Vincenzo Comito

Il debito pubblico per ora non sembra rappresentare un problema in Europa e negli Usa ma si sta gonfiando, per effetto della pandemia, a livelli mai visti prima. Due economisti, Grauwe e Griebine, lanciano l’idea di trasformare quello incamerato dalla Bce in una rendita perpetua a interesse zero.

La crisi e il debito

Negli ultimi giorni si tende a registrare, almeno in Europa, qualche segno di ripresa dell’economia, insieme ad un calo notevole dei casi di coronavirus, mentre l’ottimismo sembra contagiare, certi giorni, le Borse del nostro continente, oltre che quelle statunitensi.

Ma anche se l’economia migliorasse relativamente presto, soprattutto in alcuni settori, alcuni strascichi della pandemia peseranno probabilmente a lungo su molti paesi. I livelli di disoccupazione potrebbero scendere solo molto lentamente e comunque una ripresa piena dei mercati richiederà parecchio tempo.   

Per far fronte ai problemi suscitati dalla pandemia, gran parte degli Stati è dovuta ricorrere e sta ancora ricorrendo ad un forte aumento dell’indebitamento pubblico. Il suo livello sta assumendo proporzioni, soprattutto in casi come quello italiano, certamente preoccupanti, visto che già prima della pandemia non mancavano gli allarmi.

Le preoccupazioni stanno ora crescendo, non solo per la lievitazione dell’indebitamento pubblico, ma anche per quello delle imprese. 

Si susseguono così gli articoli preoccupati da parte delle stampa internazionale, e anche chi scrive ha già pubblicato un articolo in proposito su questo stesso sito diverse settimane fa.

Ora disponiamo di nuovi e più recenti dati, la situazione si va meglio precisando mentre affiorano e si perfezionano nuove proposte sulla questione. Vale la pena quindi ritornare sull’argomento.

Debiti pubblici e privati

A fine 2019 la somma dei debiti pubblici e privati era pari al 255% del Pil globale. Con l’esplosione dell’indebitamento di questi mesi si può supporre, sia pure con un certo grado di incertezza, che alla fine del 2020 il debito globale possa raggiungere un rapporto tra il 322% e 342% del Pil (Minenna, 2020). Si tratterebbe di un salto veramente impressionante.

Per quanto riguarda in particolare l’indebitamento pubblico, le informazioni ci dicono che il suo livello, rapportato al Pil, è salito a fine maggio 2020 sino quasi a raggiungere quello registrato alla fine della Seconda guerra mondiale (Armstrong, 2020). Siamo ormai vicini alla media del 123% per quanto riguarda i Paesi sviluppati, contro circa il 30% a metà degli anni Settanta e a oltre il 125% del 1945.

Secondo la stime dell’OCSE il debito dei Paesi membri passerà dal 109% del Pil nel 2019 al 137% nel 2020. Una stima di Moody’s valuta che la media, per i Paesi del G8, dovrebbe salire di 19 punti percentuali nel periodo dopo pandemia, circa il doppio rispetto al periodo dopo la crisi del 2008.

Per la fine del 2020 si prevede per l’Italia un rapporto intorno al 155% (qualcuno teme anche di più), per gli Stati Uniti sino al 130-140%, la stima è al 200% per la Grecia, al 130% per il Portogallo, mentre per la Francia e la Spagna ci si ferma intorno al 120%. 

Certamente non è più l’ora dell’ortodossia di bilancio, predicata dopo la crisi del 2008, ma del salvataggio e del rilancio della macchina economica (Tonnelier, 2020). 

In ogni caso i vari Paesi dovrebbero da una parte imparare, per quanto possibile, a convivere con un debito molto più elevato, dall’altra presenteranno comunque profili più vulnerabili rispetto a future crisi, mentre la situazione potrebbe portare plausibilmente con il tempo a progressivi tagli del rating. Non si può escludere che i titoli pubblici italiani possano arrivare a ricevere lo status di “spazzatura”.  Anche le imprese si troveranno probabilmente davanti ad un muro di debiti. Già prima della pandemia la situazione appariva abbastanza tesa; tra l’altro, dopo la crisi del 2008, le stesse imprese, approfittando dei tassi di interesse a buon mercato e del denaro abbondante messo a disposizione dalle banche centrali, erano corse ad indebitarsi. Così, in un Paese come la Francia, il rapporto debito/Pil nel mondo delle imprese era pari al 130,6% nel 2004, mentre già nel 2018 si era arrivati al 195,5%, mentre negli Stati Uniti si era passati nello stesso periodo dal 112,4% al 133,9% (Albert, Madeleine, 2020). 

Sempre in Francia, nel periodo marzo-aprile 2020, sono stati emessi 61 miliardi di euro di nuovi prestiti bancari, quattro volte quanto nello stesso periodo dell’anno precedente e complessivamente nella zona euro il rapporto si è moltiplicato per sette. 

