Un grande corteo ribadisce l’opposizione all’autoporto di San Didero, opera accessoria al raddoppio della Torino-Lione. Al termine, sparati lacrimogeni ad altezza d’uomo e ferita gravemente una attivista, in ospedale in condizioni preoccupanti

Il movimento No Tav dimostra di essere più che mai vivo con la risposta popolare al nuovo cantiere di San Didero nella giornata di sabato 17 aprile, in cui più di 4000 persone hanno manifestato fino a Bruzolo per ribadire la propria ferrea contrarietà all’opera.

Nella notte tra lunedì 12 e martedì 13 la ditta per la costruzione dell’autoporto di San Didero aveva dato il via all’opera, scortata da una quantità mai vista di blindati di forze dell’ordine. Dentro l’area recintata cinque resistenti rimangono a difendere il piccolo presidio costruito e sono tutt’ora lì. C’è stata una risposta di opposizione fin dalla prima notte mentre nella serata di martedì qualche centinaio di manifestanti ha ricevuto repressione violenta e inaudita da parte delle forze di polizia che hanno sparato gas lacrimogeni fino dentro i cortili delle case del paese di San Didero. Da allora ogni giorno centinaia e centinaia di carabinieri, celere e guardia di finanza si danno il cambio ad assediare i 70 mila metri quadrati dell’area.

Nella giornata di sabato 17 si voleva dare una risposta popolare e allargata, per nulla scontata visto il livello di repressione e nella fase pandemica che stiamo ancora vivendo con tutte le sue restrizioni.
Il primo appuntamento è alle 15, nel piazzale antistante il centro polivalente di San Didero, per una assemblea pubblica convocata dal sindaci della valle contrari all’opera. Per le strade del paese un quarto d’ora prima dell’inizio c’è già un gran via vai, sembra quasi l’atmosfera febbrile che si respira durante una sagra paesana. L’impressione confermata quando, mentre si cerca un parcheggio ci accoglie in pettorina visibile una volontaria della Protezione Civile. «Siete qui per l’assemblea? Allora il parcheggio è alla fine della strada, a sinistra.» Sorpresi domandiamo: «Ma l’assemblea No Tav, intendiamo» «Si certo, quella contro l’autoporto».

Il via vai concitato infatti era determinato proprio dall’assemblea No Tav e le persone che sciamano per le vie del paese alla fine confluiscono tutte nel piazzale antistante il centro polivalente, che quando iniziano gli interventi è gonfio di alcune centinaia di cittadini. Tra i partecipanti si respira lo spirito No Tav intergenerazionale, che ha caratterizzato da sempre il movimento.

Parlano per primi i sindaci e il presidente della Comunità Montana con parole dure e amare. La costruzione dell’autoporto di San Didero viene condannata senza appello, ma quello che forse più stupisce sono i racconti delle loro interlocuzioni con prefettura e questura. Ne emerge uno Stato che non solo ha perso ogni interesse a dialogare con una comunità e con chi la rappresenta, ma che si permette ogni arroganza sprezzante nei confronti di chi vive il territorio. Forse è proprio questa disarticolazione strutturale tra Stato e cittadinanza una delle più gravi conseguenze della violenza repressiva in Val di Susa, che fa si che la popolazione si senta sotto occupazione militare.

Dopo i fatti di martedì il comune di San Didero ha fatto appendere ovunque nel paese una comunicazione in carta intestata che recita: «L’Amministrazione Comunale si stringe attorno ai suoi cittadini esprimendo rammarico e rabbia per l’uso improprio delle forze dell’ordine […] in questo modo si calpestano i diritti sia dei cittadini che degli amministratori che rappresentano la comunità […] Non ci è dato a sapere cosa accadrà con questa militarizzazione chiamata a difendere un cantiere dal costo di 50 milioni di euro; certo è che in un momento di crisi emergenziale dovuto alla pandemia, dove non arrivano i vaccini per Covid-19, dove il lockdown ha fatto sì che chiudessero imprese e attività commerciali, nella piana di San Didero e Bruzolo vengono inviate truppe di occupazione». Sono parole pesantissime, ancor di più considerando chi le pronuncia, eppure, basta arrivare a Torino, a mezz’ora da San Didero e tutto l’arco politico ignora il profondo disagio vissuto in questi luoghi e il valore della resistenza valsusina.

