Energia, trasporti, riscaldamento globale. E gli intrecci con la finanza. Ogni settimana il punto sui cambiamenti climatici firmato da Andrea Barolini

Breve premessa arcinota: gli impegni assunti dai governi di tutto il mondo in materia di abbattimento delle emissioni di gas ad effetto serra non bastano. Lo hanno anticipato le Ong. Lo hanno certificato le Nazioni Unite nei rapporti Emission Gap. Lo hanno ammesso numerosi fra gli stessi governi. L’Accordo di Parigi chiede di contenere la crescita della temperatura media globale in una forchetta compresa tra 1,5 e 2 gradi centigradi, alla fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali. La traiettoria attuale ci porta invece oltre i 3 gradi. 

Per questo le stesse Nazioni Unite hanno chiesto agli esecutivi (implorato, verrebbe da dire, ascoltando i ripetuti, accorati appelli del segretario generale Antonio Guterres) di depositare nuove promesse. Tecnicamente, si chiamano NDC (Nationally Determined Contributions). E devono rimpiazzare quelle – appunto, insufficienti – inviate cinque anni fa, nel 2015. La scadenza era stata fissata al 31 dicembre 2020. A rispettarla, però, sono state soltanto 70 nazioni su un totale di quasi 200. Le altre devono aver pensato di essersi già impegnate abbastanza. Oppure che a fare di più debbano essere altri. O magari si sono semplicemente scordate.

Tra le sette decine di virtuosi figurano gli Stati membri dell’Unione europea. Così come, per quanto riguarda quelli che emettono quote significative di gas ad effetto serra, la Corea del Sud e l’Argentina. Quindi una gruppo di piccoli Paesi (tra cui Monaco, Maldive, Isole Marshall) o ancora di poco peso in termini di emissioni climalteranti (come Perù, Kenya e Senegal). L’appuntamento è stato mancato dagli Stati Uniti di Donald Trump, troppo impegnato a aizzare la folla contro il proprio Parlamento. Ma se la sono presa comoda anche la Cina, il Giappone e il Canada. Certo, Pechino si è impegnata ad azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2060. Tokyo conta di riuscirci dieci anni prima. E il nuovo presidente americano Joe Biden ha promesso un piano epocale di transizione ecologica. Qualcosa in cui sperare (in attesa della sottomissione dei rispettivi NDC). 

Ma da Brasile, Australia, Russia, India, Svizzera, Iran, Indonesia, Turchia o ancora Arabia Saudita tutto tace. O giù di lì. Il 21 febbraio l’Onu dirà quanto valgono i nuovi impegni. Quelli arrivati entro il 31 dicembre. Per il resto, dobbiamo incrociare le dita. Tanto ci giochiamo solo il Pianeta.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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