Philipp Heimberger – Nikolaus Krowall

Perché i benestanti contribuenti del Nord Europa dovrebbero voler versare denaro in un’economia italiana che è un caso disperato? Solo che…non lo è.

Dietro la situazione di stallo verificatasi al Consiglio Europeo di giugno sul  recovery fund risiede il perdurante scetticismo degli stati membri settentrionali dell’area dell’euro in merito al diritto degli stati membri del sud a un sostanziale sostegno finanziario – particolarmente per quanto riguarda l’Italia. Questa inclinazione si basa tuttavia su rappresentazioni dell’economia italiana e delle politiche fiscali che sono in contrasto con i dati.

Ciò non è un caso: nel corso della [grande] crisi finanziaria e della crisi dell’eurozona, avvenute in tempi recenti, economisti, politici e media hanno trasmesso un’immagine distorta dell’Italia e della sua economia – dei cliché che i leader politici europei come i primi ministri olandese e austriaco usano ancora oggi. Non riescono a riconoscere che l’Italia è il secondo maggior produttore di beni industriali nell’UE, che negli ultimi anni ha registrato avanzi di esportazione e che ha spesso aderito più rigorosamente al regolamento fiscale dell’Unione europea rispetto a Germania, Austria o Paesi Bassi.

Ecco quindi sette dati che mettono i discussione i miti sull’economia italiana.

1. L’Italia vive al di sotto delle sue possibilità

“L’Italia vive al di sopra delle proprie possibilità!” Questa onnipresente affermazione è prontamente supportata indicando il debito pubblico italiano, che rappresenta il 135% della sua produzione economica. Tuttavia, ciò significa solo che il settore pubblico è fortemente indebitato – non dice nulla sull’economia italiana nel suo insieme.

Un paese vive al di sopra delle sue possibilità se importa molti più beni e servizi di quanti ne esporti nel lungo periodo. Un paese che esporta tanto quanto importa non vive tuttavia oltre i propri mezzi, poiché la produzione e il consumo sono in linea. In effetti, l’Italia registra surplus di esportazioni dal 2012. Le eccedenze delle esportazioni italiane non sono affatto dovute unicamente al turismo, dal momento che il paese esporta più beni industriali di quelli che importa. L’economia italiana quindi consuma meno di quanto produca – vive al di sotto delle sue possibilità.

Fonte: AMECO (primavera 2020) , calcoli degli autori

2. Il debito privato non è un problema in Italia

Se l’economia italiana nel suo insieme non ha vissuto oltre i propri mezzi, il problema del debito dovrebbe essere limitato al settore pubblico. Ed è effettivamente così: il debito del settore privato dell’Italia rispetto al suo prodotto interno lordo è relativamente basso per gli standard dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Ciò dimostra anche che elevati rapporti debito / PIL non rappresentano un problema per tutti i settori dell’economia italiana.

Fonte: OCSE

3. Il debito pubblico è elevato a causa di errori commessi 40 anni fa

Se l’economia non è eccessivamente indebitata, perché lo stato è così malato? Per quanto la performance dei politici nazionali italiani da Silvio Berlusconi a Matteo Salvini sia stata disastrosa, l’elevato debito pubblico è principalmente un lascito degli anni ’80. Inoltre, gli errori commessi 40 anni fa si sono verificati in un ambiente internazionale di tassi di interesse in aumento. Da allora, lo stato italiano ha portato un pesante zaino di tassi d’interesse. Se escludiamo l’onere dovuto a questi tassi, tuttavia, lo stato italiano ha continuato a gestire avanzi di bilancio dal 1992 (ad eccezione dell’anno di crisi del 2009) [il famoso avanzo primario, ndt].

Perfino Germania, Austria e Paesi Bassi hanno registrato un avanzo di bilancio “primario” positivo di misura comparabile meno frequentemente dell’Italia. Lo stato italiano non è stato così ‘sregolato’ come spesso si afferma: ha costantemente incassato più tasse di quanto non abbia speso. Ma l’onere degli interessi – elevato a causa del debito ereditato – ha spinto ripetutamente il bilancio complessivo dello stato italiano in territorio negativo. Per inciso, finora l’Italia è stata anche un contribuente netto al bilancio dell’UE.

