John Molyneux, in questa analisi pubblicata in lingua originale sul sito Rebel, mette in prospettiva il senso politico e organizzativo della sospensione da parte della direzione del Partito laburtista di Jeremy Corbyn avvenuta il 29 ottobre 2020. 

Il Partito laburista britannico è, ed è sempre stato fin dalla sua creazione nel 1900, un partito riformista. La sua aspirazione, nella migliore delle ipotesi, è stata di formare un governo – anche se la direzione del partito ha la tendenza a parlare di “presa del potere”- ottenendo una maggioranza parlamentare; utilizzare poi questa posizione per adottare delle politiche e delle leggi che migliorino le sorti della “maggioranza”, principalmente la classe lavoratrice.

Dato che la coscienza dominante della classe lavoratrice britannica durante lo stesso periodo è pure sempre stata riformista e che essa ha maggioritariamente votato per il Partito laburista, è sembrato ovvio a molta gente, compresi numerosi membri del Partito laburista, dare per scontato che quest’ultimo rifletta e rappresenti la classe lavoratrice britannica.

Nei casi in cui il partito abbia avuto delle debolezze, per esempio non riuscendo a promuovere un cambiamento socialista, o sia scivolato verso posizioni razziste, sessiste o di sostegno a guerre reazionarie, tutto questo è stato considerato come un semplice riflesso di quello che volevano i suoi membri della classe lavoratrice. In effetti, secondo questo punto di vista, se il Partito laburista si spostasse troppo a sinistra o si dichiarasse troppo socialista, o troppo antirazzista, si alienerebbe la sua base operaia e non vincerebbe le elezioni.

Nei fatti, questa “corrispondenza” tra le azioni del Partito laburista e la coscienza della massa dei lavoratori è più un’apparenza che una realtà. Esiste una profonda differenza tra il riformismo della massa dei lavoratori e il riformismo delle persone che dirigono e dominano il Partito laburista, vale a dire i deputati e i ministri.

I dirigenti del Partito laburista

La maggior parte degli appartenenti alla classe lavoratrice hanno quella che Gramsci chiama una “coscienza contraddittoria”. Rigettano alcuni aspetti del capitalismo, in particolare quelli che li colpiscono, ma ne accettano altre caratteristiche. In particolare, “accettano” il capitalismo perché non hanno fiducia nella propria capacità di contestarlo o di rovesciarlo; così si rivolgono verso i “dirigenti” – in Gran Bretagna, principalmente i dirigenti del Partito laburista- con la speranza di migliorare la propria situazione.

Malgrado ciò, i dirigenti del Partito laburista, in quanto gruppo collettivo, sostengono e abbracciano positivamente il capitalismo; e in numerosi casi, vi sviluppano degli importanti interessi materiali lavorando per imprese capitaliste, sedendo nei consigli di amministrazione di queste società, etc.

Su questo vi è sicuramente una differenza tra la destra e la sinistra del Partito laburista, benché questa differenza resti molto fluida. La destra, che comprende personaggi come Tony Blair (primo ministro da maggio 1997 a giugno 2007), Peter Mandelson (commissario europeo al Commercio dal 2004 al 2008, poi primo segretario di Stato da giugno 2009 a maggio 2010) e Gordon Brown (primo ministro da giugno 2007 a maggio 2010) e risale a James Callaghan (primo ministro da aprile 1976 a maggio 1979), Denis Healy (ministro delle finanze dal 1974 al 1979 e membro della Camera dei Lords da giugno 1992 a ottobre 2015), Harold Wilson (primo ministro da ottobre 1964 a giugno 1979 e da marzo 1974 ad aprile 1976, dirigente del partito da febbraio 1963 ad aprile 1976), Hugh Gaitskell (dirigente del partito da dicembre 1955 a gennaio 1963), Ernest Bevin (dirigente sindacale dal 1922 al 1949, ministro degli Affari esteri dal 1945 al 1951) e anche Ramsay MacDonald (primo ministro da gennaio a novembre 1924 e primo ministro del governo nazionale dal 1931 al 1935), pensa semplicemente di poter gestire il capitalismo meglio dei conservatori.

