“Questa è una mossa Kansas City: loro guardano a destra, e tu vai a sinistra”. Così il Bruce Willis del film Slevin battezza il diversivo con cui un sicario distrae la sua vittima prima di ucciderla. Il Recovery Plan è una mossa Kansas City: da ormai quasi un anno – quando si iniziò a vociferare di Eurobond e altre chimere – non si fa altro che parlare di questo presunto fiume di denaro con cui le istituzioni europee stanno salvando ognuno di noi dal virus. Un fiume di denaro che a ben vedere non supera 50 miliardi di euro, anche utilizzando le stime più ottimistiche sui risparmi relativi ai prestiti, che l’Unione Europea erogherà comunque nell’arco di sei anni (2021-2026) e solo subordinatamente alla più ferrea applicazione della disciplina di bilancio.

 Risorse aggiuntive dall’Unione Europea  Base annua  Totale 2021-2026

(a) Risparmi sui prestiti Next Generation EU (2021-2026) 4 24
(b) Sussidi netti NGEU (2021-2026) 7,2 43,2
(c) Contributi netti Multiannual Financial Framework (2021-2027) 2,9 17,4
Totale risorse aggiuntive (a)+(b)-(c) 8,3 49,6
Tutti siamo chiamati a discutere del salvifico Recovery Plan, o Next Generation EU, o PNRR, in un moltiplicarsi di nomi, acronimi e denari che assomiglia ad un gioco di specchi. Tutto il dibattito economico attuale ruota intorno a questo labirinto di specchi: il Recovery premia i giovani? Quante risorse andranno al Sud? E le donne? Quante risorse andranno al sistema sanitario? Sarà la forza trainante delle due fatidiche transizioni, quella digitale e quella ecologica? E il ponte sullo stretto?

L’ingrediente fondamentale di questa intossicazione del dibattito economico è l’assoluta vaghezza che circonda la dimensione quantitativa del Recovery Fund. Stiamo infatti parlando di soldi e i soldi – innanzitutto – si dovrebbero contare. Quando si parla di miliardi, anzi di decine di miliardi di euro, diventa difficile dare concretezza alle grandezze economiche: 50 miliardi sono tanti o no? Sembrerebbero tanti, ma se guardiamo appena sotto il nostro naso ci rendiamo conto che così non è.

Già, perché mentre tutti si arrovellano sui progetti da inserire o meno nel Recovery Plan, sulla sua vocazione più o meno green, più o meno digital, il Governo si appresta a varare con il Decreto Sostegni bis il secondo scostamento di bilancio del 2021, che dovrebbe attestarsi intorno ai 40 miliardi di euro. Scostamento significa che il Governo si appresta a spendere circa 40 miliardi di euro in più rispetto a quelli previsti nella Legge di Bilancio: si discosta, appunto, dal percorso di finanza pubblica programmato. Dunque, considerando insieme i due scostamenti sottesi ai primi due Decreti Sostegni, nei primi 4 mesi del 2021 l’Italia si appresta a spendere circa 72 miliardi di euro in più rispetto a quanto preventivato a fine 2020 – quindi già nel pieno della tempesta – per far fronte all’emergenza pandemica e alle conseguenze del lockdown sulle attività economiche. Questi scostamenti di bilancio vanno peraltro a sommarsi a quelli già stabiliti nel 2020 dal governo Conte bis – che ammontano a 108 miliardi di euro – e ai 24 miliardi della Legge di Bilancio 2021.

Non ci vuole una laurea per capire che stiamo spendendo, in 4 mesi, più di quello che il Recovery Plan ci darà in 6 anni, e che nel 2020 abbiamo già speso il doppio di quanto ci arriverà dall’UE nel medesimo periodo. E non ci vuole un dottorato per appurare che 72 miliardi di euro in 4 mesi sono comunque troppo pochi per riassorbire i danni della pandemia sul tessuto economico e sociale: dai dati sulla disoccupazione e sulla cassa integrazione alle proteste dei piccoli commercianti, appare del tutto evidente l’insufficienza delle contromisure messe in campo fino ad oggi dai due Governi che si sono trovati a gestire l’emergenza pandemica. Ma se 72 miliardi in 4 mesi sono pochi, perché questa ossessione del Recovery Plan? Perché tutta questa attenzione alle briciole che le istituzioni europee si apprestano (perché ancora non si è visto un euro!) ad erogare in un arco di tempo lungo sei anni?

“Non si può fare una mossa Kansas City senza un morto”, chiosa Bruce Willis nella scena citata. La distrazione, il rumore, i fuochi d’artificio degli Eurobond, gli specchi che moltiplicano le risorse che l’Europa starebbe per regalarci (ma ancora non ci regala), tutto questo circo sembra assolvere un compito preciso: la funzione del diversivo. Sotto due punti di vista, il diversivo appare fondamentale.

In primo luogo, ci impedisce di concentrare l’attenzione sul tema centrale del Recovery Plan, ovvero la sua condizionalità. Stiamo accettando poche briciole dalle istituzioni europee, risorse che non basterebbero per pagare i ristori alle botteghe chiuse lo scorso mese – come ci dimostra la vicenda dei Decreti Sostegni –, in cambio di un impegno di lungo periodo ad abbassare il debito pubblico, un vincolo che ci impedirà, già domani, di sostenere la ripresa post-pandemica e porterà a compimento l’operazione di smantellamento dello stato sociale avviata più di trent’anni fa.

Crediamo di ricevere un regalo, ma ci stiamo scavando la fossa con le nostre mani. Il secondo compito di questa mossa Kansas City è quello di focalizzare l’attenzione sul piatto piccolo, le briciole del Recovery, mentre Confindustria e i grandi interessi padronali, dai palazzinari alle banche, dalle multinazionali ai padroncini si spartiscono le ben più consistenti risorse che da oltre un anno – da ultimo con il Decreti Sostegni bis – il Governo è costretto a mettere in campo per porre un argine alla caduta dell’attività economica.

La parte della vittima, che guarda a destra mentre il sicario colpisce da sinistra, sembra ritagliata apposta per i lavoratori, i precari, i giovani, i disoccupati e tutti quelli che pagano la crisi ogni giorno, mentre il Governo indica l’imminente ripresa economica trainata dal Recovery Plan. Se attenderanno il fiume di denaro promesso dall’Europa per rialzare la testa, il loro destino sarà segnato, perché quei soldi – se pure dovessero arrivare – saranno pochi e arriveranno tardi. Questa, dunque, è la funzione del Recovery Plan: impedire che si pretenda subito, oggi, quello che l’Europa sa solo promettere domani; impedire che si combatta subito, oggi, per lavoro e dignità.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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