Giacomo Pellini

Parla l’ex portavoce del Genoa Social Forum (GsF): Con i fatti del carcere di Santa Maria Capua Vetere si ripropone il problema di riformare le forze dell’ordine. Servono subito i codici identificativi. E una rete globale per la giustizia vaccinale.

Intervista a cura di Giacomo Pellini e Tom Dacre

Agnoletto, sono passati vent’anni dal G8 di Genova, dalla morte di Carlo Giuliani e dai tragici eventi dell’estate del 2001 che videro la repressione del movimento noglobal, poi il suo arretramento e infine la sua dissoluzione. A chi ne attribuisce le responsabilità?

Una precisazione innanzitutto: non siamo stati un movimento noglobal, ma siamo stati il movimento più globale che la storia umana abbia mai visto, il “movimento dei movimenti”. Un soggetto altermondialista, che contestava non la globalizzazione tout court, ma quella basata sul profitto, e che proponeva una globalizzazione alternativa basata sui diritti – pensi che ci battevamo per la libera circolazione delle persone. In Europa, il mondo politico, salvo limitate eccezioni, ha chiuso qualunque interlocuzione con il movimento.

Ma è stato dappertutto così?

Non è stato così dappertutto, questo è interessante. In America Latina le forze politiche della sinistra hanno aperto un dialogo con il movimento. E questo ha contribuito alla nascita di quei dieci anni di governi progressisti che in quello che all’epoca era chiamato il “cortile di casa degli Stati Uniti” hanno cambiato la vita di milioni di persone.

La povertà è ancora molto diffusa in America Latina e molte politiche si sono rivelate poco efficaci.

Si può essere più o meno d’accordo con le singole scelte fatte in quegli anni dal Brasile di Lula, dalla Bolivia di Morales e via dicendo. Ma non c’è dubbio che questi abbiano sottratto alla miseria decine di milioni di persone. E quello fu dovuto all’incontro tra il grande movimento dei Forum sociali e una politica progressista che si metteva in discussione.

E in Europa invece?

Questo non è avvenuto in Europa. Nel Vecchio continente la chiusura è stata totale, sia nei confronti del movimento che nei confronti di quei magistrati che, compiendo il loro lavoro, hanno cercando di praticare verità e giustizia e si sono trovati abbandonati e sotto il mirino della politica. Non a caso, la Commissione parlamentare sul G8 tanto promessa non venne infine realizzata.

Ma il clima è cambiato, quelle cose sarebbero impossibili ai giorni nostri. Non lo pensa?

Sono passati vent’anni e abbiamo di fronte le vicende del carcere di Santa Maria Capua Vetere. E questo ci dice una cosa molto semplice: che i temi che allora sollevavamo anche in questo campo sono tutt’altro che risolti. È impossibile continuare a parlare di mele marce, quando ci sono decine e decine di persone messe sotto accusa da parte dei magistrati. Questa inchiesta è partita ad un anno dagli eventi in questione poiché tutta la catena di comando del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) è stata zitta e ha praticato l’omertà. Anzi, se non fosse stato per i parenti dei detenuti e per chi ha fatto uscire i filmati, non sarebbe successo nulla. Siamo di fronte non a mele marce, ma a delle strutture che vanno riformate dalla testa ai piedi.

E a Genova la dinamica è stata simile?

Di solito si parla sempre di nomi quando si indicano persone che si sono comportate male. Adesso, invece, vi faccio due nomi di persone che si sono comportate bene: Marco Poggi e Ivano Pratissoli, due infermieri penitenziari di Bologna, che nel 2001 assisterono alla mattanza di Bolzaneto. Quando tutto finisce tornano a Bologna, per due notti non riescono a dormire perché hanno gli incubi. Allora tornano a Genova per raccontare ai magistrati quello che hanno visto nella caserma genovese – le torture. Così i magistrati aprono le inchieste su quello che era accaduto: non lo avevano ancora fatto perché giudicavano le testimonianze dei ragazzi torturati inattendibili perché troppo incredibili. Ma si convincono a procedere quando vedono che i racconti degli infermieri coincidono con quanto detto dai manifestanti.

E poi che successe?

