Bambini in catene ai lavori forzati, Stati Uniti, California, 1903 (foto Biblioteca Congresso Usa)

di Marco Cinque  (*)

In molti stati dell’Unione non c’è un’età minima per subire l’arresto. In altri è stato fissato a dieci anni. E in molti casi i minori finiscono davanti ai tribunali penali per adulti. Inquietante poi l’abituale ricorso ad ammanettare bambini e adolescenti. Soprattutto quando appartengono a minoranze, provengono da famiglie povere o hanno disabilità.

Sono passati più di trent’anni da quando gli Stati Uniti hanno firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, un trattato teso a proteggere i bambini in ogni luogo della Terra. Malgrado ciò, gli Stati Uniti sono il paese coi più alti tassi di arresti e di detenzione di minori al mondo. Anche se contano meno del cinque per cento della popolazione mondiale, gli Usa detengono circa il 25 per cento della popolazione carceraria di tutto il pianeta, rimpolpata da un sostanzioso numero di detenuti minorenni, anch’essi sottoposti alle stesse discriminazioni razziali ed economiche che vengono inflitte agli adulti.

Nel quinquennio 2013-2018 sono stati arrestati 30.467 bambini sotto i dieci anni e 266.321 tra i dieci e i dodici anni, mentre tra il 2009 e il 2018, ogni 43 secondi un bambino o un adolescente è finito in manette. Sempre nel 2018 sono stati arrestati 728.280 minori e anche se recentemente i numeri sono sensibilmente calati, restano comunque di un’enormità inammissibile, sopratutto per un paese che si autoconsidera e viene considerato democratico e civile.

Secondo i dati governativi, in 34 stati degli Usa non c’è un’età minima per subire l’arresto, mentre buona parte degli altri stati ha fissato il limite a dieci anni. Inoltre, secondo l’Ufficio per la giustizia minorile, 24 stati non hanno un’età minima che impedisca loro di trasferire i casi minorili ai tribunali penali per adulti. Questo evidenzia un sistema politico e giudiziario profondamente malato, un sistema che facilita i comportamenti disumani di agenti di polizia, tribunali e personale carcerario, facendo carta straccia della succitata Convenzione sui diritti dell’infanzia.

Inquietante poi l’abituale ricorso ad ammanettare bambini e adolescenti, prelevandoli dalle scuole, cioè da quei luoghi sacri che dovrebbero proteggerli ed educarli ed è vergognosa la pratica frequente di usare le manette persino per i bambini sotto i sei anni, compresi quelli disabili. Un’analisi del Center for Public Integrity sui dati del Dipartimento dell’Istruzione ha rilevato che vengono arrestati in modo sproporzionato soprattutto alunni e studenti che appartengono a minoranze, che provengono da famiglie povere o che hanno disabilità.

Una volta in carcere, i bambini sono messi a rischio di abusi fisici e psicologici, aggressioni sessuali, suicidi e altri danni che lasciano strascichi indelebili nella loro psiche. I rischi aumentano per i minori destinati al sistema di giustizia penale degli adulti, che si concentra sulla punizione piuttosto che sull’educazione e sulla riabilitazione. I minori nelle carceri per adulti hanno maggiori probabilità di subire traumi permanenti ed hanno cinque volte più probabilità di morire per suicidio rispetto ai bambini detenuti nei centri di detenzione minorile.

I minori negli Usa vengono perseguiti e condannati in base ai cosiddetti “reati di stato”, vale a dire quei reati che non sarebbero punibili, secondo la legge, se commessi da un adulto. Per l’American Bar Association, si tratterebbe di piccoli reati come bere alcolici, assenteismo scolastico, fughe da casa e altri cattivi comportamenti, che possono far finire i bambini in prigione per anni, mettendoli in contatto con autori di reati violenti e tenendoli fuori dalle scuole. Il 66per cento dei giovani detenuti nelle carceri minorili non torna mai a scuola.

Emblematico il caso della dodicenne Ansche Hedgepeth, che salì alle cronache nel 2000, a Washinghton. La bambina tornava da scuola e, mentre aspettava un’amica alla fermata della metropolitana, venne arrestata dalla polizia per aver consumato delle patatine all’interno della stazione, grazie a un rigurgito repressivo del Distretto di Columbia che prevedeva la cosiddetta “tolleranza zero” anche per reati di piccola entità, tra cui era previsto il divieto di consumare cibo all’interno delle stazioni della metropolitana.

Così Ansche Hedgepeth dovette subire tutte le degradanti procedure dell’arresto: ammanettata, perquisita, umiliata, privata dei lacci delle scarpe ed anche dell’inviolabilità di quella dignità umana che dovrebbe essere garantita a tutte le persone, soprattutto ai bambini. Terrorizzata, la dodicenne pianse per tutto il tempo. Fu poi fatta sedere nella vettura della polizia, in uno scompartimento chiuso, condotta in un centro di detenzione per minorenni dove le vennero prese le impronte digitali e scattate foto segnaletiche come a un qualsiasi criminale.

Oltre alla vicenda di Ansche, le cronache statunitensi sono tutt’oggi piene zeppe di casi assurdi, dove i bambini debbono subire i soprusi più inimmaginabili, non dal delinquente o dal mostro di turno, ma dalle stesse autorità che dovrebbero proteggerli e tutelarli. Tra questi casi se ne elencano a seguire una piccola parte, per far capire quello che avviene quotidianamente in un paese che vorrebbe essere regola e righello per il mondo in tema di diritti umani, soprattutto quelli dei minori.

