Parlare di Iran è sempre molto complicato, in quanto difficile è assumere una posizione netta sulla Repubblica Islamica. Da un lato, infatti, l’Iran rappresenta uno dei principali oppositori all’egemonia imperialista statunitense su scala internazionale; dall’altro, si tratta pur sempre di un Paese teocratico retto da un regime che non ha lesinato persecuzioni nei confronti degli oppositori politici, soprattutto comunisti. È proprio per questo che il Partito Iraniano del Tūdeh (Ḥezb-e Tūdeh-ye Īrān), forza comunista fondata nel 1941, oggi ha le proprie sedi tra Londra e Berlino, in seguito alle lunghe e sanguinose repressioni da parte del regime degli ayatollah che hanno costretto alla fuga molti oppositori politici.

Il Partito Iraniano del Tūdeh ha sempre mantenuto una posizione di difesa dell’Iran dagli attacchi degli imperialisti statunitensi e dei sinionisti israeliani, ma allo stesso tempo resta fortemente critico nei confronti della teocrazia iraniana. Le elezioni presidenziali del 18 giugno, sono state l’occasione per reiterare questa posizione, soprattutto in occasione di un confronto elettorale dall’esito quasi scontato. Alla fine, infatti, sono solo quattro i candidati che si sono presentati alle urne, a causa di esclusioni e rinunce più o meno forzate, ed il solo Ebrahim Raisi aveva possibilità di vittoria.

Le forze progressiste e in cerca di libertà e la maggioranza della popolazione del Paese sono giunte alla comprensione comune che la struttura macropolitica che governa l’Iran – il regime teocratico dell’Iran – una struttura immutabile”, scriveva il Comitato Centrale del partito comunista iraniano pochi giorni prima della scadenza elettorale. “L’aspettativa di tenere “libere elezioni” sotto l’attuale regime dispotico, come ha dimostrato l’esperienza degli ultimi anni, è vuota e del tutto incompatibile con la natura e la funzione di questo regime. Nell’attuale situazione in Iran, dire “NO” alla tirannia è possibile solo rifiutandosi di partecipare all’attuale farsa della campagna presidenziale”.

In effetti, le elezioni presidenziali di quest’anno hanno fatto segnare un netto calo della partecipazione popolare, che si è attestata sul 48,78%. Questo vuol dire che più della metà degli oltre 59 milioni di aventi diritto ha deciso che non valeva la pena scomodarsi per partecipare ad una competizione viziata in partenza. L’unico che avrebbe potuto impensierire Raisi era l’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad, in carica dal 2005 al 2013. Tuttavia, la sua candidatura è stata respinta per la seconda volta consecutiva senza valide motivazioni. L’assenza di una valida alternativa a Raisi, che dalla sua ha avuto il sostegno attivo dell’ayatollah ʿAlī Khāmeneī, ha contribuito a far registrare la più bassa affluenza alle urne degli ultimi 42 anni.

Proprio Raisi, oltretutto, è uno dei grandi responsabili delle persecuzioni politiche del 1988, in cui migliaia di oppositori della teocrazia, tra cui molti comunisti, furono giustiziati, mentre moltissimi altri furono costretti a fuggire all’estero. Raisi era infatti uno dei membri del cosiddetto “comitato della morte”, che condannava gli oppositori politici dopo processi a dir poco sommari. Secondo le stime, il “comitato della morte” avrebbe condannato alla pena capitale tra le 8.000 e le 30.000 persone.

Il nostro Partito ha sempre creduto che il regime teocratico non possa essere riformato e che l’unico modo per cambiare le attuali deplorevoli condizioni del Paese sia combattere insieme e in modo organizzato sulla base di una piattaforma comune”, scrivono ancora i leader del Tūdeh sulla situazione politica dell’Iran. “I leader della Repubblica Islamica dell’Iran sono ben consapevoli che la nostra società è sull’orlo di sviluppi significativi e potenzialmente decisivi a causa delle crescenti pressioni economiche, dell’insoddisfazione e dell’odio senza precedenti nei confronti di varie istituzioni del governo. L’unico modo per contrastare i piani del regime islamista è attraverso il movimento consapevole e organizzato di un ampio spettro di forze sociali – da lavoratori e contadini a pensionati, insegnanti, infermieri e altri lavoratori, donne, giovani e studenti, e forze politiche nazionali e progressiste del Paese”.

Per la cronaca, Raisi, proveniente dall’Associazione dei Chierici Militanti (Jame’e-ye Rowḥāniyat-e Mobārez), ha ottenuto il 72,38% delle preferenze, precedendo nettamente Mohsen Rezaee (13,78%), del Fronte di Resistenza dell’Iran Islamico. Gli altri due candidati erano Abdolnaser Hemmati (9,80%), del Partito dei Quadri della Costruzione (Kargozaran-e Sazandegi-e Iran), e Amir-Hossein Ghazizadeh Hashemi (4,04%), del Partito della Legge Islamica.

Con la nomina di Ebrahim Raisi al posto di Hassan Rouhani, la natura dittatoriale di questo governo religioso-capitalista non è cambiata e non cambierà radicalmente”, hanno commentato i comunisti iraniani dopo la pubblicazione dei risultati. “Indubbiamente, il successo del boicottaggio e la mancata partecipazione della maggioranza del popolo […] rappresentano un grande e vittorioso passo contro la dittatura al potere, e sono un chiaro segno della drammatica riduzione della base sociale del regime e dell’aumento della distanza del popolo dal governo, che sarà ancora maggiore durante il mandato di Ebrahim Raisi”.

Il regime teocratico iraniano non muterà dunque la sua natura nel corso della presidenza Raisi, uomo scelto direttamente dalla Guida Suprema e, secondo molti, candidato addirittura alla successione dell’ormai ottantaduenne ayatollah Khāmeneī. L’Iran resterà comunque un fiero oppositore dell’imperialismo statunitense in politica estera: Raisi, che succederà ufficialmente ad Hassan Rouhani il prossimo 3 agosto, ha già rifiutato di incontrare il presidente Joe Biden, chiedendo la revoca delle sanzioni imposte da Washington al suo Paese. Secondo il futuro capo di Stato iraniano, gli Stati Uniti dovrebbero revocare tutte le sanzioni e mantenere le promesse stipulate con l’accordo sul nucleare del 2015, che Donald Trump ha successivamente abbandonato unilateralmente: “Diciamo agli Stati Uniti che devono revocare tutte le sanzioni e devono tornare indietro e adempiere ai propri obblighi; gli europei non devono lasciarsi influenzare dalle pressioni americane e devono agire secondo quanto hanno promesso. Questa è la richiesta della nazione iraniana”, ha dichiarato Raisi in conferenza stampa. “La nostra politica estera non si limiterà all’accordo nucleare del 2015, avremo interazioni con il mondo“, ha ancora aggiunto il futuro presidente.

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Giulio Chinappi – World Politics Blog

Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

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