A dispetto della retorica, il governo ha deciso che dal 1 gennaio 2021 le pensioni saranno un po’ più basse.
I 30 anni progressivi del dopoguerra hanno prodotto risultati incredibili aumentando il potere di acquisto delle buste paga e delle pensioni, favorendo il potere contrattuale del sindacato che a sua volta ha portato ulteriori benefici in materia di qualità della vita e di riduzione dello sfruttamento.
Il compromesso keynesiano è stato superato dalla crisi petrolifera e sistemica dei primi anni settanta e già pochi anni dopo è iniziata la fase regressiva per il movimento operaio con la svolta dell’Eur, il compromesso storico e la fine della scala mobile. I processi di ristrutturazione capitalistici hanno visto l’arretramento delle conquiste anche in virtù del collaborazionismo del Pci e della Cgil con i Governi Dc, per i quali la difesa dell’economia ha avuto la meglio sulla tutela degli interessi di classe.
Senza ripercorrere la storia italiana degli ultimi lustri pensiamo dirimente riprendere dei ragionamenti in termini previdenziali perchè sono stati proprio i sindacati confederali a favorire le pensioni integrative attraverso contratti nazionali che favoriscono la trasformazione del salario in servizi offerti da sanità e previdenza integrativa, cogestita da datori di lavoro e sindacati.
Un autentico conflitto di interessi, chi dovrebbe difendere la sanità e la previdenza pubblica favorisce invece le soluzioni integrative che poi hanno alimentato a loro volta la contrattazione di secondo livello (con tutte le deroghe ai contratti nazionali).
È degna di nota allora una notiziola diffusa da qualche giornale sul crollo dei coefficienti di calcolo previdenziali che determinerà pensioni sempre più basse.
Il tema delle pensioni, insieme a quello del salario, è dirimente per la ripresa del conflitto di classe, quindi è incomprensibile che si siano sollevate ancora ben poche proteste nel paese davanti alla riduzione degli assegni previdenziali con l’aggiornamento dei coefficienti di trasformazione alla base del calcolo contributivo.
Fatto sta che a partire dal 1 Gennaio 2021 ci attendono pensioni più basse ma la perdita di potere di acquisto delle pensioni è iniziata da almeno un decennio e continuerà nei prossimi anni visto che il calcolo contributivo sull’intera vita lavorativa condanna i futuri pensionati ad assegni sempre più bassi. Quando scrivevamo che avevano abrogato il sistema retributivo per risparmiare sulla nostra pelle avevamo ragione, il contributivo fa perdere ai salariati potere di acquisto, le riforme previdenziali poi costringono a lavorare più a lungo fino a 70 anni di età. L’immagine degli over 70 ancora al lavoro, ad esempio negli Usa, dovrebbe indurre molti a riflettere sui reali interessi che si celano dietro a 30 anni di riforme previdenziali e del welfare.
Cosa sono i coefficienti di trasformazione? Parliamo dei valori utilizzati nel calcolo contributivo della pensione, ovvero per i contributi maturati dopo il 1° gennaio 1996 (o il 1° gennaio 2012 per coloro che prima del 31 dicembre 1995 avevano maturato 18 anni di contribuzione)
Il sistema contributivo ha avuto poi bisogno dell’innalzamento dell’età pensionabile e così la Legge Fornero ha premiato (si fa per dire) i lavoratori che vanno in pensione più tardi penalizzando quanti anticipano l’uscita dal lavoro con una rimessa anche consistente nell’assegno pensionistico. Prima hanno ridotto l’importo dell’assegno previdenziale imponendo un sistema di calcolo non più basato sulle retribuzioni (ma ancora prima avevano impedito ogni recupero automatico del potere di acquisto per salari e pensioni attraverso la distruzione della scala mobile), poi sono passati all’innalzamento dell’età pensionabile con la scusa dell’aumento dell’aspettativa di vita (che nel frattempo ha ripreso a scendere anche in virtù della privatizzazione della sanità a discapito della medicina di base e preventiva)
Nella Gazzetta 147/2020 si trova la quinta revisione dei coefficienti di trasformazione dal 2019 e sia ben chiaro che ogni modifica dei coefficienti ha avuto ripercussioni negative, altre perdite sono già previste i prossimi due anni.
E poi la riduzione del PIL, causa crisi da Covid-19, si rifletterà anche sulla rivalutazione in itinere del montante contributivo, così la crisi, con le attuali regole previdenziali, sarà pagata due volte dalla classe lavoratrice, prima con basse retribuzioni e esistenze precarie, poi con assegni previdenziali da fame
Nell’arco di un biennio le statistiche parlano di una riduzione del potere di acquisto di circa il 12 per cento. Il meccanismo è funzionale a costringere i lavoratori e le lavoratrici ad andare in pensione a 70 anni infatti il coefficiente di calcolo aumenta progressivamente dopo il 65 fino a 71 anni di età (evitiamo ogni ulteriore commento).
Calando la rivalutazione del montante dei contributi l’assegno previdenziale si alleggerisce, le pensioni di domani saranno sempre più basse senza poi contare su meccanismi di adeguamento al costo della vita.
Se vogliamo in futuro conservare una pensione dignitosa (ma dubitiamo possa accadere col contributivo) saremo costretti ad andare in pensione a 70 anni di età riponendo le residue speranze nell’ipotetico aumento dei coefficienti negli ultimi 5 anni di vita lavorativa.
Il tema previdenziale è quindi dirimente per la ripresa del conflitto di classe, iniziamo a discuterne partendo dalla necessità di distruggere non solo la Riforma Fornero ma anche il sistema contributivo se vogliamo recuperare potere di acquisto e un po’ di dignità alle nostre esistenze falcidiate da precarietà e salari da fame.
20/06/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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