Il 6 giugno è stata un’importante giornata elettorale per il Messico, dove si è votato sia per il rinnovo della Camera dei Deputati federale, composta da cinquecento seggi, che per i governatori in quindici delle trentadue entità federate che compongono gli Stati Uniti Messicani.

Per quanto riguarda la Camera dei Deputati, la legge elettorale messicana prevede un sistema misto, con 300 seggi che vengono attribuiti su base distrettuale e 200 che invece vengono distribuiti con il metodo proporzionale su base nazionale. 

Ad uscire vincitore è stato il partito del presidente Andrés Manuel López Obrador, il Movimiento Regeneración Nacional (Morena), che si conferma prima forza politica del Paese. Morena ha infatti ottenuto il 34,09% dei consensi, con una piccola flessione rispetto al 37,16% ottenuto tre anni fa, ma mantiene un ampio margine sulle forze avversarie. Ciò ha poi permesso al partito del presidente di ottenere 123 dei 300 seggi distribuiti su base distrettuale, diciassette in più rispetto alle ultime elezioni, dato che dovrebbe compensare la perdita di qualche seggio tra quelli distribuiti con il proporzionale, i cui numeri non sono ancora stati ufficializzati. Per il momento, si stima che in totale Morena disporrà di un numero di deputati tra i 190 ed i 203.

Morena potrà poi contare sull’appoggio di due partiti alleati all’interno della coalizione di sinistra Juntos Hacemos Historia, gli ecologisti del Partido Verde Ecologista de México (PVEM), che si sono assicurati 31 seggi, con un netto incremento rispetto ai cinque di tre anni fa, ed i socialisti del Partido del Trabajo (PT) che, pur ottenendo il 3,24%, si sono già assicurati ben 32 deputati. Questo significa che, fin da ora, la coalizione di governo può contare su 185 deputati sui 300 seggi già attribuiti, e verosimilmente non dovrebbe avere problemi mantenere la maggioranza dell’emiciclo della camera bassa federale. Le proiezioni parlano infatti di un totale di 298 seggi su 500 per la coalizione governativa.

A destra troviamo invece la coalizione Va por México, composta da tre formazioni: Partido Revolucionario Institucional (PRI), Partido Acción Nacional (PAN) e Partido de la Revolución Democrática (PRD). Il PRI, che ha governato il Messico ininterrottamente dal 1928 al 2000, e poi nuovamente dal 2012 al 2018 con la presidenza di Enrique Peña Nieto, si trova invece a dover fare i conti con l’amara realtà di non essere più il primo partito neppure all’interno della sua coalizione. Tra le compagini di destra, è infatti il PAN a guidare con il 18,24% e 70 seggi, mentre il PRI si è dovuto accontentare di soli 30 scranni, pur raggiungendo il 17,73% su scala nazionale. Il PRD, invece, si ferma a quota sette seggi, per un totale di 107 deputati eletti dalla coalizione di centro-destra.

Tra le forze esterne alle due coalizioni principali, l’unica ad assicurarsi dei posti alla camera bassa è stato il Movimiento Ciudadano, formazione socialdemocratica che ha rifiutato qualsiasi tipo di alleanza, dopo aver flirtato sia con López Obrado che con il PAN negli anni passati. Con il 7,01%, ha ottenuto al momento sette seggi.

Morena ed i partiti alleati hanno conquistato ottimi risultati anche nei quindici Stati che andavano al voto. La compagine che fa capo a López Obrador, in particolare, si è imposta in ben undici Stati, un risultato che va anche oltre le aspettative se si pensa che solo uno dei quindici governatori uscenti proveniva da Morena, quello della Baja California, dove a Jaime Bonilla Valdez è succeduta la compagna di partito Marina del Pilar Ávila Olmeda. Per il resto, la sinistra è riuscita a strappare ben undici Stati alla destra, dieci con i candidati di Morena ed uno, lo Stato di San Luis Potosí, con un candidato ecologista del PVEM, Ricardo Gallardo.

Il grande sconfitto è ancora il PRI, che perde tutti gli otto Stati che precedentemente governava, mentre il PAN riesce a limitare i danni, perdendo la Baja California Sur ed il Nayarit a vantaggio di Morena, ma mantenendo il governo dello Stato di Chihuahua e di quello di Querétaro.

Da segnalare anche la vittoria del Movimiento Ciudadano nello Stato di Nuevo León, che precedentemente era governato dall’indipendente Jaime Rodríguez Calderón. Il vincitore, Samuel García, è stato tuttavia accusato dal tribunale elettorale di violenze di genere ai danni della candidata Clara Luz Flores, ed è stato obbligato a scusarsi pubblicamente e a prendere parte ad un corso sulla violenza di genere. Per il Movimiento Ciudadano quello di Nuevo León va ad aggiungersi allo Stato di Jalisco, che il partito attualmente governa grazie alla vittoria ottenuta nel 2018 da Enrique Alfaro Ramírez.

Il presidente López Obrador ha commentato positivamente sia lo svolgimento delle elezioni, che non hanno fatto registrare particolari incidenti, che i risultati ottenuti dal suo partito e dalla coalizione di sinistra Juntos Hacemos Historia. “Sono molto grato perché, a seguito di queste elezioni, i partiti che simpatizzano con il progetto di trasformazione avranno la maggioranza a San Lázaro [sede della Camera dei Deputati, ndr] e questo significa avere un budget garantito per i più poveri, per ragazze e ragazzi con disabilità, per 11 milioni di studenti poveri, perché le medicine siano gratis, perché l’istruzione continui ad essere un diritto e non diventi mai più un privilegio come prima”, ha affermato.

Anche il Gruppo di Puebla, composto da politici e intellettuali progressisti di tutta l’America Latina, ha salutato il successo di Morena e dei partiti di sinistra attraverso un comunicato: “Chiediamo alle forze progressiste e di centrosinistra di avanzare nella trasformazione dell’unità e affrontare questo nuovo periodo politico in Messico, segnato dalle gravi conseguenze locali e internazionali del Covid-19“, si legge nel testo. Il Messico è infatti stato duramente colpito dalla pandemia, con oltre 2,4 milioni di casi positivi e più di 230.000 morti. Questo dato contribuisce a spiegare il calo dell’affluenza alle urne, pari al 52,7%, quasi undici punti in meno rispetto a tre anni fa, oltre al fatto che in quell’occasione si votava anche per le presidenziali.

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Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

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