Che un ministro della Repubblica offenda i cittadini che contribuiscono a pagargli lo stipendio e a garantirgli una congrua pensione, ancorché contributiva, è fatto di per se singolare. Se poi questo ministro è pure uno che da anni predica democrazia partecipata e primato dei cittadini, è anche tragicomico. Il ministro in questione è Luigi Di Maio che, tra un tuffo “de panza” in Costa Smeralda, e un’intervista a qualche quotidiano di area, riesce a trovare persino il tempo, da giorni, per spiegare su Facebook, ad una platea sempre più perplessa, quando non critica o addirittura incazzata, le ragioni per cui la sua riforma, la riforma Di Maio, che consiste in un taglio lineare di “poltrone” (degli altri), sia un grande affare per gli italiani e che, pertanto, al referendum del 20-21 settembre, occorre inderogabilmente votare sì. E fin qui nulla di male, se non che sarebbe forse più opportuno che un ministro, più che di campagne elettorali, si occupi dei problemi (veri e tanti) del Paese, ragion per cui è retribuito dai cittadini di cui sopra. Ma Di Maio alla sua riforma ci tiene, dovesse malauguratamente per lui prevalere il No, la prima “poltrona” che verrebbe meno, con ogni probabilità, sarebbe proprio la sua, a cui pare essersi affezionato a tal punto da sembrare “incollato” col Bostik. Ci tiene tanto, Di Maio, alla sua poltrona, che si perpetuerà certamente tra le seicento della prossima legislatura, che da giorni non fa altro che pubblicare su Facebook lunghi – e contestatissimi – appelli a votare sì. Che però si scontrano con migliaia di commenti che farebbero tremare le gambe anche a Chuck Norris.

L’ultimo invito a votare sì (il sesto in cinque giorni), lo ha fatto appena ieri, con una diretta video, in cui ha definito i sostenitori del No, cioè i cittadini di cui sopra che gli pagano lo stipendio, “interni alla politica (sic!), establishment, voce dei palazzi”. Lui, Di Maio, cioè il ministro, cioè l’establishment, che nel palazzo ci è entrato quando era ancora ragazzo, senza esserne più uscito, ricoprendo ogni carica ricopribile (deputato, vicepresidente della Camera, più volte ministro, vicepremier, vicegrillo, vicecasaleggio, vicetutto), accusa gli elettori che voteranno No di essere “establishment”, spinti a sostenere il No da chissà quali oscuri interessi di Casta. Poteri forti, insomma, fortissimi. Come l’associazione nazionale partigiani d’Italia.

Di Maio sembra essere sull’orlo di una “crisi di nervi”, dice qualcuno, forse a causa dell’andazzo che vede il No in fortissima crescita: “Si è formato questo fronte del No”, dice con tono “complottistico” nella diretta video, che neanche stesse parlando della Loggia massonica P2 di Licio Gelli. Non da meno, un’altra esponente 5 Stelle, Angela Raffa, che arriva a definire l’arco di forze della società civile che sostengono il No, associazioni come Arci o Anpi, o movimenti come le Sardine, insomma il cosiddetto “Fronte del No”, animato da “organizzazioni parallele e contigue (dei poteri forti, ndr), che hanno creato negli anni, sempre mantenute e foraggiate con soldi pubblici”. Dura la reazione di Gregorio De Falco: “Il fronte del No – ha scritto su Facebook – sono i cittadini informati, sono i ragazzi delle università che si aggregano per difendere la loro Costituzione, sono le persone che credono che la politica sia una cosa seria. Il vero atto rivoluzionario, oggi, è dire NO. Perché la Costituzione della Repubblica non è un giocattolo. L’establishment siete voi”.

Eppure, c’ è sempre stato un fronte del No, anche nei referendum precedenti. E’ normale in democrazia. Nell’ultimo fronte del No, contro la riforma Renzi, nel 2016, che prevedeva anch’essa un taglio dei parlamentari, c’erano anche Di Maio, Toninelli, Crimi, Morra. E comunque, fanno notare in tanti, insultare gli elettori non è mai una buona idea, come insegnano i precedenti (vedi “l’accozzaglia” di Renzi). Questa campagna referendaria comincia a sembrare un film già visto.

Fortebraccio News