La compagnia Boeing ha emesso obbligazioni per 25 miliardi di dollari in un colpo solo, mentre vengono degradati a livello speculativo i rating di imprese come Renault, British Airways, Rolls-Royce, Ford, Delta Air Lines. Si fanno avanti cupe previsioni sui fallimenti di imprese, in Europa come negli Stati Uniti, nei prossimi mesi. 

E se si cancellassero i crediti della BCE?

Le due vie principali per ridurre il rapporto debito/ Pil di un Paese sono costituite dalla crescita dell’economia e/o da adeguati livelli di inflazione. Una via meno ortodossa è poi quella estrema di tipo argentino, ovvero del default e della successiva ristrutturazione del debito.

Ci sembra che nessuna delle soluzioni descritte si possa però applicare al caso del nostro continente.

In un paese come l’Italia negli scorsi anni sono state avanzate diverse proposte “tecniche”, in certi casi anche molto fantasiose, volte a superare il problema dell’eccessivo indebitamento, ma il punto è che non esistono soluzioni “tecniche” alla questione; l’unica risposta non può che essere di natura politica. 

Resta così almeno un’altra via. 

La BCE e l’UE stanno facendo molto per tenere a galla l’economia dei Paesi deboli, da una parte con il piano di acquisti di titoli e il mantenimento di bassi tassi di interesse, dall’altra con il possibile varo del Recovery fund e altri fondi annessi. 

Ma per i Paesi maggiormente in difficoltà tali interventi, pur importantissimi, potrebbero non bastare a far decollare l’economia. Ecco allora che si suggeriscono ulteriori possibili interventi.   

Partiamo dal fatto che fino a fine maggio 2020 la BCE aveva acquistato, a partire dal 2015, circa 2.320 miliardi di euro di debiti pubblici dei Paesi europei. Entro la fine del 2020 l’Eurotower di Francoforte potrebbe aver acquisito 400-500 miliardi dei nostri titoli pubblici (ignoriamo la possibile cifra esatta), un importo davvero considerevole.

La proposta potrebbe dunque essere quella che l’istituto diretto da Christine Lagarde, succeduta a Mario Draghi, annulli completamente tale credito. In questo modo i Paesi debitori, in particolare quelli del Sud, potrebbero di nuovo indebitarsi, almeno entro certi limiti, tutti da fissare, per investire in nuove attività socialmente ed ecologicamente utili (Bridonneau, 2020). 

Bisogna considerare che se la banca centrale annullasse un suo credito, non danneggerebbe nessuno, perché il suo passivo non è rivendicabile da alcuna entità. Del resto, già nel 2013 la Banca dei regolamenti internazionali aveva pubblicato un rapporto nel quale sottolineava che la banca centrale può benissimo avere mezzi propri negativi (Coppey-Subeyran ed altri, 2020).  

Certo, una decisione di questo tipo sarebbe molto complicata da approvare, dal momento che lo statuto della BCE proibisce espressamente la mutualizzazione dei debiti. Quindi i soliti Paesi del Nord potrebbero trovare un facile pretesto per bloccarla. Ci potrebbe poi essere una reazione negativa da parte della Corte costituzionale tedesca. 

Ecco allora una proposta ulteriore, sostenuta da due economisti – Paul De Grauwe e Andrè Griebine -, che sembra rispondere alle obiezioni di tipo tecnico. Non si tratterebbe, secondo i due proponenti, di annullare formalmente i debiti, ma di trasformarli in una rendita perpetua che la BCE deterrebbe nei confronti degli Stati a tassi di interesse nulli. Si salverebbero così anche le apparenze (Duval, 2020).

Conclusioni

La proposta, che sta avendo una certa diffusione in Europa, in particolare in questo momento in Francia, sembra sostanzialmente ragionevole e potrebbe apparentemente suscitare obiezioni solo sul piano ideologico, non su quello tecnico. Ma immaginiamo che, come con il Recovery fund, ci si scontrerebbe con le obiezioni dei Paesi del Nord. Ciò nondimeno converrebbe tentare. Del resto il problema del debito pubblico di alcuni Paesi appare altrimenti sostanzialmente irrisolvibile. Per altro verso, se la proposta venisse accettata, rappresenterebbe una insperata boccata d’ossigeno per un Paese in affanno come il nostro.

Testi citati nell’articolo

-Albert E., Madeleine B., Les entreprises face à un mur de dettes historique, Le Monde, 12 giugno 2020

-Armstrong R., Covid relief drives debt close to second war levels, www.ft.com, 14 giugno 2020 

-Bridonneau B. ed altri, Pour une annulation des créances détenues par la Banque centrale européenne, Le Monde, 14-15 giugno 2020

-Coppey-Soubeyran J. ed altri, On commence par quoi ?, Par ici la sortie !, numero 1, giugno 2020

-Duval G., Annuler les dettes, in « 8 solutions au banc d’essai », Alternatives Economiques, n. 402, giugno 2020 

-Minenna M., Record assoluto del debito, Il Sole 24 Ore, 14 giugno 2020

-Tonnelier A., Comment vivre avec la dette, Le Monde, 24 giugno 2020

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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