Gli italiani, dopo aver superato il trauma per la perdita del loro avvocato, sembrano essere pronti a riporre le speranze in un uomo il cui curriculum vitae può vantare molti titoli illustri, come quelli di professore, bazookiere e “Salvatore dell’Eurozona”. Molti hanno denunciato che la costruzione di questo nuovo mito, alacremente condotta da giornali e reti televisive, sia stata commissionata dell’èlite economica italiana, al fine di mistificare i veri interessi in gioco. Pochi hanno riflettuto sul perché il tentativo di persuasione in atto stia avendo esito positivo. La narrazione che sostiene l’ascesa di Mario Draghi non riscuoterebbe infatti alcun successo se non fosse affine a un modo di sentire largamente diffuso presso i cittadini. Il prodotto dello zelo mediatico manifestatosi in questi giorni fornisce così allo studioso della politica alcune allettanti opportunità: innanzitutto, quella di comprendere come venga comunemente pensata la crisi del nostro sistema politico e, conseguentemente, di interrogarsi sulla plausibilità di questa concezione. Nel presente contributo, cercheremo di cogliere tali opportunità.
Procediamo con ordine. Quali sono le ragioni per cui la celebrazione di Draghi sta avendo presa sulle masse? Per rispondere è necessario esaminare con maggiore attenzione la propaganda mediatica in corso, determinandone i contenuti specifici. Di Mario Draghi se ne esaltano il nobile lignaggio, la rettitudine morale, il valore scientifico, la diplomazia, le capacità decisionali e qualsiasi altra virtù debba avere colui che giunge per salvarci. E non è tutto. La santificazione del “nuovo” arrivato ha come correlato la detrazione della classe politica dimissionaria, in particolare dei membri del M5S. Insomma, le qualità dell’uomo del momento vengono presentate come panacea dei danni causati da politici corrotti, ignoranti e incompetenti. Immagine, questa, efficacemente restituita dalle parole del governatore De Luca, pronunciate il 5 febbraio in occasione del suo consueto punto stampa: “Mario Draghi è una personalità di grande rilievo e di grande prestigio sul piano internazionale. Abbiamo sinceramente respirato aria nuova da quando ha cominciato a parlare Draghi. Un’aria di grande semplicità, di grande sobrietà, dopo un decennio di demagogia fatta di supponenza e incompetenza”.
La strategia per legittimare Draghi è incentrata su un dispositivo retorico che contrappone la competenza al dilettantismo. Se i media si fossero limitati ad un’azione meramente celebrativa, molto probabilmente non avrebbero ottenuto gli effetti desiderati: il loro intento di persuasione sarebbe apparso alle masse in tutta la sua capziosità e, di conseguenza, si sarebbe tradotto in un fallimento. Affiancando l’entusiasmo per Draghi al disprezzo per la classe politica italiana, invece, è stata prodotta una narrazione estremamente convincente, poiché fedele a un modo di sentire tanto ingenuo quanto diffuso. Noi italiani, infatti, siamo stati abituati ad associare la condizione di crisi profonda che viviamo, oramai da decenni, alla corruzione e inettitudine dei nostri politici. Le emergenze sociali e le difficoltà economiche del nostro paese vengono comunemente pensate come il prodotto di un sistema politico reso inefficiente da coloro che sono ai suoi vertici. La speranza comune, pertanto, risiede nella possibilità che uomini volenterosi e preparati irrompano sulla scena politica, liberandoci da quell’incompetenza che crediamo matrice di tutti i nostri mali. Detto altrimenti: se la crisi viene banalmente pensata come effetto delle scarse qualità di coloro che governano, la sua soluzione consiste nel sostituire questi con persone di più alto profilo. Sulla base di questa ingenuità analitica, tanto diffusa da penetrare perfino negli ambienti accademici, i media hanno tentato – con successo – di legittimare Draghi agli occhi dei cittadini.
