Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu opens the weekly cabinet meeting at his Jerusalem office on February 10, 2019. - Nudged by rightwing political rivals after a deadly Palestinian attack on a young Israeli woman, Netanyahu who seeks re-election pledged today to freeze money transfers to the Palestinian Authority. (Photo by GALI TIBBON / POOL / AFP) (Photo credit should read GALI TIBBON/AFP/Getty Images)

Il 23 marzo gli elettori israeliani sono stati chiamati nuovamente alle urne, nel tentativo di dirimere la difficile situazione della politica israeliana. Per il Paese mediorientale si è trattato infatti delle quarte elezioni in due anni, dopo che tutti i tentativi di formare un governo stabile, compresa l’improbabile alleanza tra il premier Benjamin Netanyahu ed il suo acerrimo rivale Benny Gantz, sono miseramente falliti.

Il primo ministro Netanyahu, che a breve dovrà anche difendersi dalle pesanti accuse per corruzione che pendono sul suo capo, ha ottenuto ancora una volta una vittoria dimezzata, non riuscendo ad assicurarsi la maggioranza assoluta dei seggi. Se, da una parte, il Likud (“Consolidamento”) resta il primo partito del Paese, la formazione di “Bibi” ha subito un calo rispetto alle elezioni dell’anno scorso, ottenendo 30 seggi contro i 37 di un anno fa. Il Likud ha ottenuto il 24,19% dei consensi su scala nazionale e, con ogni probabilità, faticherà a raggiungere i 61 seggi necessari per ottenere la maggioranza della Knesset, il parlamento unicamerale israeliano, composta da 120 scranni.

Al secondo posto si classifica Yesh Atid (“C’è un futuro”), il partito centrista guidato dall’ex ministro delle finanze Yair Lapid, già alleato di Gantz nelle passate elezioni. Dopo l’accordo tra Gantz e Netanyahu, Lapid ha deciso di staccarsi dal primo, divenendo di fatto il leader dell’opposizione, e questa sua scelta gli ha sicuramente portato consensi. Yesh Atid ha infatti ottenuto il 13,91% dei consensi, ottenendo un incremento di un seggio (17 contro 16 dello scorso anno), unico tra i partiti principali ad aumentare la propria rappresentanza.

Resta stabile il partito degli ebrei ultra ortodossi Shas, che conferma i suoi nove seggi con il 7,17% delle preferenze, mentre a pagare le proprie scelte politiche è stato proprio Benny Gantz, che vede il suo Kaḥol Lavan (“Blu e Bianco”) ottenere solamente otto seggi con il 6,61% dei consensi. Risultato sotto le attese anche per la Lista Comune (in arabo: al-Qa’imah al-Mushtarakah; in ebraico: HaReshima HaMeshutefet), la coalizione di sinistra che include anche partiti di matrice araba, che ha ottenuto solamente sei seggi a fronte degli undici dell’anno scorso (4,81%). La perdita va però spiegata anche con la fuoriuscita dalla coalizione del gruppo che ha dato vita alla Lista Araba Unita (in arabo: al-Qā’ima al-‘Arabiyya al-Muwaḥḥada; in ebraico: HaReshima HaAravit HaMe’uhedet), che ha ottenuto quattro seggi (3,79%).

Al momento, Netanyahu sembra in vantaggio per la formazione di un nuovo governo, ma il primo ministro più longevo nella storia di Israele sta faticando per trovare gli ultimi deputati che potrebbero dargli i 61 seggi necessari per raggiungere la maggioranza. Oltre ai 30 seggi del proprio partito, Bibi può certamente contare sui nove di Shas, sui sette del partito degli ebrei aschenaziti Giudaismo Unito nella Torah (Yahadut HaTora HaMeuhedet) e sui sei del Partito Sionista Religioso (HaTzionut HaDatit), raggiungendo quota 52. Al momento, restano dubbi sul possibile sostegno dei sette deputati della lista Yamina (“A destra”), la formazione dell’ex ministro della Difesa, Naftali Bennett, che potrebbe permettere alla coalizione di governo di arrivare a 59 deputati.

Dall’altro lato, l’opposizione guidata da Yair Lapid potrebbe facilmente raggiungere quota 57, ma difficilmente accetterà di coinvolgere la Lista Araba Unita, che con i propri quattro scranni permetterebbe alla vasta coalizione anti-Netanyahu di ottenere la fatidica quota 61.

Secondo alcuni osservatori, Netanyahu potrebbe cercare di attirare alcuni deputati dell’opposizione tra le proprie fila, al fine di ottenere la maggioranza nella Knesset. Tuttavia, le leggi israeliane impongono forti sanzioni ai deputati che cambiano partito dopo essere stati eletti. Ad esempio, un legislatore che lascia il suo partito e non si dimette dalla Knesset non può candidarsi alle prossime elezioni con un partito rappresentato nella Knesset uscente, ma può candidarsi solamente tra le fila di un nuovo partito. Inoltre, il deputato in questione non può essere nominato ministro o viceministro nel corso della legislatura. Tali sanzioni rappresentano in effetti un importante deterrente, per cui sembra difficile che due deputati possano accettare le conseguenze esposte per sostenere Netanyahu.

Tuttavia, una strada resta percorribile per il premier in carica: se, infatti, almeno sei deputati di un partito decidono di fuoriuscire allo stesso tempo, questa mossa viene considerata come una scissione e non come una defezione. Se, ad esempio, sei deputati di Yesh Atid o di Kaḥol Lavan decidessero di sostenere il governo contro il parere dei propri compagni di partito, questi non incorrerebbero in nessuna sanzione, ma potrebbero formare una nuova forza all’interno della Knesset.

Infine, Netanyahu potrebbe cercare di cambiare la legge vigente prima della formazione del nuovo governo: dopo tutto, Bibi controlla ancora l’esecutivo uscente e potrebbe forzare la mano per far approvare il provvedimento da parte della Knesset, una volta individuati i disertori pronti a sostenere il suo nuovo governo. A quel punto, Netanyahu potrebbe promettere loro un ministero o la ricandidatura tra le fila del Likud in occasione delle prossime elezioni.

Nel frattempo, il premier dovrà continuare anche a seguire le proprie vicende giudiziarie, che potrebbero costringerlo ad abbandonare il timone di comando in caso di condanna per corruzione.

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Giulio Chinappi – World Politics Blog

Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

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