Anche i miti più longevi, granitici e inossidabili vengono, prima o poi, intaccati dal tempo o dal logorio della vita moderna. Laddove per vita moderna si intende proprio l’estrema attualità di una convergenza di fattori che sono impossibili da fronteggiare tutti in un colpo solo, ma, soprattutto, in una riunione del Consiglio dei Ministri dove la maggioranza di unità nazionale segna il passo, si guarda in cagnesco e sembra aver salito un gradino in più, rispetto al periodo pre-natalizio, in quanto a litigiosità.

Sarà che la partita del Quirinale fa fibrillare gli animi; sarà che la quarta ondata del virus prospetta scenari elettorali poco rassicuranti un po’ per tutti; e sarà forse pure che, fatto del tutto naturale, già fanno fatica a reggersi in Italia i governi monocolore o tecnici, figuriamoci se può essere completamente alieno dagli scontri interni e dai calcoli intenzionali di questa o quella forza politica un esecutivo che è tenuto insieme solamente dalla figura internazionalmente autorevole di Mario Draghi.

Il tema dell’obbligo vaccinale andava posto anzitempo: ed infatti siamo sempre dentro la giostra della ricorsa del tempo, contro il tempo e non per tempo. Il governo si affanna nel frenare il dilagare della variante Omicron quando ormai questa è diffusa in tutto il Paese. Perché siamo dentro ad una pandemia e nessun confine vale veramente, in particolare se le misure che si adottano di volta in volta hanno la parvenza (eufemisticamente parlando) dell’anacronismo.

Pazienza se salta il tracciamento del Covid-19: lo dicono tutti gli scienziati che, davanti ad una replica così impetuosa della nuova forma (e sostanza) del virus, c’è ben poco da tracciare, da ricostruire catene di contagio. Ma le mascherine FFP2 andavano rese obbligatorie su tutto il territorio nazionale da mesi e mesi, anche all’aperto. Almeno con l’inizio dell’autunno. Ed invece Draghi lega il suo pragmatismo al mentre i fatti si svolgono e all’istante immediatamente successivo, evitando accuratamente di predisporre un piano ragionato e coordinato di anticipazione di una quarta ondata pandemica che sapevamo sarebbe arrivata.

Quando la preveggenza non occorre, la si cerca ossessivamente, per calmare tutte le isterie del caso; quando invece basterebbe seguire i modelli matematici e affidarsi alla scienza, che non intuisce ma, in base ai dati e ai comportamenti dei patogeni prevede quello che potrebbe accadere, si preferisce attendere proprio quei numeri che daranno la conferma certa non della migliore delle previsioni, ma di scenari molto peggiori.

La maggioranza di unità nazionale, dunque, scricchiola su sé stessa, sull’impossibilità di trovare una sintesi al rialzo, mettendo in tutela singoli e collettività, evitando tutte le discrepanze che si sono create nel biennio (ormai triennio…) pandemico e che, esattamente ad ogni recrudescenza del virus, si ripresentano puntuali senza che si sia deciso di impiegare nuove risorse in campo sanitario e di far virare la barra del PNRR nella tutela massima del mondo del lavoro e dell’inoccupazione.

Confindustria ottiene che i padroni libertà di sospensione dal lavoro per i non vaccinati, mentre i sindacati non ottengono ciò che chiedono da molti mesi: l’obbligo vaccinale per tutte le maestranze. La linea liberista del governo si mostra in tutta la sua chiara evidenza. Quello che, pur parendo una imposizione, altro non sarebbe se non una tutela proprio per evitare ritorsioni imprenditoriali costruite su pretestuosità, creando centinaia, migliaia di situazioni sul filo del rasoio per lavoratrici e lavoratori, pare essere la richiesta più esorbitante e inarrivabile.

La maggioranza litiga sui singoli provvedimenti del nuovo decreto, sull’estensione del Super Green pass per andare in banca a prelevare o per andare dal parrucchiere, ma in realtà la frattura è più carsica e ramificata. Una pluralità di interessi spinge le singole forze politiche a destreggiarsi tra calcoli che legano le sorti del governo a quelle dell’elezione del Presidente della Repubblica e, di conseguenza, anche alla prosecuzione della XVIII Legislatura.

La democrazia ne esce frastornata, contusa, vilipesa ancora una volta nel suo ruolo di sostanza prima dell’impianto costituzionale: il fatto che, ad ogni approvazione di un decreto sull’emergenza sanitaria, ci si interroghi immancabilmente sulla sua tenuta proprio davanti ai princìpi della Carta, può anche essere giustificato dalla prova del nove che tocca fare in una condizione di specialità come quella in cui ci troviamo; ma i dubbi vengono perché le norme sono oggettivamente contraddittorie e permettono una interpretazione così vasta da aiutare i no-vax nelle loro esternazioni fasulle sulla “dittatura sanitaria“.

Il governo, consumato dalle mediazioni interne, si affida ormai per l’ultima parola alla “cabina di regia” piuttosto che al carisma draghiano. I miti sbiadiscono se messi a confronto con la dura legge degli interessi di parte e di partito. Anche i più fedeli tendono a riallinearsi alla linea del proprio segretario, per non perdere mordente, per poter avere ancora un senso dentro l’esecutivo e, quindi, un peso determinante (o presuntivamente tale) nel momento in cui Draghi dovesse traslocare al Colle e lasciare Palazzo Chigi, se non proprio in balia degli eventi, quanto meno in uno stallo affidato solo parzialmente al suo nuovo ufficio di Capo dello Stato.

Il riposizionamento dei partiti della maggioranza di unità nazionale all’interno del governo è evidente proprio nel punto di caduta con cui si è raggiunto il compromesso dell’ultimo decreto emergenziale contro la quarta ondata del Covid. Draghi adesso affianca alle virtù delle sue capacità di mediazione la necessità di prolungare la vita di un esecutivo che gli è più di ingombro ora, mentre è a metà strada tra Palazzo Chigi e il Quirinale.

La politica è attraversata dall’imprevedibilità molto più della vita di ognuno di noi: è uno straordinario, maledetto, affascinante gioco a scacchiera: non esistono mosse che una pedina possa fare sapendo di essere assolutamente al sicuro. Se non nella mossa successiva, forse in quella ancora dopo le eventualità sono impossibili da vedere e studiare attentamente.

Interviene una specie di legge del caos, molto particolare, per cui ad un battito di una farfalla in Giappone magari non corrisponde la caduta di un governo in Italia. Ma ci si fa davvero molto, molto vicini

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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