di Marco Sferini

Per un attimo, anche quelli di noi che sono stati più critici nei confronti del governo, hanno ritenuto che davvero nella prima ondata della pandemia l’esecutivo avesse agito con grande fermezza e rigore seguendo testualmente le raccomandazioni degli epidemiologi.

Scienza e politica parevano aver trovato un punto di equilbrio, tradotto il 9 marzo nella decretazione della chiusura totale del Paese: di sicuro rimane la misura più lungimirante che sia stata adottata in questo anno, se ci si riferisce esclusivamente al contesto generato dall’impatto che il Covid-19 ha avuto in una Italia che pareva essere divenuta l’untrice d’Europa.

Poi, a metà maggio, tutte le represse rivendicazioni economiche delle categorie imprenditoriali, della classe padronale anzitutto, sono emerse, supportate dalla diminuzione dei contagi, dall’arrivo liberatorio dell’estate. Si sono amplificate grazie alla voce tonante di Bonomi e hanno riportato il governo a fare i conti con chi davvero dirige il vapore. Le acque perigliose parevano calmarsi e quindi il primato dell’economia ha finito per prevalere su quello della scienza medica: le raccomandazioni a non abbassare la soglia dell’attenzione, a prepararsi alla seconda ondata autunnale e invernale sono passate in cavalleria e tutto è stato gestito sul dettame della neesssità di riaprire tutto.

Le grandi industrie si rimettevano all’opera, i profitti delle enormi multinazionali di vendite online e di distribuzione di cibi a domiciglio mediante schiavismo ciclistico crescevano a dismisura, oltre il 30% rispetto ai mesi precedenti la diffusione del Covid.

Spiagge aperte, discoteche aperte, agitatori degli animi verso una vita spericolata, fatta di minimalismo, riduzionismo e qualche teoria complottista sparsa qua e là: non guasta mai, fa buon peso nei crani vuoti di tanti depensanti e serve a rassicurare quel tanto da permettere all’economia di dominare sulla prudenza suggerita dalla stragrande maggioranza dei virologi divenuti, loro malgrado, uomini televisivi. Alcuni anche di spettacolo.

La curva esponenziale dei contagi, dice oggi il ministro Speranza, «è spaventosa». Testuali parole. A vederla sembra più che spaventosa: disegnata di settimana in settimana e composta sugli assi cartesiani, è inquietante: la verticalità non flette di un nanomillimetro. I morti sono ormai 300 al giorno e le purtroppo tanto celebri terapie intensive sono al limite, quasi al collasso.

Ma il governo discute di accomodamenti al DPCM di pochi giorni fa: chiusure provinciali, trattative con le Regioni per gli spostamenti, revisione del numero di studenti in presenza nelle classi e in didattica a distanza. Un balletto di cifre e di supposte nuove rimodulazioni delle norme che è confusione che si aggiunge ad altra confusione che, a sua volta, non fa che aumentare la pericolosa sedimentazione della paura, della disperazione che somma problemi sociali a problemi sanitari. Conte è seduto su una polveriera ed è bene che se ne renda conto, che ne abbia dovuta contezza.

Le manifestazioni di questi giorni, da nord a sud, pur distinguendone provenienza e colore anche politico, escludendo i provocatori fascisti che inneggiano pateticamente alla “libertà” che loro non darebbero mai a nessuno che non la pensi esattamente come loro, sono sacrosante ma sono anche pericolosi veicoli di diffusione del virus. La libertà di espressione del dissenso va garantita, salvaguardata, protetta e difesa senza se e senza ma; eppure rischia di essere messa in forse dalla scelta sulla difesa primaria della salute pubblica.

Il governo non doveva portarci a questo punto: doveva scegliere per primo, agire nel periodo estivo e preparare l’Italia a reggere l’urto della seconda ondata di Covid19. Invece ha assecondato gli interessi di Confindustria e delle tante corporazioni che hanno pensato ad un interesse particolare piuttosto che a quello nazionale.

Una economia che non è in grado di reggere la chiusura per tre, quattro mesi, che razza di grande sistema strutturale è? Davvero il capitalismo e il liberismo sono così radicati, capaci di reggere colpi bassi fin sotto la cintola? Fanno i gradassi con i lavoratori e i sindacati, ma davanti al nemico invisibile, al patogeno imprendibile diventano minuscole vittime, piagnucolanti coccodrilli, mesti avvoltoia appollaiati su rami traballanti ma al sicuro da qualunque rovina.

Chi avrà sempre maggiore difficoltà a vivere e sopravvivere saranno i salariati, i lavoratori, stabili, precari, di ogni categoria: coloro che non hanno conti bancari su cui fare affidamento, ma solo pochi spiccioli, tralasciando il pagamento delle tasse per poter mangiare ogni giorno almeno due volte. Non sono scenari fantasmagorici, questi. Sono la vita reale di milioni di italiani che si trovano in una condizione di assoluta marginalità. Se riusciranno a sopravvivere loro, ce la faranno certamente anche i ricchi industriali che si contridono in geremiadi davvero inopportune.

Il governo deve fare due cose. Due cose soltanto, per ricominciare: imporre una tassa patrimoniale per finanziare l’emergenza sociale (ed anche sanitaria) e chiudere tutte le attività del Paese per un mese per salvare l’economia pubblica dallo strozzinaggio di quella privata, pronta a tornare alla carica appena terminata la fase straordinaria in cui siamo immersi.

Senza patrimoniale sui grandissimi redditi e senza una chiusura totale dell’Italia, le altre misure previste e prevedibili saranno soltanto pannicelli caldi: gli ennesimi surrogati di cure che invece potrebbero essere efficaci solo se disposte in maniera eguale in tutta la nazione.

Non sappiamo molto del virus, ma sappiamo che la chiusura di marzo e aprile ha funzionato. Per acquisire nuove conoscenze, per avere tempo nel trovare una cura, dobbiamo intanto impedire che il virus avanzi e mieta vittime. Ogni ora che passa, ogni giorno che passa senza adottare queste due semplici misure, aumenta il disagio sociale, la disperazione, la furia rabbiosa di chi deve convivere con la paura, con la malattia e con la povertà.

Se diminuiranno un poco i profitti e i conti bancari dei padroni, pazienza. Purché si salvi chi davvero lavora per vivere e per far vivere l’intero popolo italiano.

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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