La sinistra -Jeremy Corbyn, John McDonnel (dirigente sindacale, ministro delle Finanze del Governo ombra da settembre ad aprile 2020), Anthony Neil Wegwood Benn (ministro dell’Industria nel secondo governo Wilson nel 1974-75 e ministro dell’Energia nel governo Callaghan degli anni 1976-79, figura emblematica della sinistra laburista), il giovane Michael Foot (figura della sinistra del partito negli anni 1950-1960 e ministro del Lavoro dal 1974 al 1976), Aneurin Bevan (ministro della Salute dal 1945 al 1951 e promotore del National Health Service), …- si considera anticapitalista, nel senso che critica le grandi imprese, sostiene sovente i sindacati e gli scioperi e spera che, gestendo il capitalismo, possa anche modificarlo seriamente e trasformarlo progressivamente verso il socialismo.

Sostegno allo Stato britannico

Ma su un punto, la sinistra, praticamente all’unanimità, e la destra sono d’accordo: il sostegno alle istituzioni dello Stato britannico. Non intendo con questo solo il Parlamento, anche se questo è stato cruciale, ma anche le forze armate, la polizia, il potere giudiziario, l’alta funzione pubblica e pure la monarchia.Hanno creduto che questo Stato rappresentasse in qualche modo gli interessi della nazione britannica e che sarebbe stato lo strumento che avrebbero utilizzato per realizzare i cambiamenti che volevano. E questo sostegno alla Stato britannico li ha condotti, che l’abbiano voluto o no, a sostenere il capitalismo, l’imperialismo e le guerre imperialiste. Gli esempi storici sono così numerosi che mi limito a citarne solo alcuni.

Per il primo periodo del Partito laburista, la figura di Ben Tillett (1860-1943) può servire quale esempio rappresentativo. Nel 1889, Tillet era un sindacalista militante impegnato nel grande sciopero dei portuali di quell’anno ed è poi stato eletto deputato laburista. Per quanto concerne la Prima Guerra mondiale, scrive: “Malgrado la nostra storica attitudine pacifista, le forze del Partito laburista in Inghilterra hanno sostenuto il governo durante tutta la durata della guerra” e riassume il suo atteggiamento in questo modo: “in uno sciopero, sono per la mia classe, a torto o a ragione; in una guerra, sono per il mio paese, a torto o a ragione”.

Il governo Attlee

Il caso più rivelatore del modo in cui questo è avvenuto e forse quello del governo laburista di Attlee tra il 1945 al 1951. Questo governo è stato il punto culminante della storia del Partito laburista e della leggenda laburista, in gran parte grazie all’introduzione del NHS (National Health Service) e allo sviluppo dello Stato-Provvidenza – attraverso riforme che hanno portato dei veri benefici ai salariati.

Queste realizzazioni sono state possibili perché il capitalismo aveva iniziato il suo grande boom del dopoguerra e perché segmenti interi del Partito conservatore, e più in generale della classe dirigente, hanno essenzialmente accettato la necessità di riforme, compreso un certo grado di avanzamento dei processi di nazionalizzazione.

Ma alla fine dei sei anni di governo laburista, molto spesso con una maggioranza enorme, non era stato torto un solo capello alle strutture fondamentali dello Stato britannico: né le forze armate, né la polizia, né i giudici, né l’MI5 (servizi segreti del ministero degli Interni) o l’MI6 (servizi segreti del ministero degli Esteri), né l’alta funzione pubblica, né la monarchia e nemmeno la Camera dei Lords. Inoltre, il bombardamento di Hiroshima e di Nagasaki è stato approvato, la bomba atomica è stata sviluppata (in segreto), gli inglesi hanno schiacciato rivolte popolari in Grecia e in Malesia. La Gran Bretagna ha pienamente sostenuto gli Stati Uniti durante la guerra fredda e le truppe britanniche sono state inviate per combattere in Corea, senza dimenticare il sostegno alla politica di apartheid in Sudafrica.

