Ernesto Che Guevara bevendo mate


Francesco Cecchini


Mate argentino. Il mate (o yerba mate) è un infuso ricavato dalle foglie della pianta Ilex paraguayensis, una specie di agrifoglio diffuso in Argentina, Uruguay, Brasile e Paraguay. In Argentina, il contenitore tradizionale per il mate (porongo) ha la forma di unarancia ed è realizzato con una zucca oppure in legno o in metallo e viene usato sia per preparare linfuso (mate) sia per berlo. Linfuso si beve con una speciale cannuccia in metallo (bombilla) in fondo alla quale cè una specie di cucchiaino costellato di fori attraverso cui passa solo il liquido.
Articolo di Pacho O’ Donnel** pubblicato su Pagina/12 e tradotto da Francesco Cecchini per Ancora Fischia il Vento. Il link con l’ articolo originale è il seguente:
https://www.pagina12.com.ar/369081-cuando-la-argentina-reivindicara-al-che
La nostra Argentina non ha rivendicato uno dei suoi figli più famosi al mondo, Ernesto Che Guevara. Questo perché la destra ha paura del suo esempio e del suo impegno e continua a imporre censura e discredito sulla sua memoria, e la sinistra è strategicamente pigra nel reclamare Cuba per l’ uso della sua immagine. Nemmeno il peronismo lo fa nonostante la conversione del Che, passato dall’antiperonismo della sua adolescenza. influenzato dalla sua famiglia, al rispetto per Perón e il suo movimento che anni dopo ha espresso in molti modi, contribuendo anche a finanziare il primo tentativo di Perón di tornare in Argentina quando era un funzionario del governo cubano. Ernesto Guevara de la Serna è nato nella città di Rosario, quindi è argentino di nascita. E sebbene per alcuni anni condividesse quella nazionalità con quella di cubano, quando lasciò l’ isola per la sua esperienza africana, scrisse una lettera per Fidel in cui rinunciava a quella nazionalità. In altre parole, è morto esclusivamente argentino. D’altronde il suo soprannome, Che, non lasciava dubbi sull’ essere argentino di chi era anche un ossessivo bevitore di mate. Coloro che lo visitavano sapevano che non c’ era dono più grato di un pacchetto di erbe missionarie. Inoltre Guevara, quando leggeva o scriveva, si distraeva, cantava tanghi, stonato perché la musica non era mai tra i suoi doni. In privato non ha mai abbandonato la sua intonazione argentina, di Buenos Aires, parlava cubano solo in discorsi in eventi pubblici.
Il grande interesse del Che per gli affari argentini potrebbe essere testimoniato da coloro che, come Gabriel García Márquez, Rodolfo Walsh o Rogelio García Lupo, hanno lavorato presso l’ agenzia Prensa Latina da lui fondata con il consenso di Fidel all’Avana, per contrastare il pregiudizio. agenzie internazionali che diffamavano la rivoluzione cubana e i movimenti progressisti dell’America Latina. Chiamava la redazione quasi tutte le sere per conoscere le notizie dalla sua terra natale. Quello stesso interesse era presente nelle lettere che inviava alla sua famiglia.
Come rivoluzionario, l’ Argentina non è mai stata fuori dai suoi progetti. Il tentativo più vigoroso fu la colonna comandata dall’amico Jorge Ricardo Masetti, primo direttore di Prensa Latina, che tentò di mettere piede nella giungla di Salta che Guevara aveva diagnosticato come affetta da condizioni simili alla Sierra Maestra. Per dare un’ idea dell’ importanza che il Che e il governo cubano diedero al tentativo, diciamo che Masetti fu uno dei suoi più stretti amici e collaboratori e che con lui entrarono a Cuba uomini della sua più stretta e più stretta fiducia, come avvenne a Alberto Castellanos, nella cui casa fu celebrato il matrimonio del Che con Aleida March. Anche il capo della custodia di Guevara all’ Avana, Hermes Peña, e il comandante Ulises Rosales, anni dopo capo di stato maggiore delle forze armate rivoluzionarie, erano argentini. Lo fu anche il comandante Abelardo Colomé Ibarra, prima capo della polizia dell’ Avana, poi ministro degli Interni.
Masetti prese il nome di “Secondo Comandante”, secondo alcuni perché il “Primo Comandante” sarebbe stato il Che quando avrebbe potuto unirsi a tentativo una volta consolidato. Secondo altri, il rivoluzionario argentino aveva adottato “Martín Fierro” come alias, quindi Masetti, seguendo l’ ondata dei gaucho, adottò “Segundo Sombra”.
I cospiratori dell’EGP (Esercito di guerriglia popolare) arrivarono ad Orano a metà del 1963 dopo un primo tentativo fallito. Ma l’ esperienza fallì, prontamente colpia dalla gendarmeria argentina, grazie a un mal funzionamento della strategia di guerriglia e di una leadership autoritaria di Masetti che previde l’ esecuzione di due membri per mano dei loro compagni. Degli altri, Peña perse la vita, Castellanos trascorse molti anni in prigione senza che le autorità argentine scoprissero la sua vicinanza al Che, e altri si salvarono miracolosamente. Masetti, da parte sua, andò nella giungla con altri guerriglieri e non fu mai trovato, supponendo che fosse morto di fame e mangiato da bestie e insetti. Finì così un tentativo del Che di esportare la rivoluzione in patria, una delle prime esperienze di guerriglia nel nostro territorio.
Anni dopo, per molte ragioni, la scelta sbagliata dell’area per la guerriglia in Bolivia, che fu decisiva per il suo fallimento, fu influenzata perché Ñancahuazu si trovava a poche centinaia di chilometri dal confine con l’Argentina, sebbene non si tenesse conto che il l’impenetrabile giungla del Chaco si frapponeva. Tutto indica che lì il Che stava progettando di fondare un campo di addestramento per nutrire colonne che sarebbero entrate in Argentina, anche in Perù.
Il segretario e biografo di Perón, Enrique Pavón Pereyra, intervistato per la mia biografia del Che, ha rivelato i dettagli della visita segreta del Che a Puerta de Hierro.
“Sta arrivando un prete.”
“È Che Guevara”, ha risposto Perón.
Il travestimento era obbligatorio perché Franco minacciò il leader peronista di espellerlo dalla Spagna se avesse ricevuto visite compromettenti, stava per farlo quando Salvador Allende, allora senatore cileno, gli fece visita. L’ obiettivo era ottenere la collaborazione del leader peronista per il suo progetto boliviano, già consapevole della defezione del Partito comunista boliviano. Perón, con lucidità anticipatrice, deviò l’ argomento e raccomandò, con il pretesto della sua asma, di abortire il progetto per non suicidarsi. Chiarì anche che essendo il suo partito bandito e lui in esilio, poteva dare poco aiuto, anche se non avrebbe avuto obiezioni se qualche peronista volesse unirsi alla sua colonna.
Anni dopo, per molte ragioni, la scelta sbagliata dell’area per la guerriglia in Bolivia, che fu decisiva per il suo fallimento, fu influenzata perché Ñancahuazu si trovava a poche centinaia di chilometri dal confine con l’Argentina, sebbene non si tenesse conto che il l’impenetrabile giungla del Chaco si frapponeva. Tutto indica che lì il Che stava progettando di fondare un campo di addestramento per nutrire colonne che sarebbero entrate in Argentina, anche in Perù.

