Il 26 maggio si sono svolte in Siria le elezioni presidenziali, che per la quarta volta consecutiva hanno visto la vittoria di Bashar al-Assad, leader del Paese dal 17 luglio 2000. Oltre al presidente in carica, rappresentante del Partito Ba’th Socialista Arabo (Hizb Al-Ba’ath Al-‘Arabi Al-Ishtiraki), gli altri pretendenti al titolo di capo di Stato erano il leader dell’opposizione Mahmoud Ahmad Marei, dell’Unione Araba Socialista Democratica (Al-ittiḥād al-ishtirākī al-‘arabī al-dīmūqrāṭī), e l’ex ministro Abdullah Sallum Abdullah, del Partito degli Unionisti Socialisti (Al-Wahdawiyyun Al-Ishtirakiyyun).

Il presidente del Consiglio del popolo siriano Hammouda Sabbagh ha annunciato i risultati poco dopo la chiusura delle urne: “L’attuale presidente Bashar al-Assad ha vinto le elezioni, assicurandosi il sostegno del 95,1% degli elettori“, ha affermato Sabbagh nel corso di una conferenza stampa ufficiale trasmessa dalla televisione siriana. Gli altri candidati, Marei ed Abdullah, hanno collezionato rispettivamente il 3,3% e l’1,5% dei voti. Secondo i dati sciorinati da Sabbagh, l’affluenza alle urne è stata del 78%, con oltre 14 milioni di cittadini hanno preso parte alle elezioni, un risultato “che ha superato ogni aspettativa“. “I siriani hanno dimostrato di essere determinati a resistere a sfide pericolose e hanno scritto un’altra pagina gloriosa nella storia del loro Paese“, ha aggiunto il presidente del Consiglio del popolo.

In questo modo, Assad si è assicurato un quarto mandato settennale consecutivo, che gli permetterà di conservare il potere fino al 2028. Suo padre, Hafez al-Assad, aveva invece ottenuto cinque mandati, ma era morto all’inizio del suo quinto mandato, dopo aver passato 29 anni alla presidenza della Siria.

Naturalmente, contro lo svolgimento delle elezioni siriane si sono levate le solite voci delle potenze imperialiste occidentali, che avevano già decretato la non validità del processo elettorale prima ancora che questo avesse luogo. Questi stessi imperialisti, tuttavia, dimenticano che, se la Siria oggi si trova nel bel mezzo di un conflitto armato che dura da dieci anni e di una grave crisi economica, la responsabilità è soprattutto la loro.

Assad ha lanciato la propria campagna elettorale con lo slogan “la speranza attraverso il lavoro“, evocando il processo di ricostruzione economica e materiale del Paese dopo la devastazione causata dalla guerra voluta dal governo degli Stati Uniti e dai suoi vassalli europei. Il conflitto, che aveva come obiettivo quello di far cadere il presidente ba’thista, ha invece avuto l’effetto opposto, rafforzando lo stesso Assad che, nonostante le grandi difficoltà, è riuscito a preservare il controllo e l’unità del Paese. Lo stesso presidente ha fatto grandi concessioni negli ultimi tempi, emettendo, nel mese di maggio, un’amnistia generale per migliaia di prigionieri, in aggiunta a una serie di decreti che mirano a migliorare le condizioni economiche.

Inoltre, va ricordato che, con le modifiche costituzionali del 2012, Assad ha promosso una riforma di democratizzazione del processo elettorale, che in precedenza si svolgeva sotto forma di referendum sul capo di Stato in carica. I Paesi imperialisti, al contrario, non hanno fatto altro che tentare di boicottare le elezioni siriane. A causa della guerra, molti cittadini del Paese mediorientale non hanno potuto votare, soprattutto nel 2014, quando tutta la metà nordorientale del territorio siriano era ancora sotto il controllo delle forze jihadiste foraggiate dalle potenze straniere. Anche quest’anno, alcuni Paesi occidentali (Canada, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito e Stati Uniti) ed altri Paesi loro alleati (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti) non hanno permesso ai residenti siriani di esprimere il proprio voto presso le ambasciate, privando queste persone del proprio diritto di voto. Gli Stati Uniti, poi, con un atto di preveggenza, avevano dichiarato illegittime le elezioni siriane addirittura a metà marzo, due mesi prima dello svolgimento delle stesse.

Naturalmente, gli stessi che hanno boicottato e tentato di delegittimare le elezioni siriane avrebbero sbraitato in maniera ancor più virulenta se Assad avesse deciso di annullare le elezioni. Vale la pena di ricordare che nel 2014, ad esempio, emerse tutta l’ipocrisia dell’allora ministro degli Esteri britannico William Hague, secondo il quale “questa elezione non ha niente a che fare con la democrazia genuina. Si è svolta nel bel mezzo della guerra civile”. Guerra civile che i conservatori britannici, di cui Hague fa parte, hanno contribuito a scatenare proprio mentre Hague era ministro del governo di David Cameron.

In quanto Stato, non ci interessa affatto di tali dichiarazioni“, ha dichiarato Assad in risposta alle rimostranze provenienti dai governi occidentali. “Ma più importante di ciò che il governo dice o non dice è ciò che dice il popolo. Penso che sia quello che abbiamo visto nelle ultime settimane. È una risposta chiara a tutte quelle persone e dice loro che il valore delle loro opinioni è pari a zero”.

Nulla avrebbe impedito alle potenze occidentali di inviare i propri osservatori a monitorare le elezioni, come hanno fatto Russia, Cina e Iran. Al contrario, hanno fatto di tutto per mettere i bastoni fra le ruote del processo elettorale, per poi gridare allo scandalo a causa delle complicazioni causate da loro stessi e dai loro alleati all’interno ed all’esterno del Paese.

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Giulio Chinappi – World Politics Blog

Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

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