Fonte: AMECO (primavera 2020) , calcoli degli autori

4. L’economia italiana ha sofferto da quando ha aderito all’euro

Il debito pubblico italiano è molto pronunciato anche perché la crescita economica del paese è stata molto debole negli ultimi 20 anni – essendo rappresentato come un rapporto con il PIL, se l’economia ristagna uno stato non può tornare a crescere partendo da un contesto di debito, che era già pari a 120 per cento del PIL nel 1995. In questo contesto, le carenze politiche, tra cui la corruzione vis-à-vis e la criminalità organizzata, non deve essere trascurato. Ma l’Italia non è mai stata un’oasi di stabilità politica – l’attuale governo è il 66 ° (!) dalla seconda guerra mondiale – e la mafia e la corruzione sono state a lungo incorporate [nel sistema economico]. Tuttavia, ciò non ha impedito all’economia italiana di svilupparsi in modo abbastanza dinamico a volte.

L’Italia ha superato il Regno Unito nel 1969 e la Francia nel 1979 per quanto riguarda il potere d’acquisto pro capite . Nel 2000, il tenore di vita medio italiano era praticamente uguale a quello della Germania (98,6 per cento del suo PIL pro capite), ma dopo l’introduzione dell’euro nel 1999, il paese è nuovamente tornato indietro rispetto al Regno Unito (nel 2002) e alla Francia (nel 2005). Nel 2019, il reddito pro capite italiano era inferiore di oltre il 20% a quello della Germania.

Nel caso dell’Italia, l’introduzione dell’euro e la stagnazione dell’attività economica vanno di pari passo. Una possibile spiegazione è che il valore dell’euro riflette la forza media di tutte le economie della zona euro. La valuta comune è troppo economica per la Germania (e ciò spinge le esportazioni tedesche) e troppo costosa per l’Italia.

Se l’Italia potrà mai riacquistare lo slancio economico all’interno della zona euro dipenderà in larga misura dalla volontà della Germania e dei paesi “frugali” come Austria e Paesi Bassi di riformare l’architettura dell’euro – specialmente per quanto riguarda le norme fiscali europee. In ogni caso, paesi come l’Austria, i Paesi Bassi o la Germania, che hanno beneficiato notevolmente della valuta comune “a buon mercato”, dovrebbero fare tutto il possibile per mantenere l’Italia nell’euro, nel loro stesso interesse: qualsiasi ritorno a una valuta “costosa”, come il D-Mark o lo Schilling, costituirebbe un grave onere per i settori industriali di questi paesi fortemente orientati all’esportazione.

Fonte: AMECO (primavera 2020) ; calcoli degli autori

5. L’Italia ha attuato numerose riforme liberali del mercato

Nel 2015 l’OCSE ha valutato gli “sforzi di riforma” dell’Italia  come significativamente più forti di quelli di Germania e Francia. L’economista olandese Servaas Storm si muove su di una linea simile. In uno studio approfondito, scopre che l’Italia ha aderito molto più strettamente al regolamento di policy dell’UE rispetto a quanto non abbiano fatto Germania e Francia. Abbiamo già mostrato come lo stato italiano abbia registrato maggiori sforzi di risanamento fiscale rispetto a tutti gli altri partner europei – ad un prezzo elevato. L’austerità fiscale ha messo sotto pressione la domanda interna e, di conseguenza, la crescita economica.

Di fronte all’austerità, il debito è rimasto elevato – quello che John Maynard Keynes definì come il ” paradosso della parsimonia “. Come hanno dimostrato l’economista tedesco Achim Truger e i suoi colleghi , la politica di austerità dell’Italia ha portato allo smantellamento del sistema sanitario, cosa che si è rivelata fatale durante la crisi di Covid-19. Inoltre, le drastiche riduzioni degli investimenti pubblici hanno innescato un rallentamento della crescita della produttività italiana.

Ma l’Italia non è stata desiderosa di rispettare i requisiti UE solo per quanto riguarda il settore delle finanze pubbliche. Nel 2014, il governo di Matteo Renzi ha ridotto la protezione dei lavoratori contro i licenziamenti, estendendo la deregolamentazione del mercato del lavoro iniziata negli anni ’90. Secondo Storm, rendere il mercato del lavoro più “flessibile” – anche in linea con i requisiti europei –  ha portato a un forte aumento dei contratti a tempo determinato, ha respinto i sindacati e ha contribuito a un calo dei salari reali, se comparati a quelli di Germania e Francia .

Le “riforme strutturali” mutuate dal manuale di gioco del mercato liberista non hanno solo ridotto l’inflazione negli anni ’90; potrebbero anche aver contribuito a ridurre la disoccupazione, poiché tale tasso in Italia era inferiore rispetto a quello di Germania e Francia quando la crisi finanziaria ha colpito nel 2008, ma la manodopera a basso costo ha anche diminuito gli incentivi per le aziende italiane a fare investimenti volti all’innovazione, fondamentali per quei miglioramenti della produttività che sono la base per la crescita a lungo termine e per l’aumento dei redditi. Sia l’austerità che le riforme liberali del mercato hanno inibito la crescita della produttività dell’Italia e, a conti fatti, potrebbero aver causato più danni macroeconomici che benefici.