Bene, quei due infermieri avrebbero dovuto diventare degli eroi del DAP. Ricevere medagli, encomi, essere portati come esempio ai loro colleghi. Ma non successe nulla di tutto ciò. Anzi. Marco e Ivano incontrarono una commissione interna al Dap che li trattò come fossero colpevoli di non aver difeso il buon nome dell’amministrazione penitenziaria. Entrambi gli infermieri bolognesi persero il lavoro, mentre chi commise i pestaggi rimase interno all’amministrazione penitenziaria. Si deve cominciare da qui: dal fatto che i vertici decisero di tutelare chi commise i reati e misero in condizione di difficoltà coloro che difesero onestamente il Paese seguendo i principi di verità e giustizia.

Quindi la responsabilità non è dei singoli ma proprio dei vertici. Intende questo giusto?

Se queste istituzioni – come Polizia e Carabinieri, che secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si sono rifiutate di collaborare con l’azione della magistratura – non sono state modificate, se percorsi di formazione e reclutamento non sono stati riformati, allora c’è poco da meravigliarsi di fronte a quello che accadde. Com’è possibile che siano proprio i vertici di queste istituzioni a rifiutare ciò che in tutta Europa è considerato normale, ossia la presenza del codice identificativo nella divisa. Questo permetterebbe in primis ai vertici di identificare chi dei loro sottoposti si sia comportato male. Qualunque direttore di azienda sarebbe felice di poter avere uno strumento per capire chi dei suoi dipendenti si comporti male. Se non vogliono questo strumento vuol dire che loro sono i primi a sapere che il marcio è fortemente diffuso dalla testa ai piedi.

Oltre alla repressione fisica, nel suo libro “L’eclisse della democrazia” sostiene che il movimento fu oggetto anche di “criminalizzazione mediatica preventiva”. Che cosa intende esattamente?

Non dimentichiamo che le settimane prima di Genova, il movimento da solo raccolse 150 mila firme per una proposta di legge che si chiamava Tobin tax per inserire una tassa sulle speculazioni finanziarie. Noi parlavamo di contenuti, mentre i media rispondevano cercando di screditarci usando le veline false preparate dai servizi segreti.

Cosa dicevano?

Hanno scritto e raccontato che noi avremmo affittato degli aerei per lanciare del sangue infetto con il virus dell’aids contro le forze dell’ordine – io li presi in giro, rispondendo loro che nemmeno sapevano che il virus a contatto con l’aria sarebbe diventato inattivo. Dicevano che avremmo lanciato copertoni chiodati nei vicoli di Genova, che avremmo rapito poliziotti usandoli come scudi umani. Per non parlare dei giorni seguenti: gran parte della stampa sosteneva la tesi del governo Berlusconi di dichiarare il Gsf come Associazione sovversiva. E lo chiesero addirittura ai magistrati. Fortunatamente in Italia la giustizia è indipendente, e nessun giudice o pubblico ministero si rese disponibile a firmare la criminalizzazione del movimento.

La magistratura, nel complesso, fece il suo lavoro?

La magistratura andò avanti a fare le sue inchieste, fino alle sentenze della Diaz e di Bolzaneto, che videro la condanna di decine e decine di membri delle forze dell’ordine.  Ma nessuno di costoro ha mai fatto un giorno di galera, e mentre i magistrati inquisivano e condannavano, i governi che si sono susseguiti permettevano che queste persone fossero promosse ai livelli più alti. Questo nonostante molti paesi dell’Unione europea prevedano la sospensione immediata dall’incarico dei rappresentanti delle forze dell’ordine messi sotto accusa dai magistrati, e la loro radiazione in caso di condanna. Questo in Italia non è mai avvenuto.

Forse anche grazie alla politica?

I dirigenti di polizia che hanno poi abbandonato il loro ruolo sono stati obbligati a farlo solo dalla sentenza di Cassazione di magistrati. La politica non fece nulla.

Pensa che oggi serva un’ampia alleanza altermondialista come quella di allora?

C’è la necessità di costruire la rete delle reti, il movimento dei movimenti. Il liberismo punta a dividere, è una logica banale di chi ha il potere. E nel momento in cui anche l’organizzazione del lavoro viene parcellizzata, il contratto nazionale ha sempre meno peso, si sviluppano decine e decine di altri tipi di contratti, si sviluppa il lavoro nero e precario, le forme dell’organizzazione sociale risentono molto di questa parcellizzazione. E di conseguenza diventa difficile costruire reti e lavorare insieme. Ma questo è l’obiettivo, dobbiamo unire lavoratori e consumatori. Perché anche nel momento del consumo si gioca un momento molto importante, O si riducono e modificano i consumi o andremo sempre avanti a depredare il pianeta. Ma i consumatori organizzati possono avere un ruolo importante per condizionare le politiche economiche.

