Molti di coloro che si lamentano per le restrizioni previste dal governo contro il dilagare della pandemia, sono proprio coloro che detengono grandi imperi finanziari, catene commerciali e, per ultimi, pure gli impianti sciistici al centro della polemica del giorno.

Teniamo per ultimi costoro nella classifica dei contribuenti italiani facoltosi: ad onor del vero, se è più che giusto affermare e pretendere che la crisi economica generata dall’emergenza sanitaria la paghino i super ricchi con una “tassa Covid” ad acta, è altrettanto veritiero il fatto che i grandi paperoni sono altrove rispetto alle aziende, consorzi e associazioni che si occupano di seggiovie, sparaneve artificiali e piste sulle montagne.

La senatrice americana Elisabeth Warren ha proposto negli USA un prelievo fiscale del 2% per chi possiede più di 50 milioni di dollari in quanto a ricchezza, a patrimonio personale; mentre un altro prelievo fiscale del 3% sarebbe previsto per chi ha un monte capitale che oltrepassi il miliardo di dollari. Lo scalino tra un’aliquota e l’altra è ben poco alto se si paragona la base di partenza: 50 milioni da un lato, 1 miliardo dall’altro… Ma gli effetti sarebbero strabilianti, tanto per gli Stati Uniti d’America quanto per l’Italia.

Questa specie di patrimoniale a stelle e strisce, secondo la simulazione messa in essere da “Il Fatto Quotidiano“, se  fosse applicata alla nostra Italia, basterebbe il contributo di 3.000 milionari di euro per ottenere ben 10 miliardi da destinare all’emergenza, magari proprio economica, causata dagli effetti del virus.

Del resto, se si scorrono le pagine delle analisi strutturali dell’economia del Paese fatte da Confindustria (fonte quindi attendibile in quanto a determinazione della ricchezza) e li si paragonano agli studi della controparte sindacale dei lavoratori, se ne evince che soltanto il 47% dei redditi proviene dal lavoro salariato mentre il 53% è frutto dei profitti acquisiti mediante lo sfruttamento dei dipendenti, dei salariati.

Questo, anche solo facendo riferimento ad un semplicistico rigore di logica, pretenderebbe che il prelievo maggiore per sostenere le difficoltà del sistema-Paese davanti alla pandemia dovrebbe provenire da chi possiede i mezzi di produzione, da chi ha incamerato ingenti capitali nel corso degli anni, da chi li ha trasferiti in paradisi fiscali mediante tante scatole cinesi di società cosiddette “offshore“.

Considerando inoltre che la differenza tra i redditi è, seppure molto ampia, sempre minore – almeno nel raffronto in percentuale – rispetto all’accumulazione delle ricchezze, ne viene fuori un quadro ancora più delineato circa le tante diseguaglianze che intervengono nella gestione improvvisata della pandemia e nel ricorso a legislazioni di emergenza che, invece di redistribuire il costo sociale in proporzione ai patrimoni dei cittadini, lo spalmano indirettamente su tutti con una uguaglianza fiscale ingenerosa e profondamente ingiusta.

L’inversione di proporzionalità si verifica di conseguenza: chi ha di meno, per quanto possa pagare, non potrà mai versare quanto realmente potrebbero invece fare i grandi ricchi italiani. La sperequazione è la presenza costante nella fiscalità italiana, priva di un regime di progressività peraltro costituzionalmente previsto e che non esclude, semmai incentiva, il ricorso ad una patrimoniale che non sia una “una tantum“, ma una costante della tassazione nella gestione politico-sociale ed economica del Paese.

Invece, nella Carta del 1948 è stato inserito il pareggio di bilancio, come vincolo europeo, piuttosto di una puntualizzazione non interpretabile che circostanzi meglio il ruolo del cittadino-contribuente dentro al contesto più ampio dei diritti e dei doveri previsti in tutti gli altri momenti della vita quotidiana.

La crisi che il liberismo sta affrontando da alcuni lustri, del resto, non viene sfruttata a dovere da una classe lavoratrice che sta sulla difensiva, che non si fa motrice di una nuova coscienza sociale, di un recupero della piena consapevolezza di appartenenza ad uno stesso fronte di sofferenze e di ingiustizie. La neo-concertazione sindacale, l’accondiscendenza verso le politiche governative e l’adeguamento di tanti altri corpi intermedi alle “esigenze contingenti” (quindi alle compatibilità di mercato) impediscono alle lavoratrici e ai lavoratori di federarsi e di affrontare la pandemia con uno spirito veramente classista.

Le lotte contro la chiusura di grandi siti di produzione, minacciati dalla delocalizzazione, sono più che altro moti spontanei di un operaismo frammentato che non possiede una chiara visione di insieme della fase pandemica e dell’acuirsi delle diseguaglianze, rischiando di attribuirne la causa a fenomeni completamente estranei all’ampliarsi della forbice tra ricchezza sociale e povertà individuale. I sovranisti sanno pescare molto bene in questo mare della confusione e dell’individualismo, mentre una pesudo-sinistra, pienamente intrisa di liberalismo e di liberismo, si atteggia a parte progressista all’interno del governo.

Così facendo il virus diviene un grimaldello per aprire porte di odio tra i poveri, tra i più indigenti, per schermaglie antisociali che rafforzano quell’opera di evitamento di politiche ristrutturatrici che dovrebbero garantire tanto dal punto di vista sanitario quanto da quello prettamente sociale una sopravvivenza che riporti alla vita pseudo-normale del pre-pandemia.

Per l’ennesima volta è la natura a mostrarci il carattere classista di ogni rivoluzione che abbracci interamente il globo, che coinvolga direttamente le masse senza distinzione diretta alcuna: lasciando però le conseguenze secondarie alla regolamentazione coerentemente ineguale, perché sistemica, del mercato capitalistico.

La pandemia ha la colpa d’essere virale. Ma non ha proprio tutte le colpe. A cominciare dal liberismo in cui si inserisce e che sovverte. Sono campanelli d’allarme, avvertimenti al genere umano. Domani ne continueremo a parlare…

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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