È rivelatore che il governo abbia invariabilmente sostenuto le forze dello Stato contro i lavoratori in sciopero, dichiarando a due riprese lo stato d’urgenza e inviando le truppe a reprimere degli scioperi per non meno di diciotto volte. Il risultato è stato che quando i Tories (i conservatori) sono tornati al potere nel 1951, hanno semplicemente potuto riprendere gli affari come prima e dirigere il capitalismo britannico nei tredici anni successivi, allorché Clement Attlee veniva elevato al rango di pari.

E tutto questo è avvenuto con l’accordo più o meno integrale della sinistra laburista, compreso il santificato Nye (Aneurin) Bevan. L’accordo sembra essere stato chiaro: accordate delle riforme economiche ai lavoratori britannici e chiuderemo gli occhi sulle politiche imperialiste a livello mondiale. La misura nella quale ciò sia stato verosimile è confermato dal rispetto unanime di cui ha goduto il governo Attlee nei ranghi laburisti.

Una lunga tradizione

Durante gli anni 60 e in quelli seguenti la lealtà dei dirigenti laburisti verso lo Stato britannico è rimasta intatta.

Quando, in seguito alle manifestazioni di massa organizzate per la Campagna per il disarmo nucleare (CND), la conferenza del Partito laburista del 1960 ha adottato una risoluzione in favore del disarmo nucleare unilaterale, il dirigente laburista, Hugh Gaitskell, dichiarava che si stava battendo e si sarebbe battuto ancora per “salvare il partito che amiamo” minacciato dalla CND, scatenando gli applausi generali dei media e, senza dubbio, di Whitehall e dell’Admiralty.

È poi assodato che né il governo Wilson (1964-1970) e nemmeno alcun governo laburista successivo abbiano preso alcuna misura per promulgare questa risoluzione sul disarmo. Al contrario, Wilson e il suo governo hanno chiaramente sostenuto la guerra statunitense in Vietnam.

Inevitabilmente, questo si è tradotto in un sostegno vile delle azioni dell’esercito britannico e dello “Stato segreto” in Irlanda del Nord. Roy Mason, che ha iniziato a lavorare come minatore ed è stato eletto alla Camera dei Lords, è stato segretario di Stato per l’Irlanda del Nord dal 1976 al 1999. È conosciuto per il suo approccio duro, inviando i SAS (forze speciali) nel sud dell’Armagh e comunicandolo apertamente alla Conferenza del Partito laburista del 1976: “L’Ulster ne aveva abbastanza in quel momento delle iniziative, dei Libri bianchi e delle disposizioni legislative, e bisognava ora governarlo fermamente ed equamente… e, soprattutto, trattare il terrorismo repubblicano come un problema di sicurezza e nient’altro.”

Era lo stesso linguaggio che avrebbe utilizzato Margaret Thatcher durante gli scioperi della fame, cinque anni dopo.

Nel 1981, il leader laburista Michael Foot ha prima invocato e poi sostenuto la guerra delle Malvinas voluta dalla Thatcher e, negli anni 1990-91, il suo successore, Neil Kinnock, e il ministro degli Affari esteri del Governo ombra, Gerald Kaufman, hanno sostenuto la prima guerra del Golfo condotta dagli Stati Uniti.

In breve, quando Tony Blair ha implicato la Gran Bretagna nella guerra dell’Irak nel 2003, di fronte a un’opposizione massiccia e sulla base di menzogne flagranti concernenti le cosiddette “armi di distruzione di massa” irachene, non si trattava di un’aberrazione: egli agiva di fatto nel solco di una lunga tradizione laburista di sostegno allo Stato britannico e alle sue guerre imperialiste.

Jeremy Corbyn

Questa tradizione ha un’incidenza assai importante su ciò che è successo a Jeremy Corbyn. Quando Corbyn è stato eletto a capo del Partito laburista, nel 2015, l’establishment politico e la classe dirigente britannica sono stati confrontati, per la prima volta, con un potenziale primo ministro potenziale la cui lealtà verso lo Stato britannico, e dunque verso il capitalismo, non poteva essere garantita.

