Quest’oggi, lunedì 14 settembre, il presidente del Consiglio Europeo, l’ex primo ministro belga Charles Michel, e il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, terranno un vertice in videoconferenza per esaminare lo stato delle relazioni economiche tra le due parti e la lotta contro la pandemia di coronavirus. Al meeting virtuale prenderanno parte anche Angela Merkel in qualità di padrona di casa, visto che l’incontro era originariamente programmato nella città tedesca di Lipsia, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
“I leader discuteranno dei legami tra l’Unione europea e il gigante asiatico, anche i cambiamenti climatici e le questioni economiche e commerciali“, si legge nel comunicato ufficiale diffuso dal Consiglio Europeo, nel quale si specifica anche che Michel e Xi “discuteranno anche di questioni internazionali e di altro interesse e si scambieranno opinioni sulle risposte alla pandemia di Covid-19“.
Il fatto che l’Unione Europea dimostri la propria volontà di proseguire sulla strada della cooperazione con la Cina non può che essere accolto positivamente. Tuttavia, il nostro continente resta oggi piovrizzato dai tentacoli atlantisti degli Stati Uniti, che ne riducono la capacità di movimento e di autonomia nello sviluppo delle relazioni internazionali con la Russia e con la stessa Cina. Per queste ragioni, crediamo che presto i Paesi europei saranno obbligati ad operare una scelta di campo, abbandonando l’anacronistica NATO per scegliersi nuovi partner economici e commerciali.
Tale necessità si pone nel contesto della nuova guerra fredda, che non accenna a placarsi. Se l’Europa non accetterà la necessità di rompere con Washington, gli Stati Uniti continueranno a trattare i Paesi del “vecchio continente” come una colonia, impedendo ai governi degli stessi di sviluppare relazioni amichevoli e di mutuo vantaggio con Mosca e Pechino. La Germania, in particolare, ha già avuto non pochi scontri con Washington, visto che Berlino ha grande interesse a sviluppare ottimi rapporti con la Russia, mentre l’Italia – è bene dirlo – ha avuto il merito di aprire la strada della Belt and Road Initiative cinese (la cosiddetta “nuova via della seta”) in occidente.
Gli Stati Uniti, al contrario, continuano a dimostrare la propria ostilità nei confronti della Cina, vedendosi oramai con le spalle al muro e prossimi alla cessione dello scettro di prima potenza mondiale. Di recente, gli USA hanno pubblicato un rapporto intitolato “Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China 2020” (ovvero “Sviluppi militari e di sicurezza che coinvolgono la Repubblica Popolare Cinese 2020“). Tale documento è stato condannato dalla parte interessata per bocca di Wu Qian, portavoce del Ministero della Difesa di Pechino, come una nuova prova dell’intento di Washington di diffamare la Cina e le sue forze militari.
Secondo Wu, il rapporto ha deliberatamente distorto le relazioni tra il Partito Comunista Cinese e l’esercito cinese, ha interpretato male la politica di difesa nazionale e le strategie militari cinesi e ha messo in risalto una fantomatica “minaccia militare cinese“. Al contrario, secondo Wu la Cina segue la via dello sviluppo pacifico e aderisce a una politica di difesa nazionale di natura difensiva, mentre lo sviluppo militare cinese mira a salvaguardare la sovranità, la sicurezza e gli interessi di sviluppo del Paese.
La Cina, dunque, non fa dello sviluppo del settore militare un mezzo per raggiungere un’egemonia planetaria, come invece hanno tentato di fare gli Stati Uniti dagli anni ‘90 in poi. Citando le innumerevoli guerre statunitensi e le azioni militari ingiustificate contro Paesi come Iraq, Siria e Libia, per citare solamente alcuni dei casi più noti e recenti, Wu ha affermato che gli Stati Uniti hanno dimostrato di essere quelli che hanno istigato il caos regionale, violato l’ordine internazionale e distrutto la pace mondiale. “L’esercito cinese è impegnato a salvaguardare la pace nel mondo, a contribuire allo sviluppo globale e a sostenere l’ordine internazionale“, ha detto il rappresentante del governo pechinese.
Gli Stati Uniti, è bene ricordarlo, hanno causato un ulteriore aumento delle tensioni con la Cina attraverso la decisione di chiudere la rappresentanza diplomatica di quel Paese a Houston, in Texas. Ciò ha portato alla conseguente risposta cinese e ad un progressivo crescere delle azioni diplomatiche reciprocamente ostili, tanto che di recente Il Ministero degli Esteri cinese ha emesso una nota diplomatica in cui ha annunciato delle restrizioni alle attività dell’ambasciata e dei consolati statunitensi in Cina, compreso il consolato generale degli Stati Uniti a Hong Kong. La decisione, resa nota venerdì 11 settembre, applica “misure pertinenti” ai diplomatici senior ea tutto il personale di ambasciate e consolati, con l’obiettivo di sollecitare gli Stati Uniti a revocare al più presto decisioni simili precedenti. Secondo Pechino, infatti, queste misure sono la risposta legittima e necessaria della Cina alle azioni degli Stati Uniti: “Chiediamo ancora una volta agli Stati Uniti di correggere immediatamente i propri errori e di revocare le restrizioni irragionevoli imposte all’ambasciata e ai consolati cinesi e al loro personale. La Cina risponderà reciprocamente alle azioni degli Stati Uniti“, ha affermato il portavoce del Ministero degli Esteri.
Nel confronto tra il modello statunitense, impostato sulla competizione, sull’imperialismo e sulla legge del (militarmente) più forte, e quello cinese, portatore invece di cooperazione, relazioni amichevoli e pace, l’Europa non può che scegliere di parteggiare per il secondo. In caso contrario, quando verrà il tempo del crollo dell’impero a stelle e strisce, il nostro continente rischierà di essere risucchiato nel gorgo di un sistema portatore di distruzione e destinato ad essere scaraventato nell’immondezzaio della storia.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog