Locandina del documentario Anche le statue muoiono di Chris Marker e Alain Resnais


Francesco Cecchini


“Quando gli uomini muoiono entrano nella storia. Quando le statue muoiono entrano nellarte. Questa biologia della morte è ciò che chiamiamo cultura”. Frase con la quale si apre il documentario-
I primi oggetti d’ arte africana sembra siano stati scoperti nel XV secolo da esploratori portoghesi. Da allora, l’ entusiasmo dell’Occidente per queste opere è cresciuto costantemente di pari passo con il loro furto da parte di quei paesi che colonizzavano il continente africano. Culminerà negli anni ’20 con la moda dell’ “arte negra”. Bisognerà attendere la decolonizzazione per sentire parlare di “arte africana”.
Circa il 90% del patrimonio africano si trova attualmente fuori dal continente africano. Solo in Francia ci sono almeno 90.000 oggetti d’arte dell’Africa subsahariana, di cui 46.000 sono arrivati durante il periodo coloniale. Dal 2019, Benin, Senegal, Costa d’Avorio, Etiopia, Ciad, Mali e Madagascar hanno presentato richieste di restituzione.
Tutto ciò rende attuale un documentario francese di Alain Resnais e Chris Marker, direttore della fotografia Ghislain Cloquet, iniziato nel 1950 su richiesta di Présence Africaine, fondata da Alioune Diop, e finito nel 1953 grazie a Tadié-Cinéma-Productions, ma censurato, per il suo carattere anticolonialista, dal Centre National de la Cinématographie, che permise fino al 1964 un’ edizione tagliata e autorizzò solo nel 1968 la versione completa. Da notare che nel 1953 venne proiettato al Festival di Cannes e nel 1954 ottenne il premio Jean Vigo. Il link con la versione integrale, 30 minuti, del documentario è il seguente:
https://www.youtube.com/watch?v=F0y1ZTrql8U&t=26s
Il documentario Alain Resnais e Chris Marker, è sostanzialmente un atto di accusa contro il colonialismo, innanzitutto francese, che depredò arte ed artigianato africano. Le statue rapite dal loro ambiente culturale sarebbero rimaste senza vita morte Da qui la cenura in quanto la Francia era in ancora, negli anni 50, agiva ancora in Africa come potenza coloniale. Oltre a quello politico il documentario ha un valore estetico, il montaggio è elegante con giochi di luce che seducono e rendono la bellezza delle sculture africane.
Il documentario è stato proiettato anni fa anche in Italia in un paio di sale cinematografiche. Considerando però le richieste di restituzione ai paesi che sono stati rubati e che recentemente la Francia di Macron ha restituito al Benin suoi lavori artistici il documentario andrebbe ancora diffuso. La questione dei lavori d’ arte africani portati via riguarda anche l’ Italia. L’ obelisco di Axum un imponente monumento funerario in granito, alto 24 metri, che risale a circa 2.000 anni fa, fu portata via dalle truppe italiane nel 1937, durante l’occupazione dell’Etiopia, per ordine di Benito Mussolini. Doveva essere restituito nel 1947, secondo il trattato di pace con l’ Etiopia, ma lo fu solo nel 2002. Inoltre vi è il Museo coloniale, che venne inaugurato nel 1923 da Benito Mussolini e prese il nome di Museo dell’ Africa Italiana. Tra il 1935 e il 1940 venivano destinati al museo la stragrande maggioranza degli oggetti d’ arte provenienti dalle colonie italiane. Ora dopo varie vicessitudini e cambi di nome diventerà Museo delle Civiltà – Museo Italo Africano Ilaria Alpi, da inaugurarsi del 2022 – 2023. Non vi è però nessun accenno di restituire il maltolto alle ex colonie italiane, Libia, Somalia, Eritrea ed Etiopia.

Immagine del documentario Anche le statue muoiono

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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