Idaho, 2008: Evelyn Towry, una bambina di otto anni, affetta da sindrome di Asperger, è stata prima maltrattata dal personale della scuola elementare di Kootenai, riportando segni e lividi sul corpo, poi ammanettata e arrestata dalla polizia.

New York, 2010: la dodicenne Alexa Gonzalez è stata ammanettata e trasferita nella stazione di polizia per aver scarabocchiato con dei pennarelli sul suo banco scolastico frasi innominabili come: «Io amo i miei amici Abby e Fede».

California, 2011: Michael Davis, un bimbo di appena cinque anni affetto da ADHD, viene ammanettato mani e piedi  con delle fascette da un ufficiale di polizia, nella scuola di Stockton.

Florida, 2017: John Haygood è un bambino autistico di dieci anni che, sebbene non capisca cosa gli stia accadendo, viene ammanettato senza tanti complimenti all’interno dell’istituto scolastico da due agenti di polizia, caricato sul sedile posteriore dell’auto e arrestato mentre impreca e si dispera.

Indiana, 2017: Devin Shepherd è un altro bambino autistico di nove anni, che frequenta la quarta elementare alla Needham Elementary School di Franklin. Durante la ricreazione litiga con un compagno di classe. L’insegnante chiama la polizia e gli agenti ammanettano Devin, che in lacrime viene condotto in prigione.

Georgia, 2018: Corey Jackson, un bambino di dodici anni viene arrestato in un centro commerciale con l’accusa di aver venduto illegalmente dei CD. Dalla registrazione di una Tv affiliata alla NBC, si sente un ufficiale di polizia minacciare Corey: «Hai dodici anni? Stai per andare in prigione».

Colorado, 2019: Gavin Carpenter, un bambino di dieci anni, è stato arrestato dalla polizia di Colorado Springs con l’accusa di aver giocato assieme a un suo coetaneo con una pistola finta. In una testimonianza la madre del bambino ha affermato:

Questa storia ha colpito immensamente tutta la nostra famiglia. Soprattutto il nostro Gavin, che ora è terrorizzato dalle forze dell’ordine ed ha dei flashback dell’evento terrificante. Il mio scopo è raccontare al mondo quello che è successo e informare tutti i genitori che questo potrebbe accadere a chiunque abbia dei bambini.

Florida, 2020: Kaia Rolle è una bimba di 6 anni che soffre di apnea notturna, un disturbo che le rende difficile riposare a sufficienza durante la notte. Una mattina Kaia si sente stanca e in difficoltà durante la sua prima lezione nella scuola elementare. Kaia fa i capricci, ma invece di offrirle sostegno, il personale scolastico la spedisce prima nell’ufficio del preside, poi vengono chiamati gli agenti di polizia che l’ammanettano, la prelevano dalla scuola e la portano in prigione.

New York, 2021: dopo un litigio in famiglia, una bambina di 9 anni fugge in strada sotto la neve. La polizia di Rochester viene avvertita e raggiunge la ragazzina che non vuol saperne di tornare a casa dalla madre e chiede di incontrare il padre. Ben nove agenti la circondano e la ammanettano. Mentre lei piange e supplica disperata, le spruzzano in faccia uno spray al peperoncino e la arrestano, costringendola a salire sul retro dell’automobile.

L’elenco sarebbe ancora piuttosto lungo e potrebbe sembrare uno scherzo di cattivo gusto, se non il tentativo di offuscare la credibilità di un paese considerato così importante e influente, ma in verità questa vuole essere semplicemente una presa d’atto dell’amara realtà che si consuma con inquietante regolarità negli Stati Uniti, dove ben 70 ragazzini di 13 e 14 anni sono stati condannati all’ergastolo senza la possibilità di liberazione (come documentato dall’organizzazione Equal Justice Initiative) e dove attualmente ci sono oltre 2000 giovani condannati a morire in carcere.

Tutti gli studi neurologici, psicologici e sociologici confermano che i bambini di 12 e 13 anni hanno spesso un senso di responsabilità non sufficientemente sviluppato. Proprio per questo sono considerati immaturi per votare, guidare, sposarsi senza il consenso dei genitori, bere alcolici e hanno ancora l’obbligo della frequenza scolastica. Ma sono incomprensibilmente considerati maturi per essere arrestati, processati e rinchiusi in prigione, come qualsiasi adulto.

Oltre alle mostruosità quotidiane che negli Stati uniti si consumano ai danni dei minori, vale la pena ricordare anche la tragica realtà che riguarda i bambini immigrati. Un rapporto di Amnesty International del 2019 denunciava le condizioni tragiche di questi bambini, rinchiusi e ammassati nelle Homestead, le strutture di “emergenza temporanea”. Queste strutture sono ambienti impersonali, industriali e altamente restrittivi in cui i bambini devono indossare badge identificativi con codici a barre, dormire in alloggi in stile caserma, seguire linee segnate con il gesso quando si spostano da un luogo all’altro e seguire un programma rigoroso. Insomma, ambienti più simili a complessi carcerari che ad alloggi pensati per accogliere bambini già provati da traumi e difficoltà.

Alla luce dei fatti descritti e dei casi riportati, che sono solo la punta di un iceberg ben più vasto e profondo, verrebbe da pensare che la pedagogia sia una materia totalmente sconosciuta a molti legislatori, insegnanti, giudici e poliziotti statunitensi. La caccia ai bambini cattivi è aperta ormai da troppo tempo, forse sarebbe il caso che i governi dei paesi alleati aiutassero i “cacciatori” a chiuderla al più presto.

(*) ripreso da qui  –  https://ytali.com/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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