Mentre la crisi climatica peggiora mese dopo mese, il ministro dimostra sempre più a quali gruppi di potere appartiene: la Transizione Ecologica diventa così una parola svuotata di significato

Il flusso mediatico a cui siamo sottoposti rischia di far sbiadire in fretta il ricordo dell’estate appena trascorsa. Eppure, sarebbe proprio il caso di fissare nella memoria quanto accaduto: le immagini terrificanti degli incendi ovunque, le temperature che hanno raggiunto livelli realmente preoccupanti, inondazioni devastanti in Cina e Nord Europa e la sensazione, generalizzata, di assistere a uno sconvolgimento profondo del clima.

Nel bel mezzo del periodo con i maggiori picchi di calore, cioè le prime settimane di agosto, l’IPCC ha emesso il suo report periodico sullo stato dei cambiamenti climatici ed è stato un’altra volta un report molto grave. Senza una drastica riduzione delle emissioni di CO2 – dice il Panel dell’ONU sul clima – non riusciremo a mantenere l’aumento della temperatura al di sotto di due gradi, cioè la condizione necessaria per limitare i danni, già evidenti oggi, determinati dagli stravolgimenti climatici.

Ci si aspetterebbe che un ministro che ha come suo obiettivo addirittura la transizione ecologica del nostro paese emettesse qualche comunicato stampa preoccupato, chiedesse di convocare un Consiglio dei Ministri ad hoc, o, meglio ancora, proponesse di rivedere alcune misure scelte alla luce della situazione drammaticamente peggiorata.

Invece no, sul profilo del Ministero tutto tace, e il ministro parla solo in una interrogazione parlamentare a Montecitorio il 5 agosto, in cui ammette (bontà sua) che oltre a essere opera diretta dell’uomo, gli incendi sono aggravati dai cambiamenti climatici.

Si arriva quindi ai primi di settembre e al meeting dei giovani renziani a Ponte di Legno, durante il quale Cingolani si esprime con parole sprezzanti e vergognose. Il ministro ha infatti detto che gli ambientalisti sono dei radical chic, una catastrofe peggiore di quella climatica, e ha rilanciato ancora una volta il suo sostegno ai futuribili progetti di nucleare di quarta generazione.

Foto da Flickr.

Si è discusso molto nei giorni successivi sulle parole del ministro. Alcuni hanno cercato di interpretarle, di comprendere a quale ambientalismo il ministro facesse riferimento nel suo attacco e con quale strategia, altri hanno disinnescato le menzogne alla base del suo appassionato supporto al nucleare. Forse però quel discorso va compreso nel suo insieme, per il suo portato simbolico più che nei riferimenti singoli ai contenuti.

Chi sia Cingolani e quali interessi protegga era chiaro fin dall’inizio del suo mandato e lo avevamo ampiamente descritto su Dinamo. Dall’inizio del suo mandato poi il ministro non ha mai smesso di manifestare le proprie intenzioni e la propria visione della crisi climatica. Roberto Cingolani è arrivato a definire un bagno di sangue NON l’emergenza climatica, ma la transizione energetica, quasi a impaurire e scoraggiare i pochi che ci avessero mai creduto.

Il ministro, inoltre, è tornato a fomentare l’eterno conflitto ambiente-lavoro, prospettando migliaia di famiglie sul lastrico nel caso in cui si prendessero provvedimenti seri in materia di taglio delle emissioni. Infine, non ha mai smesso di attaccare le rinnovabili dipingendole come insufficienti rispetto ai bisogni energetici del pianeta.

C’è però un elemento che non è forse stato sufficientemente analizzato e che emerge prepotente dal “discorso di Ponte di Legno”. Cingolani, pur avendo un profilo mediatico indubbiamente inferiore a quello renziano personifica una narrativa tossica basata su giovinezza, successo, tecnologia, carriera: tutti schemi semantici e simbolici analoghi a quelli della rappresentazione di sé del leader di Italia Viva che – si ricorderà – millantava di esprimere la modernità, mentre chi difendeva l’articolo 18 voleva mettere i gettoni negli Iphone.

Renzi e Cingolani rappresentano in modo esplicito gli interessi dell’élite economica neoliberale. di questo paese, una éun’élite che si nasconde dietro a leggende di modernità, giovanilismo e innovazione, per continuare a rafforzare il proprio potere basato invece su privilegio, corruzione, connessioni familiari, profitti basati sullo sfruttamento ambientale e umano.