6. L’Italia è il secondo paese industriale più importante dell’UE

Può sembrare sorprendente per le orecchie del Nord Europa ma, nonostante la debole crescita della produttività e i problemi con la competitività dei prezzi nella zona euro, l’Italia ha importanti punti di forza economica. È infatti ancora la seconda località più importante nell’UE, dietro la Germania, per quanto riguarda la produzione industriale, principalmente a causa delle strutture economiche presenti nelle regioni settentrionali, e si colloca al terzo posto nelle esportazioni di merci, appena dietro la Francia, posizionandosi come leader nell’ingegneria meccanica, nella costruzione di veicoli e nei prodotti farmaceutici. Quest’ordinamento è quasi identico alla struttura delle esportazioni tedesche e l’OCSE classifica le industrie interessate da “medio-alta tecnologia” a “alta tecnologia” .

La struttura industriale storicamente matura dell’Italia (settentrionale) è solo un esempio del grande potenziale economico del Paese. Se l’austerità e le riforme liberali del mercato non hanno migliorato le sue prospettive, una via più promettente è quella di provare una strategia d’investimento, come la Commissione europea propone, e di dare una spinta all’industria italiana lanciando una moderna strategia industriale europea.

Fonte: Eurostat

Fonte: AMECO (primavera 2020) , calcoli degli autori

7. Gli italiani non sono più ricchi di tedeschi o austriaci

Infine, si sente spesso l’argomentazione secondo cui gli italiani sono più ricchi di, per esempio, tedeschi o austriaci e dovrebbero quindi pagare da soli i propri investimenti. La famiglia italiana mediana, che si trova esattamente tra la metà superiore più ricca e la metà inferiore più povera della popolazione, è effettivamente più ricca della famiglia tedesca o austriaca corrispondente. Ma la famiglia italiana media – ottenuta dividendo la ricchezza netta totale per il numero totale delle famiglie – è chiaramente meno benestante che in Germania o in Austria.

Sebbene la ricchezza privata sia inferiore in Italia, la distribuzione della ricchezza è più equa; in Germania e Austria, la ricchezza è più fortemente concentrata nelle famiglie più agiate. Uno dei motivi principali di ciò è che la proprietà privata svolge un ruolo maggiore in Italia. Tutto questo ha molto a che fare con il relativo sottosviluppo della rete di welfare: gli alloggi sociali e cooperativi, che offrono a molte persone in Germania e soprattutto in Austria alloggi di dimensioni ragionevoli a prezzi accessibili, sono rari. Tuttavia le case popolari e le cooperative non contano come beni privati, anche se le persone vivono spesso in condizioni più confortevoli rispetto ai condomini italiani di basso livello. Ma rimane semplicemente sbagliato affermare che gli italiani sono più ricchi dei tedeschi o degli austriaci.

Fonte: BCE

Stravolgimenti accettati

Le immagini che abbiamo in mente quando pensiamo all’economia italiana spesso non sono accurate. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, e il suo allora ministro delle finanze, Wolfgang Schäuble, hanno dato libero sfogo a questi cliché dieci anni fa. All’epoca, anche il gruppo degli economisti tedeschi accettava in gran parte rappresentazioni distorte dell’Europa meridionale, così da evitare di prendere in considerazione una possibile deviazione dal mix di politiche economiche predominante nell’UE – un focus sul consolidamento fiscale e sulla deregolamentazione del mercato del lavoro.

Diversi anni dopo, quegli stessi economisti e quella stessa cancelliera possono vedere i risultati di queste politiche controproducenti. La situazione è diventata così acuta che la questione della ricostruzione dell’economia europea dopo Covid-19 ha il potenziale per fare a pezzi l’UE.

Ora la Germania, prendendo le distanze dai suoi “quattro frugali” vicini dell’Europa settentrionale, vuole spingere per maggiori investimenti nei paesi della zona euro meridionale attraverso il proposto recovery found, ma servirà molta energia alla Merkel e agli economisti tedeschi per convincere la popolazione dell’Europa (settentrionale) –  a causa di quelle false immagini dell’Italia e del sud, distribuite tatticamente nel corso di così tanti anni.


Articolo uscito in inglese su Social Europe : https://www.socialeurope.eu/seven-surprising-facts-about-the-italian-economy

Traduzione a cura di David Proietti

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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