Possiamo adesso domandarci quanto sia plausibile e centrata questa diagnosi dei problemi del nostro sistema politico. Essa, come abbiamo visto, denuncia principalmente un’inefficienza prodotta dall’incapacità dei politici di professione. Di contro a questa concezione, che riduce la politica a mera amministrazione dell’esistente, vorrei sostenere che la crisi che abbiamo di fronte, lungi dal riguardare eminentemente la bassa lega dei leader politici, consista in uno svuotamento radicale della democrazia rappresentativa. A essere in declino, insomma, è proprio quella forma di governo che ha trionfato in tutto l’occidente europeo. E non lo è solo per quella tendenza – sapientemente diagnosticata da Colin Crouch[1] – di conquista progressiva del potere politico da parte di lobby economiche e conseguente esclusione del popolo dai processi decisionali (tendenza di cui l’ascesa di Mario Draghi è espressione esemplare). La crisi della democrazia e della sua dimensione rappresentativa è più sostanziale, poiché riguarda l’affermazione di un’immagine del mondo (Weltbild)che costituisce soggetti incapaci di qualsiasi stabile appartenenza politica.
Ma che cos’è un’immagine del mondo? Qualcosa di diverso da un’ideologia, ossia da una mistificazione del reale che può, attraverso un’operazione di aufklärung, essere decostruita. L’immagine del mondo è al di là del vero e del falso. Essa, nell’accezione che ne dà Weber[2], è un insieme di proposizioni descrittive, prescrittive e indimostrabili che costituiscono il soggetto e ne orientano l’agire, rispondendo alle sue domande sul mondo, la storia, la società e sul posto ch’egli occupa in queste dimensioni di cui non può avere esperienza diretta. L’immagine del mondo è un sistema complesso di credenze a partire dal quale possiamo comprendere cosa un certo soggetto può fare e cosa invece non può.
A partire dai primissimi anni ’80 ha preso forma un’immagine del mondo che, dopo il crollo del muro di Berlino, è divenuta egemone all’interno delle società europee. Questo Weltbild pone l’individuo come valore assoluto, emancipandolo da ogni forma di aggregazione sociale e politica in cui precedentemente era inserito. “La società non esiste, esistono solo gli individui”, per dirla con la Thatcher.
L’individualismo acosmico che struttura le soggettività occidentali comprime, ovviamente, le loro possibilità di riconoscersi in identità o gruppi politici stabili, determinando il declino di quei corpi intermedi fondamentali per il funzionamento delle nostre istituzioni democratiche. La crisi dei partiti politici e la marginalizzazione dei parlamenti nelle democrazie occidentali non possono essere compresi senza far riferimento a un’immagine del mondo siffatta.
I problemi della nostra politica – quelli veri e profondi –, pertanto, non hanno niente a che fare con l’incapacità dei leader politici o la loro scarsa erudizione, e non sarà certo il possesso di un dottorato al MIT o qualunque altra qualità personale (presunta o reale) a poterli risolvere. Il consenso che Draghi sta ottenendo tra i cittadini, però, ci fa capire molto del tipo di soggetto che l’immagine del mondo neoliberale struttura. Un soggetto che, incapace di emanciparsi dalla sua individualità, pensa la politica unicamente come attività amministrativa la cui legittimità risiede nell’efficienza e nella capacità di produrre benessere. Un soggetto che, di fronte alla promessa di efficienza e benessere, è pronto ad accettare qualsiasi governo tecnico.
[1] C. Crouch, Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari, 2003.
[2] M. Weber, Introduzione all’etica economica delle religioni universali, in Sociologia della religione, a cura di P. Rossi, 4 voll., Edizioni di Comunità, Torino, vol. II, p. 20. Per una ricostruzione analitica del concetto di immagine del mondo in Weber, vedi D. D’Andrea, L’incubo degli ultimi uomini. Etica e politica in Max Weber, Carocci, Roma,
Andrea Cerfeda