Foto di Ken Chan da Flickr.

L’élite di Renzi e Cingolani non è quella degli piccolo-medio imprenditori padani quanto invece quella dei manager di banca, dei consiglieri di amministrazione delle grandi aziende, del mondo della finanza e dei grandi investitori e azionisti. Un corpus sociale tutt’altro che apprezzato o benvoluto dal grande pubblico, e che proprio per questo ha bisogno di nascondersi dietro a mitologie quali gioventù, tecnologia, modernità e ha bisogno di stigmatizzare chiunque si opponga accusandolo di essere un privilegiato, un choosy, un parassita che vuole il reddito, o, appunto, un radical chic.

Cingolani è un pezzo fondamentale di questo sistema perché il ministero che lui dirige è quello che avrebbe il compito fondamentale di mettere in seria difficoltà quella élite in quanto essa è la maggior responsabile del contributo italiano ai cambiamenti climatici. Non si ricorderà mai abbastanza infatti che imprese quali Eni, Leonardo, Banca Intesa, Unicredit, We Build (ex Salini-Impregilo), sono LE responsabili del cambiamento climatico nel nostro paese e sono anzitutto loro che dovrebbero cambiare radicalmente il proprio modello produttivo per rallentare la nostra produzione di gas climalteranti: non potrà mai bastare una (pur necessaria) sostenibilità negli stili di vita delle cittadine e cittadini ed è strumentale ed errato focalizzarsi su quella.

Ormai è invece evidente che il MiTE a trazione Cingolani non attaccherà in nessun modo gli interessi di quelle imprese, ma anzi, farà di tutto per preservarli e per permettere alle stesse di continuare a fare profitto devastando il pianeta.

Un esempio tra i tanti: la Commissione Europea aveva imposto che i piani di ripresa postpandemici non finanziassero energie fossili. Cingolani aveva cercato impunemente di aggirare l’ostacolo finanziando l’idrogeno blu, prodotto – da Eni, ça va sans dire – tramite Carbon Capture and Storage (CCS), cioè tramite produzione, cattura e stoccaggio gas fossile. La Commissione ha visto il trucco e ha bocciato quella parte di richiesta finanziamento. Non stupirà sapere che Eni sta cercando altri modi per ottenere finanziamenti pubblici per i suoi megaprogetti di CCS a Ravenna e che probabilmente troverà sponde di supporto nel MiTE.

Foto di Paul Lowry da Flickr.

Similmente si può interpretare il frequente riferimento nelle parole del ministro ad un “nucleare pulito” – che lui stesso sa non esistere né oggi né nei prossimi 30 anni – ma che se ritornasse invece nella forma classica, farebbe gola a non pochi gruppi di potere in campo energetico.

A completare il quadro, nei giorni successivi il ministro ha dichiarato di voler esentare le supercar (Lamborghini, Maserati, Ferrari) dal divieto imposto dalla Commissione Europea di produrre automobili ad emissioni inquinanti dopo il 2035. Cingolani era fino a poco tempo fa membro del CdA di Ferrari e il cerchio si chiude.

Proprio per questa ragione sarebbe importante costruire una forte mobilitazione che fosse insieme ecologista e anticapitalista contro questo governo. Perché non si può mancare l’opportunità strategica di una fase in cui sono addirittura le Nazioni Unite e la Commissione Europea che stanno chiedendo di fermare le grandi imprese del fossile.

Tale opportunità di metterle all’angolo va colta, perché colpirli, smascherando il loro tentativo di ammantarsi di verde e di perpetuarsi al potere, è un compito specifico dei movimenti. Una seria lotta ecologista oggi diventa una spina del fianco del sistema capitalista di questo paese, che per la congiuntura drammatica che viviamo ha proprio nell’industria fossile il suo nervo scoperto da colpire. Proprio per questo Cingolani e la sua narrazione vanno attaccati e combattuti senza tregua.

Il Global Strike dei Fridays For Future del 24 settembre e le manifestazioni per la Pre-Cop a Milano l’1 e 2 di ottobre, la manifestazione convocata il 9 ottobre davanti al MiTe a Roma sono ottime occasioni per alzare il tiro, da cogliere senza esitazione.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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