Tra gli interventi Alberto Poggio, un studioso profondo conoscitore degli aspetti tecnici dell’opera, sottolinea: «Abbiamo sempre detto che è un’opera inutile, dannosa, costosissima, da oggi possiamo pure dire che è un’opera abusiva, perché il procedimento seguito da Telt per avviarla è un procedimento abusivo rispetto alle normative e ai vincoli che le imprese devono avere rispetto al territorio in cui operano». Il presidente della Comunità Montana, Banchieri, sottolinea invece che «Hanno promesso che il Tav ci avrebbe liberato dal trasporto su gomma, e invece la prima opera che costruiscono è un autoporto per i Tir. È un paradosso inaccettabile. Noi istituzioni siamo qui per riallacciare i rapporti con la popolazione valsusina ma devono essere basati su verità e giustizia, non sulla violenza e le falsità di questi giorni» Un altro sindaco dichiara: «È evidente a tutti che quest’opera non è utile a nessuno, serve solo a chi la costruisce».

Viene più volte ribadito che è importante che il corteo sia pacifico e permetta a tutti i presenti di partecipare, ma c’è chiara consapevolezza su chi siano i violenti e non a caso vengono messi sul tavolo dei relatori in esposizione i candelotti di lacrimogeni raccolti nei campi di San Didero in questi giorni, a testimonianza della violenza subita.

Alle 17 parte il corteo, non autorizzato dalla questura ma che i valligiani decidono di svolgere ugualmente. Il sole è ancora alto in questo lembo all’estremo ovest del nostro paese, il cielo è limpido e un vento fresco spazza le nubi e rende l’aria tersa. A destra e sinistra del corteo altissime montagne sovrastano la vallata, tutte ancora innevate per un terzo della loro altezza, il colpo d’occhio panoramico è notevole.

In poco tempo il corteo si ingrossa e si raggiungono almeno quattromila partecipanti, giovani, famiglie, anziani assieme. Apre il corteo uno striscione “Siamo la natura si ribella” e in testa ci sono il collettivo Giovani No Tav, ma anche i gruppi di Fridays For Future del Piemonte, poi i vari comitati No Tav valligiani, a seguire i collettivi dei centri sociali torinesi. Si rivede in marcia anche Nicoletta Dosio, dopo la sua detenzione di un anno, e il pensiero di molte va a Dana Lauriola, ora agli arresti domiciliari priva della possibilità di parlare con il movimento No Tav. «Dovrebbero venire qui tutti gli italiani», racconta un signore anziano in marcia, «perché l’opera inutile e assurda è costruita coi soldi di tutti. Non solo dei nostri.» In coda alla marcia sono presenti anche Potere al Popolo e varie sigle del sindacalismo di base.

Il corteo per un lungo tratto percorre il perimetro di una enorme acciaieria abbandonata e arrugginita, segnale evidente di uno sviluppo industriale impattante che caratterizzava un tempo la valle. Non sono poche le “ferite” industriali di questo tipo in Valsusa. Proprio la consapevolezza della perversione di quel modello di sviluppo è tra gli elementi che hanno fatto crescere una coscienza ambientalista diffusa, che, a sua volta ha permesso al movimento di crescere e di resistere per 30 anni. Tra le varie ragioni dell’opposizione all’autoporto di San Didero, c’è pure la certezza che per costruirlo andrebbero a scavare sui terreni di deposito di scarichi inquinanti della acciaieria: ancora devastazione del territorio compiuto nel corso degli anni che riemerge e continua ad avvelenare.

A conclusione del lungo tragitto, un gruppo di manifestanti entra nella vicina autostrada A32 e la blocca, in sicurezza, con tronchi, sassi. Arrivano camionette della celere, ma non possono far nulla se non chiamare un intervento per liberare la carreggiata. L’azione riesce e per ore il traffico in una corsia è bloccato.

«Da oggi il movimento No Tav ha un altro nemico da combattere oltre al cantiere di Chiomonte», dice una attivista, «ma essere qui in così tanti dimostra che la determinazione non manca e per logoramento riusciremo a liberarci di questo cantiere e delle truppe di occupazione che lo difendono». Mentre si fa buio e il corteo sfila per tornare a San Didero, scorre beffardo lungo la ferrovia parallela alla statale, il TGV (Treno ad Alta Velocità francese) Parigi-Lione-Torino che transita regolarmente nei binari esistenti, 4 volte al giorno. L’Alta Velocità esiste già in valle, il raddoppio della linea esistente servirebbe solo a risparmiare mezz’ora tra Torino e Lione.

Nella notte poi arriva la notizia più brutta che rovina una giornata festosa di protesta. Un gruppo di attiviste e attivisti si era recato nei pressi del cantiere per portare un saluto ai resistenti barricati nel presidio e circondati dalle forze dell’ordine. La reazione della polizia è stata immediata e ancora una volta si sono sparati lacrimogeni ad altezza d’uomo. Una manifestante, è stata colpita al volto e ora è grave in ospedale, con emorragie e fratture. Il movimento ha convocato una conferenza stampa per denunciare questo ennesimo atto di violenza atroce. La resistenza contro il cantiere di San Didero continua.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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