Marco Consolo*

Lunedì scorso, la Procura de facto della Bolivia ha emesso un mandato di arresto  contro l’ex-Presidente Evo Morales, accusandolo di “terrorismo e sedizione” per il cosiddetto “caso audio”. L’accusa si baserebbe su di un audio manipolato per giustificare il mandato d’arresto.

Questa richiesta è l’ennesima prova dello “Stato di polizia” in cui è precipitata la Bolivia con il golpe made in Usa dello scorso novembre  contro il presidente Morales e l’autoproclamazione a presidente di Jeannine Áñez. Un golpe che ha avuto l’appoggio di Luis Almagro, screditato Segretario Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), burattino degli Stati Uniti e protagonista di uno dei capitoli più vergognosi nella storia dell’organizzazione.

Come si ricorderà, la vittoria di Evo Morales nel primo turno delle elezioni presidenziali dell’ottobre 2019 (vittoria riconosciuta da un gran numero di Paesi), è stata il detonante per il colpo di Stato. Già prima delle elezioni, gli Stati Uniti e i loro alleati regionali avevano deciso di non riconoscere la vittoria di Evo Morales. E dopo la vittoria del Movimento al Socialismo (MAS) al primo turno, insieme alla OEA lo avevano  accusato di frodi inesistenti,  per garantire ai golpisti ciò che non erano riusciti ad ottenere nelle urne.

Il golpe aveva provocato la presa di posizione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, con la denuncia di “almeno 35 morti e 800 feriti, la maggior parte dei quali avvenuti durante le operazioni dell’esercito e della polizia” e la preoccupazione per la” persecuzione” di ex-funzionari del governo e persone legate all’amministrazione di  Evo Morales.  Denunce di torture rompono il silenzio complice dei media. E dai giorni del golpe ad oggi, diversi dirigenti politici e sociali sono rifugiati nell’ambasciata del Messico a La Paz perchè il governo golpista si rifiuta di consegnargli un lasciapassare. Le minacce e la violenza golpista hanno fatto temere anche per la vita dello stesso Morales che ha dovuto lasciare il Paese ed oggi si trova a Buenos Aires.

L’obiettivo principale del golpe organizzato dagli Stati Uniti, oltre a sbarazzarsi dell’esempio di un governo “scomodo”,  è stato quello di appropriarsi delle vaste ricchezze naturali (litio, gas, bio-diversità, etc.) della Bolivia. Ricchezze nazionalizzate dal governo di Evo Morales per soddisfare le esigenze dei settori più svantaggiati, in particolare dei popoli originari, che rappresentano circa il 55% della popolazione.

A soli due mesi dalle prossime elezioni presidenziali, i golpisti cercano di distogliere l’attenzione dagli scandali di corruzione che hanno colpito il governo (YPFB, Entel, Min. Salute, etc.) e dalle proteste contro la gestione catastrofica della grave crisi economica e sanitaria che soffre il Paese. Crisi, la cui responsabilità è interamente dei promotori del golpe di novembre (l’ambasciata statunitense, Tuto Quiroga, Carlos Mesa e Luis F. Camacho) e del governo de facto di Jeanine Añez. Quest’ultima non ha risolto i drammatici problemi sociali, galleggiando per mantenersi al governo, sfruttando gli effetti del Covid 19 e il sostegno di Washington, reprimendo  anche con l’esercito le ampie proteste sociali. Un esercito ampiamente beneficiato dal governo di Añez, al fine di contare sul suo sostegno: aumenti salariali, benefici sociali, incluso un decreto di amnistia che esonera gli ufficiali militari e di polizia dalla responsabilità degli omicidi commessi durante le proteste.

Grazie al golpe, in questi mesi siamo stati testimoni del ritorno delle politiche neo-liberiste (svendita patrimonio naturale, privatizzazione delle imprese pubbliche, della salute e dell’educazione, dei servizi di base, abolizione della Renta Dignidad, del Bono Juancito Pinto e del Bono Juana Azurduy, repressione contro il popolo e le sue organizzazioni politiche e sociali).  Abbiamo visto l’ingerenza delle agenzie statunitensi, le interferenze finanziarie e politiche, il clientelismo e l’acquisto dei voti, il “razzismo” interno, le campagne di diffamazione contro il MAS, il tentativo di rimandare le elezioni sine die e di proscrivere il MAS e i suoi candidati. Pochi giorni fa i golpisti corrotti hanno accusato di corruzione il candidato alla Presidenza per il MAS, Luís Arce Catacora, per impedirgli di presentarsi, dato che è in testa nei sondaggi.  Con Evo Morales,  tra il 2006 ed il 2017 e per qualche mese nel 2019, Arce è stato ministro dell’economia. Anche grazie alla sua gestione, la situazione economica era migliorata sensibilmente e le riserve di oro e valuta erano aumentate. Un fattore che genera fiducia nel binomio presidenziale del MAS, Luis Arce e David Choquehuanca (ex Ministro degli Esteri), che ha un compito difficile, ma non impossibile. E a giudicare dalle reazioni golpiste, questo non è gradito a “lor signori”.

La decisione del Tribunale Supremo Elettorale di fissare la data delle elezioni (6 settembre) è stata salutata anche dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres che ha invitato “i partiti politici e le autorità a cooperare pienamente alla celebrazione di elezioni pacifiche, trasparenti e inclusive”.

Ma è chiaro che il governo de facto cerca di boicottare o manipolare le elezioni per paura del risultato, visto che i sondaggi sono ampiamente favorevoli ai candidati del MAS che vincerebbero al primo turno, ma con meno del 50%, con l’incognita sul margine di differenza che potrebbe lasciare aperta la porta ad un secondo turno.

In questo quadro, il Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

– esige l’immediata cancellazione del mandato di arresto contro l’ex presidente Evo Morales, la fine della persecuzione giudiziaria contro Luis Arce e i dirigenti rifugiati nell’ambasciata del Messico a La Paz.

– chiede che la comunità internazionale si pronunci chiaramente e con fatti concreti, isolando il governo golpista boliviano

– esige che le prossime elezioni presidenziali del 6 settembre si svolgano liberamente e con tutte le garanzie democratiche.

*Responsabile Area Esteri e Pace PRC-SE

http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=43315

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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