José Carlos Mariátegui e Pedro Castillo


Francesco Cecchini


Per José Carlos Mariátegui il marxismo doveva essere una teoría rivoluzionaria, che non fosse ni calco ni copia”, ma una creazione eroica.
Novantuno anni fa, Il 16 aprile 1930, moriva a Lima per osteomielite, processo infettivo che interessa simultaneamente le ossa ed il midollo, una malattia di cui soffriva fin da bambino, José Carlos Mariátegui . Aveva 36 anni, il suo pensiero e la sua azione sono ancora attuali, infatti è considerato tutt oggi a Cuba, in Bolivia, in Venezuela, in Colombia e in tutta America Latina, un riferimento essenziale da cui partire per la costruzione di una prospettiva storica per il socialismo del terzo millennio. Tutti coloro che hanno voluto e vogliono combattere per un radicale cambio politico e sociale e assaltare il cielo in Peru, hanno cercato di impadronirsi dell eredità teorica di Mariategui dal guevarista Luis de La Puente Uceda al trotskista Hugo Blanco al maoista Abigmael Guzman.
La divisione regionale, sociologica ed etnica del Perù espressa nei risultati delle scorse elezioni presidenziali sottolinea l’ attualità della riflessione di José Carlos Mariátegui, che ha sottolineato quasi un secolo fa che il Perù è un paese fratturato dalle divisioni prodotte dal suo dominio di classe. Così, oltre alla divisione tra campagna e città, la scarsa integrazione nazionale ha creato un divario che separa la costa, gli altopiani andini e la regione amazzonica. Nella sua analisi, l’ élite di Lima disprezzava profondamente l’ identità indigena, presente anche in settori urbani centrali. Ciò esprimeva la loro prospettiva borghese subordinata e l’ assenza di un progetto nazionale: “le borghesie nazionali, che vedono nella cooperazione con l’imperialismo la migliore fonte di profitto, si sentono sufficientemente padrone del potere politico da non preoccuparsi seriamente della sovranità nazionale”. Nella sua interpretazione, ciò indicava che non ci sarebbe stata una rivoluzione borghese in Perù, poiché non vi era alcun soggetto sociale interessato, e che quindi l’ unica alternativa concreta per la trasformazione sarebbe stata una rivoluzione socialista. A questo Mariátegui aggiunse la centralità della questione fondiaria,la necessità della riforma agraria e la liquidazione del latifondo, e quella indigena, profondamente intrecciata con la questione fondiaria. Per lui, ci potrebbe essere una rivoluzione socialista in Perù solo se gli indigeni fossero incorporati come parte fondamentale del soggetto rivoluzionario. Il neoeletto presidente del Perù, Pedro Castillo, è stato eletto con il Partito Perù Libre, che si definisce marxista-leninista-mariateguista e che come sinistra del campo esprime il Perù profondo. Perù Libre è effettivamente coerente con la proposta mariateguista ponendo al centro le istanze concrete dei contadini peruviani: riforma agraria, diritti sociali, educazione e salute. È anche profondamente mariateguista nella radicalità con cui ha sostenuto, fino ad ora, gli elementi centrali di questa agenda di protesta, non rinunciando alla loro difesa nemmeno nell’ ambito del secondo turno in cui aveva praticamente tutti i media e i principali partiti politici contro.
Una chiara posizione critica è stata espressa dai leader nazionali delle organizzazioni indigene in Perù di fronte al cosiddetto bicentenario dell’indipendenza della Repubblica del Perù. Il Gruppo di Lavoro sui Popoli Indigeni del Coordinamento Nazionale per i Diritti ha dichiarato: “Gli indigeni o nativi del Perù considerano che 200 anni dopo l’indipendenza del Paese dal giogo spagnolo, purtroppo, non abbiamo nulla da festeggiare”. Lo ha indicato il documento letto alla fine del convegno : 200 anni di esclusione: problemi e possibilità per le popolazioni indigene in Perù che si è svolto virtualmente lunedì 26 luglio.
Pedro Castillo il 28 luglio nel suo discorso d’ insediamento ha salutato in primo luogo i discendenti dei popoli originari del Perù preispanico, i fratelli Quechua, i fratelli Aymara, e gli afro-peruviani e le diverse comunità discendenti dai migranti; così come tutte le minoranze espropriate nelle campagne e nelle città. Ha detto che i popoli che abitavano queste terre cinquemila anni prima, avevano costruito le proprie culture e il proprio sviluppo sociale, rovesciati dalla divisione dei coloni. Così, ha alluso ai popoli indigeni, e alle forze che poi hanno costruito una società multiculturale e multietnica, ha fatto riferimento anche alle donne, al lavoro, alla storia e alla scienza, come un modo per evidenziare ciò che è il Perù di oggi. Così, ha evocato le origini e la continuità coloniale della nostra storia, sottolineando la crudeltà degli invasori. Nell’ affrontare i temi cardine del discorso, Castillo Terrones ha parlato della crisi economica, scagliandosi contro un “modello” che accumulava ricchezze e privilegi in poche mani, e fame e miseria nella maggior parte delle case peruviane.
Importante. Pedro Castillo ha dichiarato che non governerà dal Palazzo del Governo, che lascierà al nuovo Ministero delle Culture dichiarando: “In un Paese diversificato come il nostro, è necessario un ministero che riconosca le diverse culture, lingue in vigore ed esegua politiche in cui gli stessi popoli nativi partecipino alla loro elaborazione ed esecuzione. Bisogna interculturalizzare lo Stato per stabilire che quando vengano prese decisioni rilevanti, si tenga conto delle voci dei popoli e delle comunità indigene e del popolo afro-peruviano.”
Il compito storico di Pedro Castillo e del suo governo, oltre quello di abolire la costituzione del dittatore e criminale Alberto Fujimori, è quello di cancellare duecento anni di esclusioni e sfruttamento del popolo peruviano e di costruire un Perù democratico ed egualitario.

Copertine della rivista Amauta di José Carlos Mariátegui. Amauta in quechua significa Maestro. Pedro Castillo è un Amauta.

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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