Questo non significa che Corbyn avesse riflettuto a tutto ciò – non l’aveva fatto – ma il suo lungo passato di socialista, di militante contro la guerra e antiimperialista, sovente al fianco della sinistra extraparlamentare, lo rendeva molto pericoloso agli occhi dell’establishment. Che ha così reagito con un furore apoplettico. Ho descritto questa reazione all’epoca: “La sua vittoria è stata salutata da una tempesta mediatica contro la sua famiglia, la sua vita personale, il suo abbigliamento, la sua scelta della cravatta, il suo presunto antisemitismo (un’allegazione totalmente falsa basata interamente sul suo sostegno alla Palestina), la sua incapacità di cantare l’inno nazionale e la sua disponibilità o meno di baciare la mano della regina”.

C’è stato un tentativo coordinato di distruggerlo o di danneggiarlo in permanenza fin dal primo momento della sua apparizione politica. E se una gran parte dell’aggressione dipendeva dal giornalismo di bassa lega e dai pettegolezzi (”ha avuto una relazione vent’anni fa?”), una parte dell’aggressione aveva un taglio politico chiaro, direttamente legato alla sua “lealtà” verso lo Stato britannico.

Tutto questo crea una difficoltà per Corbyn, attorniato da consiglieri che gli dicono di farsene una ragione, perché deve temere l’effetto sull’opinione pubblica della rimessa in questione delle tradizioni e dei rituali della monarchia britannica e dello Stato imperiale, perché, in fondo, Corbyn spera di utilizzare questo Stato per apportare un cambiamento sociale in Gran Bretagna…

Poi, c’è il problema creato dal suo stesso partito. Ben pochi -venti al massimo- deputati del Partito laburista sostengono Corbyn o i suoi orientamenti politici. Molti di loro sono implacabilmente ostili. La maggioranza di loro, anche se per ora non lo dicono apertamente, si impegneranno a fondo per minarlo come hanno già iniziato a fare.

Quando quest’attacco generalizzato contro Corbyn fallisce – viene rieletto con una schiacciante maggioranza alla testa del Partito laburista nel 2016, poi va vicino alla vittoria alle elezioni generali del 2017 (ottenendo il 40% dei voti e 30 seggi in più di fronte al 42,4% e la perdita di 13 seggi di Theresa May), l’establishment e la destra laburista cambiano tattica per concentrarsi specificatamente sull’accusa di antisemitismo.

L’assimilazione dell’antisionismo all’antisemitismo permette loro di presentare il Partito laburista come macchiato di antisemitismo perché conta al suo interno dei difensori dei diritti dei Palestinesi molto in vista, Corbyn compreso, e di condannarlo senza sosta e di utilizzarlo come arma contro di lui.

È necessario comprendere che il sostegno costante dello Stato britannico a Israele non ha nulla a che fare con un’opposizione all’antisemitismo. Si basa sul fatto che Israele agisce come avanposto dell’imperialismo occidentale in Medio Oriente e, fatto cruciale, è sempre stato sostenuto dagli Stati Uniti. Il sostegno servile agli Stati Uniti è stato probabilmente l’aspetto più coerente della politica estera britannica, indipendentemente dal governo in carica, a partire dalla Seconda Guerra mondiale.

Un certo numero di fattori ha reso quest’arma efficace contro Corbyn. Innanzitutto, un ruolo cruciale l’hanno avuto alcuni sionisti della destra del Partito laburista, come Margaret Hodge e John Mann (oggi Lord Mann), che sono stati più che felici di compromettere mortalmente il Partito laburista per difendere Israele e prendersela con Corbyn.

In secondo luogo, questi ultimi potevano sfruttare il fatto che in un partito di massa come il Partito laburista, è quasi inevitabile che ci siano casi reali di antisemitismo, anche perché il livello di educazione politica in seno al Partito laburista non è elevato, anche se il numero di antisemiti sarebbe comunque di molto inferiore a quello nel Partito conservatore.

