Un’ondata di proteste ha attraversato l’Italia nel mese di maggio. Presidi, scioperi, blocchi e azioni comunicative hanno visto i riders mobilitarsi contro la minaccia di un’ulteriore precarizzazione del lavoro da parte di quelle stesse piattaforme che hanno tratto vantaggio dalla pandemia: «è giunto il momento di presentare il conto».

Due mesi di lockdown, la crisi economica ormai alle porte (con le pressioni del mondo industriale per una ulteriore deregolamentazione del lavoro) e il dibattito nazionale sull’uso delle (poche) risorse pubbliche a disposizione hanno già scavato un solco all’interno della società.

È in questo contesto che probabilmente va collocata questa nuova ondata di proteste dei riders: da Bologna a Milano, passando per Torino ed altre città italiane, da maggio è stato un susseguirsi di presidi, scioperi, blocchi, manifestazioni, azioni comunicative.
Se qualcuno, e le piattaforme in primis, pensava di fiaccare questo movimento con il peggioramento delle condizioni di lavoro e delle buone campagne pubblicitarie si è sbagliato di grosso.
Il lockdown ha trasformato questo segmento di precariato in una forza lavoro essenziale che adesso, con maggiore consapevolezza, pretende giustamente i suoi diritti.

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Durante gli scorsi mesi l’arroganza delle piattaforme si è palesata a tutti gli effetti. Dalla mancata fornitura di dispositivi di sicurezza alla riduzione delle tariffe orarie (proprio mentre dichiaravano un trend positivo nel volume di vendite), le aziende hanno esasperato il loro modello di sfruttamento del lavoro senza alcun tipo di compensazione verso i riders.
Se ci fosse qualche dubbio a riguardo, basta richiamare l’attenzione sul procedimento giudiziario in corso contro Uber Eats per caporalato. Minacce, insulti, pressioni, sfruttamento della condizione di bisogno di precari e migranti: sono queste le accuse rivolte dai giudici all’azienda californiana.
Ma non si tratta solo di Uber Eats. Perché anche le altre piattaforme, in maniera ed intensità diverse, mettono in campo atteggiamenti prevaricatori nei confronti dei riders, approfittando della immaterialità dell’azienda che si nasconde dietro chat e applicazioni.
Di più, lo scontro sembra acuirsi. Le scene della stazione di Milano, con centinaia di riders impossibilitati a prendere il treno con le loro bici per poter tornare a casa, ci parlano delle condizioni di vita che, oltre a quelle di lavoro, si celano dietro la sbandierata “economia dei lavoretti”.

A Bologna nelle ultime settimane il malcontento dei fattorini non ha fatto che crescere ma al contempo è cresciuta la capacità organizzativa e conflittuale. Sabato, dopo aver partecipato al corteo regionale indetto insieme a diverse sigle di base, abbiamo deciso di sanzionare e bloccare i McDonalds del centro, dando un segnale chiaro nonostante le pressioni dei manager e della polizia: siamo stanchi di tante parole, serve un cambiamento reale ora. Migranti e italiani, ragazze che con questo lavoro pagano l’affitto e padri che sostengono le proprie famiglie, tutt* insieme abbiamo vissuto una lunga giornata di sciopero condividendo cori, slogan e pratiche di lotta.

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Le prossime settimane vedranno un acuirsi degli effetti della crisi economica e i tentavi di precarizzare ulteriormente il lavoro non mancheranno. Da lavoratori precari sappiamo bene cosa voglia dire tutto ciò, non è di certo questa la soluzione e noi ci opporremo con tutte le forze. Le piattaforme di servizi logistici sono tra i soggetti che hanno tratto vantaggio dalla pandemia ed è giunto il momento di presentargli il conto.

Stiamo lavorando a livello regionale per costruire un tavolo di confronto tra le varie parti e con le piattaforme stesse, rispetto al quale ci auguriamo che avranno la decenza di non sottrarsi, almeno stavolta. Siamo anche vigili sull’autunno, quando si chiarirà il destino del percorso della legge nazionale che prevede, entro novembre, la definizione di un tavolo di trattativa per un contratto di settore o l’applicazione delle tutele della subordinazione a tutti.

Crediamo, infine, che sia il momento di muoversi verso la costruzione di una grande mobilitazione nazionale, provando a trovare una data autunnale di azioni dislocate in tutte le città.

La battaglia è ancora lunga, ma i riders stanno dimostrando che solo con la lotta si può ottenere un reale cambiamento.

Ancora una volta, non per noi ma per tutti

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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