di Franco Astengo
“C’è come l’urgenza di una riflessione da avviare e da proseguire, possibilmente senza paraocchi identitari, su ciò che resta dell’antifascismo nell’Europa di oggi, e segnatamente in Italia. Riguarda i modi, i tempi e i criteri con i quali esso si proietta, e si trasfonde, nelle generazioni più giovani. Siamo entrati da tempo in una nuova stagione politica, caratterizzata dall’erosione del sistema dei diritti per come sono stati pensati dal dopoguerra in poi. La vera sfida è che per le generazioni che stanno entrando sulla scena collettiva, al mutamento imposto dalle configurazioni di un’economia della trasformazione permanente si accompagni l’annichilimento stesso del diritto di sentirsi titolari di diritti. E’ questo in fondo, il vero punto critico da cui ripartire”.
Così un articolo di Claudio Vercelli presenta, sul Manifesto, l’ultimo lavoro di Carlo Greppi: “L’antifascismo non serve più a niente” (Laterza).
L’articolo conclude: “ Dentro a una tale cornice, è pressoché inevitabile che il rapporto tra antifascismo, Resistenza e Costituzione rimanga a tutt’oggi problematicamente irrisolto per una parte degli italiani.. L’antifascismo fu e rimane fenomeno minoritario proprio perché sradicava radicalmente quella coltre di conformismo e qualunquismo che invece costituisce uno dei fondamentali calchi di una parte del Paese, quella intenta a rivendicare la propria persistente irresponsabilità civile”.
Si tratta allora di partire da un dato: l’antifascismo non è riuscito a ribaltare l’autobiografia della Nazione così come l’aveva delineata Piero Gobetti.
In questi tempi così difficili e complicati non è esagerato affermare come il Paese sembra essere attraversato da un intreccio tra qualunquismo e corporativismo: fenomeni affrontati attraverso espressioni di “scambio politico” derivanti dal ritenere ,assistenzialismo, corporativismo, individualismo competitivo le sola frontiera possibili di un futuro contrassegnato dal crescere dello sfrangiamento sociale.
L’intero sistema appare così quanto mai fragile ed esposto a pericolose forme di inquinamento della democrazia.
Per queste ragioni è indispensabile che il filo dell’antifascismo sia sollevato fino al punto di ricostituire la memoria perduta dell’identità nazionale.
Una “memoria” che necessita di essere declinata sul piano politico attorno ad alcuni punti fondamentali:
1) Razzismo. E’ indubitabile che esista e che si è affermata una politica che non può che essere giudicata come razzista. Una politica che si esercita soprattutto nell’identificazione del “diverso” e nell’affermazione di un presunto primato per “alcuni”. Il razzismo porta con sé sopraffazione, disuguaglianza, violenza.
2)Politiche sociali. Sotto quest’aspetto si torna indietro anche rispetto al clientelismo DC, del quale pure si scorgono tracce evidenti. Siamo di fronte ad una generalizzazione dell’assistenzialismo, introdotto come filosofia di vita. Una strada aperta dal reddito di cittadinanza che può produrre consenso soltanto se valutato fattore di mera assistenza. Un quadro ampliato dall’emanazione di sussidi e bonus nell’emergenza che fanno pensare come sul piano culturale, si direbbe quasi antropologico ci si trovi in una situazione di grande difficoltà sociale;
3) Autoritarismo. Il tutto è condito da una crescita verticale nella presenza dell’autoritarismo nella vicenda politica italiana. La tendenza all’autoritarismo nasce, è bene ricordarlo, fin dagli anni’80 del XX secolo quando si cominciò a parlare, scrivere e praticare di “decisionismo”. La linea era già stata tracciata allora: la complessità della domanda sociale, frutto della crescita degli anni’70, andava tagliata riducendo lo spazio tra di essa e la politica. Per fare questo occorreva un di più di segno del comando da realizzarsi attraverso la personalizzazione. Più o meno la ricetta degli anni’20, mutatis mutandis. Oggi il tutto appare ulteriormente esasperato, dall’ esibizionismo dei singoli e dall’incapacità del sistema politico di leggere l’allargarsi e il trasformarsi delle contraddizioni sociali dentro la crisi.
Siamo chiamati ancora, a distanza di tanti anni, a considerare l’antifascismo come paradigma inglobatore del discorso politico, storiografico, memoriale dell’Italia democratica.
L’antifascismo deve essere considerato come la trama politica del tessuto vitale dell’Italia di oggi.