Mi può fare un esempio?

Anche la pandemia ci manda questo messaggio, basta vedere il caso dei vaccini: o saranno disponibili per tutto il Mondo in tempi brevi, oppure nelle zone del mondo dove non saranno disponibili i vaccini si diffonderanno delle varianti virali molto aggressive. Che poi si diffonderanno in tutto il mondo arrivando anche in Europa e negli Stati Uniti. Ma noi non sappiamo oggi se i vaccini di cui disporremo saranno in grado di bloccare le nuove varianti. Mai come in questo momento si coglie che il destino dell’umanità è unico, nessuno può salvarsi da solo. C’è la necessità di riorganizzare i movimenti.

Quale fu allora il rapporto con la politica e quali le conseguenze?

La chiusura politica verso questo movimento, l’incapacità e la scelta del centrosinistra a livello europeo ed italiano di non colloquiare con questo movimento e, a maggior ragione, la sua scommessa di dominare e governare la globalizzazione liberista ha prodotto questa situazione. Il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale del commercio era un ex parlamentare socialista belga, non certo un estremista di destra. Il centrosinistra e la destra hanno sposato l’idea che il mercato da solo fosse in grado di costruire giustizia sociale.  Ma questa si è rivelata una falsità.

Nel corso di questi ultimi dieci anni l’Europa e il mondo hanno visto un exploit dei movimenti sovranisti di estrema destra, molto influenti in alcuni Paesi, addirittura al governo in altri. Pensa che se quella vasta alleanza che nacque tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 fosse sopravvissuta alla mattanza genovese, sarebbe riuscita a contenere le spinte dell’ultradestra?

Nel momento in cui questo modello di sviluppo aumenta le distanze sociali e il numero dei poveri, o c’è un’alternativa collettiva – in grado di mostrare a chi sta in basso nella piramide sociale che mettendosi insieme si può cambiare: ”lottiamo perché io stia meglio insieme a te” – o scatta l’egoismo individuale e sociale. Che in poche parole significa questo: io ce la faccio se ti do un calcio negli stinchi o se salgo sulle tue spalle, mors tua vita mea. Ed ecco il trionfo dei populismi e dei nazionalismi, che si basano sulla sconfitta e sull’isolamento del movimento. E il mondo politico di centrosinistra che oggi lancia l’allarme contro i sovranismi, ne ha una responsabilità enorme. D’altra parte è la storia umana che lo dice: di fronte a una ingiustizia, chi sta sotto o ha una speranza di cambiare con i suoi simili oppure prova ad entrare nel gruppo dei potenti. I populismi raccolgono consenso nelle singole nazioni, ma non sono in grado di prefigurare un’alternativa complessiva. La logica del nazionalismo è: ogni nazione per contro proprio, prima e davanti alle altre; in questo modo non possono che nascere conflitti. Dove quei movimenti sono stati ascoltati quelle forme di nazionalismo non si sono sviluppate – vedi l’America Latina.

Secondo lei quale può essere uno slogan adatto al movimento altermondialista degli anni venti del XX secolo?

Venti anni fa dicevamo che “Un altro mondo è possibile”, oggi diciamo “un altro mondo è urgentemente necessario”. Se non modifichiamo questo modello di sviluppo, l’umanità rischia l’estinzione. Secondo Credit Suisse, nel 2021 poco più del 12% della popolazione mondiale controlla l’85% della ricchezza mondiale, mentre il 55% più povero possiede solamente l1,3%. Una diseguaglianza inaccettabile. Dopo vent’anni torniamo a Genova non per guardare indietro, ma per guardare avanti e cercare di costruire una grande coalizione europea e mondiale. Non è un caso che lo slogan che abbiamo scelto è “Voi la malattia. Noi la cura”.

http://www.sinistraineuropa.it/approfondimenti/g8-di-genova-agnoletto-lunica-alternativa-al-sovranismo-di-destra-e-il-movimento-altermondialista/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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