In terzo luogo, questo stesso basso livello di educazione politica in seno al partito significa che numerosi membri non capiscono molto bene la questione della Palestina e non sanno quindi bene cosa succeda e come combattere le accuse.

Infine, l’accusa di antisemitismo si inserisce nel quadro generale di un’altra caratteristica chiave del Partito laburista, il suo “elettoralismo”, che ha implicato che, per tradizione, Corbyn dimissionasse dal suo posto di capo avendo perso le elezioni del 2019 contraddistinte dalla Brexit (il Partito laburista ha perso 60 seggi, ottenuto il 32.1% dei suffragi contro i conservatori diretti da Boris Johnson che hanno ottenuto il 43,6% dei suffragi e aumentato la propria frazione parlamentare di 48 seggi); ciò l’ha reso vulnerabile nei confronti di Keir Starmer (che diventa capo del Governo ombra e del Partito laburista il 4 aprile 2020).

Elettoralismo

Questo “elettoralismo” va di pari passo con l’impegno con lo Stato ed è così centrale nel funzionamento del Partito laburista che merita alcune spiegazioni supplementari. Parlando di “elettoralismo”, non intendo semplicemente la pratica della partecipazione alle elezioni, che è essenziale anche per i rivoluzionari. Con elettoralismo intendo l’idea secondo la quale il successo alle elezioni parlamentari sia, in larga parte, la priorità assoluta in politica, a discapito non solo delle lotte extraparlamentari in ogni forma, ma anche della ragione di fondo di sapere perché si vogliono vincere le elezioni.

La verità è che molti membri del Partito laburista – non tutti ma molti – non solo si concentrano praticamente solo sulle elezioni, ma arrivano a considerare che qualsiasi principio sia, in un modo o un altro, sacrificabile, se costituisce un ostacolo alla vittoria elettorale.

Se una parte della classe operaia di cui volete ottenere i voti è razzista, dovrete stare zitti sull’antirazzismo e “ascoltare le loro preoccupazioni”.

Se i posti di lavoro di certi vostri elettori potenziali sono legati all’industria delle armi nucleari o a Trident (sistema missilistico strategico nucleare in dotazione ai sottomarini), non bisogna parlare di disarmo nucleare…Se pensano che Keir Starmer abbia più possibilità di vincere che Jeremy Corbyn, questo li incita a sostenere Starmer e a considerare Corbyn come un “perdente”. E sì, alcuni di loro utilizzano questo linguaggio alla Trump.

Questa fissazione sulle elezioni parlamentari rimanda alle caratteristiche fondamentali del Partito laburista in quanto partito riformista di cui parlavo all’inizio di questo articolo. Riflette in parte la mancanza di fiducia dei lavoratori che sperano che qualcuno che sta in alto possa riuscire a realizzare cambiamenti a nome loro e a loro favore; ma corrisponde anche al carrierismo dei livelli superiori del partito, alle loro aspirazioni a occupare seggi parlamentari, dei posti ministeriali e, in fin dei conti, a un’elevazione al rango dell’establishment.

Si tratta, soprattutto, di una trappola fatale per la sinistra del partito. A più riprese, da cent’anni a questa parte, la sinistra si è arresa alla destra in nome “dell’unità” per sconfiggere i Tories. E ci son già segnali che questo potrebbe succedere nuovamente anche dopo la sospensione di Corbyn. Ma da Ramsay MacDonald e Ernest Bevan a Tony Blair e a Sir Keir Starmer, la volontà di compromesso che non è mai stata reciproca, precisamente perché la destra è ben più leale verso lo Stato e il sistema che non verso il Partito laburista o la classe lavoratrice.

È per questo che, qualsiasi sia la retorica della sinistra del partito o la sincerità delle intenzioni della maggioranza dei suoi membri, il Partito laburista britannico è sempre stato un ostacolo alla lotta per il socialismo in Gran Bretagna.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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