

Ian Shaw è coautore del recente libro ‘Wageless Life: A Manifesto for a Future beyond Capitalism’, pubblicato dalla University of Minnesota Press nel 2019. Shaw è docente senior presso l’Università di Glasgow ed è anche l’autore di ‘Predator Empire: Drone Warfare and Full Spectrum Dominance’ (University of Minnesota Press, 2016).

da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/imagine-a-world-where-all-workers-are-essential-but-not-all-leaders-are/

Originale: Truthout

Traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2020 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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