Gli ultimi tre mesi sono stati particolarmente tesi in Tunisia, a causa del conflitto istituzionale che ha visto protagonisti il presidente Kaïs Saïed e il parlamento. Dopo che il capo di Stato aveva sospeso i lavori dell’organo legislativo a fine luglio, infatti, il Paese nordafricano ha vissuto una grave crisi politica, con l’alternarsi di manifestazioni di piazza da parte dei sostenitori e degli avversari del presidente.
La situazione potrebbe essersi in parte sbloccata grazie alla nomina di Najla Bouden Romdhane, ingegnere 63enne che ha lavorato per la Banca Mondiale, poco esposta dal punto di vista politico, che è diventata la prima donna ad ottenere questa carica nella storia della Tunisia. Saïed, che nel frattempo aveva accentrato su di sé molti poteri, venendo accusato anche di aver messo a segno un colpo di Stato, ha convocato Romdhane lo scorso 29 settembre, e le ha chiesto di formare rapidamente un nuovo governo.
Il presidente ha affermato che la missione principale del nuovo governo sarebbe quella di “porre fine alla corruzione e al caos che si sono diffusi in molte istituzioni statali“. “Il nuovo governo dovrebbe rispondere alle richieste e alla dignità dei tunisini in tutti i campi, compresi la sanità, i trasporti e l’istruzione”, ha aggiunto.
Romdhane non avrà un compito facile. Negli ultimi dieci anni, i governi tunisini sono durati mediamente pochi mesi, con l’alternanza di dieci diversi primi ministri. Inoltre, il paese sta affrontando una crisi delle finanze pubbliche dopo anni di stagnazione economica, situazione aggravata dall’esplodere della pandemia di Covid-19.
Tuttavia, la nomina del nuovo primo ministro non ha completamente risolto il conflitto tra presidenza e parlamento, anzi potrebbe aver contribuito ad aggravarlo, almeno dal punto di vista dell’opposizione. “Di solito secondo il sistema costituzionale tunisino, il presidente nomina un primo ministro, che poi nomina i membri del suo gabinetto e tutto questo deve essere approvato dal parlamento“, ha spiegato Bernard Smith, inviato di Al Jazeera a Tunisi. “Ma il presidente ha sospeso il Parlamento, quindi ha nominato Najla Bouden Romdhane primo ministro, ma non ci sarà l’approvazione parlamentare“.
Questo significa anche che il primo ministro avrà verosimilmente un potere inferiore rispetto a quello dei suoi predecessori, in quanto sarà responsabile direttamente davanti al presidente, e non al parlamento. Un settimana prima della nomina di Romdhane, inoltre, il capo di Stato aveva emesso decreti presidenziali che rafforzano il suo potere già quasi totale, annunciando anche l’instaurazione di nuove regole elettorali. Secondo molti, quello di Romdhane sarà un governo di transizione verso nuove elezioni che dovrebbero tenersi con le regole dettate da Saïed.
Già in passato, del resto, il presidente Kaïs Saïed aveva dimostrato la propria insofferenza nei confronti della Costituzione nazionale, ed in effetti una delle sue intenzioni sarebbe quella di modificare la legge fondamentale per ristrutturare il sistema politico tunisino. Secondo l’opposizione, invece, tutto quello che sta facendo il presidente dallo scorso luglio sarebbe illegale, in quanto palese violazione della stessa Costituzione.
Dopo la nomina di Romdhane, almeno 73 parlamentari provenienti da diversi partiti politici su 217 hanno firmato una dichiarazione che respinge la decisione del presidente di governare per decreto anziché tramite il parlamento e ha chiesto la ripresa delle sessioni parlamentari all’inizio di ottobre – cosa che non ha avuto luogo. In una dichiarazione congiunta, i firmatari hanno invitato tutte le parti a “unirsi” e “superare le differenze per difendere i valori della repubblica e della democrazia“. I parlamentari hanno espresso il loro “rifiuto di trasferire tutti i poteri esecutivi, legislativi e giudiziari nelle mani di una sola persona”. La mossa, hanno detto, sconvolge la Costituzione tunisina e potrebbe portare ad “un governo autoritario assoluto“.
Il presidente del parlamento Rāshid al-Ghannūshī, leader del partito islamista Ennahda (Ḥarakat al-Nahḍa, letteralmente Movimento della Rinascita), quello maggiormente rappresentato all’interno dell’emiciclo, ha dichiarato l’assemblea in sessione, esortando i legislatori a riprendere i lavori, sfidando apertamente la sospensione dei lavori indetta dal presidente.
Tra coloro che si sono schierati contro l’operato di Saïed troviamo anche l’ex presidente Moncef Marzouki, che ha guidato il Paese tra il 2011 ed il 2014. “Chiedo a tutti i tunisini di radunarsi domenica in difesa della costituzione, della democrazia, della libertà e della sovranità nazionale“, ha detto Marzouki la scorsa settimana, invitando la popolazione a partecipare alla manifestazione di protesta del 10 ottobre. L’ex capo di Stato ha inoltre invitato Saïed a rassegnare le dimissioni per andare a nuove elezioni entro 45 giorni.
Tuttavia, l’11 ottobre il presidente in carica ha dato la propria approvazione ai ministri selezionati da Najla Romdhane, dimostrando di essere intenzionato a proseguire per la propria strada. Romdhane ha mantenuto alcuni ministri in carica, come Othman Jerandi agli Esteri e Sihem Boughdiri alle Finanze, mentre tra i nomi nuovi ha scelto Samir Said per l’Economia e Taoufik Charfeddine per gli Interni. La maggioranza dei nuovi ministri proviene dal mondo accademico e non ha particolari affiliazioni politiche, proprio come il primo ministro Romdhane, al punto che alcuni hanno definito il nuovo governo come “tecnocratico”. Inoltre, la componente femminile è pari a circa un terzo della squadra di governo.
CLICCA QUI PER LA PAGINA FACEBOOK
Giulio Chinappi – World Politics Blog