Le colpe dei padri non ricadono sui figli e quelle dei preti non ricadono su altri preti. Ma qualcuno dovrà pure rispondere delle decine di migliaia di vittime dei sacerdoti e degli alti prelati pedofili che hanno fatto parte e tutt’ora sono membri della Chiesa cattolica apostolica romana. Non è possibile cavarsela con uno sbrigativo «Non ne ero a conoscenza», perché chi ha compiti di direzione – in qualunque ambito, laico o religioso che sia – deve assumersi la responsabilità di quello che avviene anche a sua insaputa.
Ciò determinerà una diversa forma di coinvolgimento in fatti estremamente spiacevoli, in vere e proprie geografie dell’orrore in una comunità vasta tanto quanto il mondo, che pretende – non sempre al pari di altre confessioni – di essere l’unica vera chiesa al mondo; ma non significherà, allo stesso tempo, poter separare i fatti dai contesti in cui sono avvenuti. E quei contesti riguardano sempre il rapporto tra fedele e sacerdote, tra laico credente e clero cattolico docente una dottrina su cui non è possibile alcuna interpretazione.
Da Boston all’Irlanda, dall’Italia alla Spagna, fino alla Baviera di oggi: i casi di pedofilia nella Chiesa cattolica sono una vergogna ormai indelebile, perché protratta nel tempo, difficile da declinare, da specificare e da incasellare in una anche ordinata tipologia di efferatezze che travalicano l’impositività clericale, le tante violenze che papi, cardinali, vescovi e semplici prelati hanno benedetto nel corso dei millenni nel nome del loro potere secolare unitamente a quello temporale.
Le crociate, l’inquisizione, gli anatemi e le scomuniche c’entrano ben poco con la scia nera di quelli che non sono più “casi di pedofilia” in una diocesi piuttosto che in un’altra, ma una sorta di comportamento consolidato, riscontrabile un po’ ovunque nel mondo cattolico e che ci dice apertamente dell’esistenza di un problema che va al di là delle pulsioni e degli istinti sessuali di uno o più sacerdoti sedotti dal piacere represso e inespresso, dal celibato imposto dall’abito talare, dai voti e dalla consacrazione nel nome di Gesù Cristo, ma, soprattutto, da una dottrina che nei confronti della sessualità è ancora molto reproba e bigotta.
Il rapporto bavarese commissionato allo studio legale Westphal Spilker Wastl, l’accusa al papa emerito di aver coperto quattro casi di sacerdoti pedofili nell’arcidiocesi di Monaco – Frisinga, sono un fulmine a ciel sereno solamente in quel dato contesto mitteleuropeo e germanico. Per il resto, si sommano ai tanti casi di stupri e vessazioni nei confronti di bambini e ragazzi compresi tra le giovanissime età degli 8 e 14 anni.
Gli avvocati che hanno redatto il rapporto citato, parlano esplicitamente di un “bilancio dell’orrore” e, scorrendo i dati, non enfatizzano negativamente nulla e non aggiungono assolutamente nessun peso ulteriore alla tragicità dei fatti che descrivono. I numeri parlano da soli (o quasi): dal 1945 al 2019 sono ben 497 le persone che sono state oggetto di violenza da parte di chierici della Chiesa cattolica in Baviera; per lo più minorenni e nella gran parte dei casi si parla sempre di maschi.
Grave è il fatto che molti dei sacerdoti coinvolti in queste violenze non sono stati oggetto di provvedimenti legali da parte della diocesi o del Vaticano stesso. Altri, pure riconosciuti colpevoli, sono stati semplicemente trasferiti ad altra parrocchia; altri ancora, invece, sono stati allontanati dal conteggio ufficiale, nascosti nell’ombra, quasi protetti dalla giustizia ecclesiastica e anche da quella laica. Chissà, magari la Chiesa confida nella giustizia divina, ma nell’incertezza che questa esista o meno, forse dovrebbe peccare un po’ meno di presunzione e lasciare che sia la legge tedesca a valutarne la gravità dei comportamenti.
E’ evidente che la Chiesa sa di avere un enorme problema nella drammatica, quasi endemica epidemia di pedofilia che la interessa da decenni e decenni.
E, proprio perché non sarebbe giusto fare di tutta l’erba un fascio, non si dovrebbe andare a sbattere il muso contro la reticenza dei prìncipi del clero e tanto meno del pontefice. A papa Francesco, oggettivamente, riesce molto difficile affibbiare l’accusa di indolenza in questi casi: il suo ministero differisce enormemente da quello di Ratzinger anche – se non soprattutto – per la quasi totale assenza di indulgenza verso qualunque tipo di reato commesso nel nome della Chiesa, di Dio per fini personali: dalle compravendite immobiliari fino a casi di corruzione, la condanna del papa è stata ferma e risoluta.
Eppure il marcio non ha mai fine, ne emergono sempre nuovi strati e si tratta di spessori non indifferenti, di clamorosi scandali che intaccano, senza ombra di dubbio, quel buon nome che il cattolicesimo romano vorrebbe preservarsi, allontanandosi sempre più dai tempi in cui si sterminavano i popoli nel nome della divinità o si mandavano a morte le donne etichettate come streghe soltanto perché osavano porsi dei dubbi, riflette e ragionare, provando a farsi largo nella putrescente dogmaticità ecclesiastica.
La recrudescenza della pedofilia nelle fila del clero, italiano, americano, bavarase che sia, ripropone oltretutto la pericolosa similitudine che accosta l’omosessualità a comportamenti sessuali che nulla hanno a che vedere con il desiderio che proviene dall’amore o anche, molto più semplicemente, dall’attrazione naturale tra due individui. Si rischia di cadere nella trappola del semplificazionismo se si tentano paragoni tra esperienze di vita e alterazioni delle medesime che producono l’esatto opposto.
Il tema della pedofilia nella Chiesa cattolica rimane centrale proprio nel momento in cui ci si pone la questione del celibato dei preti e del patriarcalismo vigente tutt’oggi: la figura dell’uomo prevale su quella della donna e, conseguentemente, quella del maschio su quella della femmina. Le cosiddette “sacre scritture“, oltre tutto, confermano e ispirano questa bimillenaria legge (im)morale che la Curia romana si è data, emarginando tutti i testi definiti opportunamente “apocrifi” che avrebbero invece tracciato una diversa storia del Cristianesimo occidentale.
Ma, ormai, al dramma della pedofilia diffusa si aggiunge quello altrettanto colpevole dell’omertà sempre più presente nel governo delle diocesi: alla preservazione della potestas ecclesiale sembra concorrere necessariamente non tanto la devozione nei confronti della legge morale (dentro di noi) unitamente alla legge ecclesiale e laicamente statale (fuori di noi), quanto semmai l’occultamento della verità e l’ipocrisia sostanziale tra detto e fatto, tra predicazione e comportamento.
Se si osserva il tutto con la lente dell’esperienza comune della e nella storia dell’umanità, si potrà meglio capire come ci si trovi davanti a fenomeni prodotti dalla coercizione del potere che tenta di piegare le coscienze al pregiudizio, alla precondizione, all’insindacabilità dogmatica di tanti, troppi precetti di una chiesa che fa atto di contrizione e pentimento sempre tardivamente e che, nonostante questo, riesce, in mezzo a molta disperazione per l’esistenza, ad utilizzare la chiave religiosa della fede per sostenersi, per perpetuarsi, per accreditarsi ancora come fonte di moralità e di saggezza.