La ricerca dell’appoggio argentino si rinnoverà mesi dopo, quando il Che manderà a chiamare Ciro Bustos ed Eduardo Jozami per affidare loro il reclutamento di volontari.

Quelli esposti sono solo alcuni dati che puntano all’ argentino Che Guevara. Tuttavia, pochi e nessun tentativo è stato fatto dalla sua patria per reclamarlo. Le strade e le scuole che portano il suo nome si contano sulle dita di una mano. L’unico monumento a figura intera, innalzato per sottoscrizione popolare, si trova a Rosario ed è vessato da ordini insistenti e da tentativi di demolizione. Le sue spoglie non furono nemmeno reclamate quando furono ritrovate nascoste sotto la cartella dell’aerodromo di Vallegrande, rapidamente trasportate a Cuba. Ernesto Guevara è, senza dubbio, a livello mondiale, una delle grandi figure del XX secolo e la sua influenza si estende fino ai giorni nostri, sorvolando, su striscioni e manifesti, le proteste sociali nella nostra Argentina ma anche in Perù, Polonia o Corea, in tutte i paesi del mondo. In un mondo materialista, ipocrita, relativista, rappresenta l’etica della solidarietà, l’esempio che si può dare la vita per l’ impegno verso i più umili. Si spera che le condizioni internazionali lo permettano, così come i resti itineranti di San Martín, Rosas o Evita hanno trovato riposo nella loro terra natale dopo lunghi viaggi, così fanno quelli di Ernesto Che Guevara per rendergli il tributo che i suoi compatrioti gli devono ancora.
** Mario Ernesto O’Donnell, meglio conosciuto come Pacho O’Donnell (Buenos Aires, 28 ottobre 1941), è uno scrittore argentino, medico specializzato in psichiatria e psicoanalisi, politico e storico. E’ autore della biografia di Ernesto Che Guevara, “Che, la vida por un mundo mejor” base del documentario “Che, el hombre, el final”.
Il link con il documentario è il seguente:


Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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