Le sistematiche rivendicazioni giovanili in diverse parti del continente tese a sostituire l’intera classe politica suggeriscono che nelle società africane la creazione di ineguaglianza si dispiega sull’asse generazionale. Non è infatti un caso che anche nella politica istituzionale si parli di big men e small boys

Le rivolte dei giovani africani, così come vengono raccontate da loro stessi e dai media, mirano quasi in ogni occasione a invertire il processo di declino del Paese ed estirpare la corruzione all’interno della classe dirigente, accusata di perpetrare una “politique du ventre” (politica della pancia), espressione camerunense resa celebre da un testo di Jean-François Bayart, ovvero di “mangiarsi” i fondi pubblici per i propri interessi personali.

È il caso delle recenti proteste in Senegal, dove il presidente Macky Sall è stato accusato di perpetrare arresti politici per rimanere in carica. Anche in Nigeria il movimento End Sars, dopo lo scioglimento del corpo di polizia speciale, ha chiesto le dimissioni in blocco del governo. O del Ghana, dove il NPP (New Patriotic Party) ha staccato di pochi punti percentuali il NDC (National Democratic Congress) in un’elezione contestatissima, riconfermandosi al governo.

Quello che ci sembra interessante è che la classe dirigente può essere formata in larga parte da anziani che, da giovani, avevano preso parte alle lotte per l’indipendenza e la democrazia (come nel caso del colpo di Stato in Gambia nel 1994) e se è ovviamente possibile che queste particolari generazioni abbiano tradito gli ideali per cui hanno combattuto, le sistematiche rivendicazioni giovanili in diverse parti del continente tese a sostituire l’intera classe politica forse suggeriscono anche qualcos’altro: la creazione di ineguaglianza sull’asse generazionale nelle società africane; non è infatti un caso che anche nella politica istituzionale si parli di big men e small boys.

Essere small boys, essere giovani significa essere dipendenti, in particolare dalla famiglia, e «la dipendenza non è un elemento puramente accessorio nei rapporti familiari e di parentela; la dipendenza è il contenuto stesso del rapporto che lega una persona al suo ambito familiare.

Dietro le relazioni di dipendenza personale si cela e agisce una logica del “debito infinito” che lega e subordina la persona al suo gruppo di appartenenza, cioè al gruppo di cui fa parte e al quale appartiene» (F. Viti, Schiavi, Servi, Dipendenti, p.189).

Inoltre «le ragazze e i ragazzi sono considerati interpreti inadeguati della consuetudine, gestori poco capaci di risorse finanziarie, tessitori mediocri di relazioni sociali, politiche e giudiziarie. La loro inadeguatezza li esclude da ambiti decisionali importanti gestiti dagli anziani che possiedono le competenze per affrontare nel modo più appropriato tali questioni. Al valore sociale si affianca quello economico. Il controllo dei diritti agricoli, della piccola imprenditoria artigianale e delle attività più redditizie, […] permette agli anziani di mantenere un controllo sulle risorse che costringe i giovani ad attivarsi in attività che prevedono compensi più incerti e limitati» (S. Boni, La Struttura della Disuguaglianza, p.122). Il ruolo centrale dell’anzianità nella produzione e riproduzione dell’organizzazione sociale, con le sue ineguaglianze intergenerazionali crea quindi le condizioni per frustrazioni e rivendicazioni ed è verosimile che i giovani che prevedono di non ottenere incarichi di qualunque tipo, interpretino questa limitazione e la propria esigenza di promozione in termini generazionali, con i quali legittimano il conflitto.

Il proverbio citato in apertura viene utilizzato a Kwahu Tafo, in Ghana, per ricordare ai giovani che la maggiore forza fisica non basta a “superare” lo status degli anziani nella sfera pubblica; essi hanno infatti dalla loro saggezza e lungimiranza, caratteristiche considerate fondamentali per deliberare su questioni collettive.

Il fatto che negli stati dove il processo d’industrializzazione abbia raggiunto la maturità gli anziani godano di uno status sociale inferiore rispetto a quelli definiti non industriali o in via di sviluppo, ha sgonfiato l’interesse per il rapporto di questi con l’autoritàe il potere, considerandolo alla stregua di una “sopravvivenza”. Ma questo assunto va smentito: il controllo del potere da parte degli anziani non va ricondotto né alle strutturazioni sociali delle società non industriali, né a tradizioni precoloniali, ma a precisi processi storici nei quali questi hanno avuto la meglio nella competizione politica, economica e sociale. Infatti, come afferma Terence Ranger ne L’invenzione della tradizione, in alcuni paesi africani «dove la dinamica competitiva dell’Ottocento aveva offerto ai giovani molte occasioni di costruirsi basi autonome di influenza economica, sociale e politica, il colonialismo si accompagnò all’imposizione del controllo degli anziani sull’assegnazione della terra, sulle transazioni matrimoniali e sulle cariche politiche. Queste piccole gerontocrazie sono un aspetto caratteristico del secolo XX, più che del XIX».

La generazione è dunque uno dei principi strutturanti di diverse società africane, nelle quali le diverse “età” sono divise politicamente e socialmente anche se è importante sottolineare come le donne siano spesso escluse dai processi di accesso a posizioni di potere attraverso l’età, rendendo la storia delle generazioni e dei conflitti generazionali altrettanto spesso una storia maschile.

Queste divisioni permettono da un lato la produzione e riproduzione del potere di una particolare classe d’etàe dall’altro aumentano la frustrazione delle classi escluse per il limitato accesso alle sfere e ai momenti decisionali. Ciò che rende la generazione fondamentale per il controllo del potere è la sua doppia funzione: da una parte, nel suo senso genealogico, come trasmissione di capitali economici, sociali e simbolici; dall’altra, se pensata come coorte, come sistema di accesso ai ruoli cardine nella sfera pubblica, in particolare in quella tradizionale, importante tanto quanto quello statale. Non a caso in rapporto agli stati africani si parla di “mondo biforcuto”, per mettere a fuoco la distinzione tra potere civico (inteso come potere delle istituzioni dello stato-nazione) e potere tradizionale, nel quale il sistema generazionale è estremamente inciviso. Dunque tenere conto della linea generazionale (insieme alle altre linee di disuguaglianza) ci sembra fondamentale per provare a capire il malcontento dei giovani africani e che troppo spesso viene associato a una vaga “lotta per i diritti umani”.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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